trasformismo
Per i populisti la pacchia è finita
La frase sbagliata sull’Europa da Giorgia Meloni svela una verità opposta: sono i partiti sovranisti a dover cambiare, e nascondere, i loro slogan del passato. Ma sulla difesa di Orbán si svela il bluff
Giorgia Meloni, con una frase un po’ sfortunata che tradisce però magnificamente cosa c’è sotto il make up della moderazione populista, qualche giorno fa si è lasciata andare durante un comizio a Milano, e con lo sguardo furbo di chi la sa lunga ha detto, ammiccando al pubblico, le parole che tutti avrete sentito: “L’Unione europea è preoccupata per noi? Se vinciamo noi è finita la pacchia”.
La frase di Meloni è stata a lungo commentata per via di un’assonanza non facile. L’ultimo leader politico di destra che in Italia ha usato quell’espressione, “con noi la pacchia è finita”, è un leader che ha concluso la sua esperienza di governo in mutande con un mojito in mano sulla spiaggia di un famoso stabilimento balneare, e sarebbe bastato questo per sconsigliare Meloni dall’utilizzo di quelle parole. Ma se si vuole prendere sul serio la considerazione sofisticata della leader di Fratelli d’Italia, cosa che ci accingiamo a fare, non si potrà non notare che nella stagione politica in cui ci troviamo l’affermazione di Meloni meriterebbe di essere ribaltata nel suo contrario.
La pacchia è finita, sì, ma più per i populisti che per gli europeisti. E la campagna elettorale italiana, da questo punto di vista, è esemplare se si osserva la strategia scelta dai due partiti sovranisti, Fratelli d’Italia e Lega, per candidarsi a guidare il paese. La pacchia è finita per i populisti perché nei prossimi anni, se Meloni e Salvini arriveranno al governo, ci saranno da gestire la bellezza di 200 miliardi di euro che arriveranno dall’Europa attraverso il Next Generation Ue e nessun partito populista, nemmeno quello più irresponsabile, oggi si può permettere di dire che l’Europa fa schifo, visti i quattrini che sgancia all’Italia. Ma la pacchia è finita per i populisti anche per una ragione più interessante che riguarda un fatto difficile da contestare.
Le tre grandi emergenze che hanno attraversato l’Italia, e non solo l’Italia, negli ultimi anni, la pandemia prima, la guerra poi, la crisi energetica oggi, hanno dimostrato in modo cristallino che le risposte offerte dai populisti, nei momenti di difficoltà, sono parte più dei problemi che delle soluzioni (chiudete un istante gli occhi e immaginate cosa sarebbe successo all’Italia se al posto di un governo sì vax avesse avuto un governo free vax: ciaone a tutti, come direbbe il saggio). E vedere oggi i vecchi partiti anti europeisti chiedere all’Europa di fronte all’emergenza del caro bollette non di fare di meno, come i populisti hanno sempre desiderato, ma di fare di più, come gli europeisti hanno sempre sognato, è parte di un nuovo spartito politico all’interno del quale i vecchi partiti sovranisti hanno perfettamente capito che l’unica chiave possibile per non essere percepiti come incompatibili con la realtà è dire l’opposto di quanto hanno sostenuto in passato.
In questo senso, la campagna di Giorgia Meloni, se ci si pensa un istante, è lo specchio perfetto di una nuova stagione, all’interno della quale la leader dei Fratelli d’Italia ha capito che la sua credibilità futura sarà legata alla capacità che Meloni avrà di smentire tutto ciò che ha a lungo sostenuto. E dunque, dice oggi Meloni, basta con il modello Le Pen (che Meloni in passato ha sostenuto). Basta con il modello Putin (che Meloni in passato ha sostenuto). Basta con il modello della politica a debito (che Meloni in passato ha avallato). Basta con l’anti europeismo (che Meloni in passato ha sostenuto). Basta con le sciocchezze sull’euro (che Meloni in passato ha alimentato).
Basta con la nostalgia del fascismo (che Meloni in passato ha contribuito ad alimentare). Basta con i dubbi sulla Nato (dubbi che in passato Meloni ha contribuito ad alimentare). Basta con il populismo sulle trivelle (Meloni in passato ha votato contro il referendum per rendere più semplici le estrazioni di gas dai nostri mari). Basta con il complottismo sulla Banca centrale europea (Meloni oggi considera Fabio Panetta, membro del board della Bce, il perfetto ministro dell’Economia di un suo eventuale governo, ma fino a qualche tempo fa Meloni considerava la Commissione europea e la Banca centrale europea un “comitato d’affari e di usurai”). In pochi se ne sono accorti, ma la ragione vera per cui i partiti anti populisti faticano maledettamente a mostrare il volto populista dei partiti sovranisti è legata a una pazza e precisa caratteristica di questa campagna elettorale. Che è questa: la vera campagna di demolizione del populismo la stanno portando avanti alcuni vecchi partiti populisti desiderosi di dimostrare che il populismo di un tempo è solo un ricordo del passato.
La strategia è chiara e lineare, anche se a volte è goffa. Ed è una strategia dettata dalla volontà di non fare la stessa fine fatta dal governo gialloverde e dalla volontà di non essere percepiti come un pericolo per il futuro del debito pubblico italiano (e non a caso ogni volta che Meloni risulta coerente con il suo passato, dalla difesa dell’autocrazia ungherese, tema sul quale ieri Draghi ha sculacciato Meloni, agli applausi alla ex destra fascista svedese, Meloni si ritrova nella condizione che ha tentato di evitare per tutta la campagna elettorale: sotto processo). Ma è una strategia dietro alla quale si intravede tutta la fragilità dei populismi convertiti. E le domande, drammatiche, restano sempre quelle: la moderazione è un fine o un mezzo? La conversione è dettata da una convinzione o da un algoritmo? E un partito che cambia così rapidamente idea su tutto, o quasi, che garanzia può offrire, nel futuro, sulla sua capacità di non ricambiare idea in caso di necessità?
Le risposte possono essere le più varie, potete immaginare come la pensiamo noi, ma lo spettacolo messo in scena in questa campagna elettorale dai populisti, consapevoli che il loro essere compatibili con la realtà è direttamente proporzionale al numero di idee tradite del passato, è lì a mostrarci una verità che si trova all’opposto di quanto sostenuto da Meloni nel comizio milanese: in caso di vittoria dei sovranisti, in Italia, a essere finita sarebbe la pacchia non dell’Europa, ma dei populisti, costretti ad ammettere, di fronte alla complessità della realtà, che le proprie idee del passato dinnanzi ai grandi problemi del mondo, e dell’Italia, fanno parte più dei problemi che delle soluzioni. E’ il trasformismo, bellezza.