net positive

Il mondo bonario del capitalismo riformato che ci fa tutti agnelli

Giuliano Ferrara

Paul Polman, ex ceo di Unilever,  addossa all’impresa del futuro compiti creativi nel campo del buono e del bello. Al suo ambizioso progetto, però, mancano un’antropologia e una filosofia politica

Questo Paul Polman, ex amministratore delegato di Unilever, una delle multinazionali più potenti al mondo, deve aver letto, nelle pause tra la produzione di una bella miliardata di Viennetta e Magnum, la Critica del programma di Gotha e l’Ideologia tedesca, testi di Karl Marx in cui si delinea l’uomo nuovo del comunismo, un soggetto di armoniosa multifunzionalità (cacciatore, filosofo, lavoratore manuale, agricoltore, pittore, musicista e altro nel corso della sua giornata terrena). E’ l’uomo al quale la società offrirà il dovuto contributo sociale “secondo i suoi bisogni” avendogli richiesto in cambio “l’esercizio delle sue capacità”. Una meraviglia, ammettiamolo, nel campionario profetico e rivoluzionario del grande pensatore di Treviri. E Paul Polman è un uomo d’onore. Solo così si spiega la sua definizione dell’impresa dopo l’ubriacatura liberista, quell’impresa che “deve produrre profitti non creando problemi al mondo ma risolvendoli”. 

 

Polman esprime il pensiero net positive, effetto positivo netto, e addossa all’impresa del futuro, per salvare come dice umanità e capitalismo, compiti creativi nel campo del buono e del bello, tra etica e estetica. “L’impresa net positive del futuro eliminerà più carbone di quanto ne emetterà, utilizzerà solo energie e materiali rinnovabili, non produrrà scarti, concepirà tutto il suo prodotto in un’ottica di circolarità e restituirà tutta l’acqua che avrà utilizzato. Vigilerà affinché tutte le persone che lavorano per essa percepiscano un salario che permette loro di vivere degnamente, darà una possibilità a tutti, rispettando ogni origine e ogni competenza, e stabilirà la parità nelle istanze dirigenti e l’eguaglianza delle remunerazioni. Grazie ai suoi prodotti, servizi e iniziative (e non alla filantropia), migliorerà la vita dei suoi clienti e delle comunità in cui è presente” (dal Figaro di sabato scorso).  

 

Viene da dire: grazie assai. O petrolinianamente: bravo, bis. Come altro volete commentare l’idea di questo supermanager olandese, persona di valore e convinzioni che voleva farsi prete e invece ha iscritto nel suo destino la riforma del capitalismo, che noi siamo non lupi spinti dalla fame ma agnelli al pascolo nel prato sulla riva di un torrente che disseta? Non tutti pensano, e non a torto, che Polman sia un ordinario e banal green washer, teorico e praticone come tanti di quell’ambientalismo di facciata che si confonde con il marketing e serve a ingentilire e aggiornare l’egemonia d’impresa nel mondo terrorizzato, per cattive e per buone ragioni, dalla crescita illimitata in un pianeta dalle dimensioni limitate. I suoi risultati di management, produttivi e finanziari, sono stati buoni, e le sue teorie le ha in parte sperimentate con fervore di iniziative. E’ davvero convinto, a quanto pare, che si può e si deve fare di più e meglio con meno, che Milton Friedman era solo un cinico quando esprimeva la legge bronzea del neoliberismo, “un’impresa è responsabile solo di fronte ai suoi azionisti”.

 

Al suo progetto, di ambizione inaudita, mancano però un’antropologia e una filosofia politica. Il carattere emulativo, competitivo, e perfino predatorio, della comune natura umana non è un’invenzione da incubo, è il tessuto di cui è fatta la storia. La disarmonia dello sviluppo, nell’economia come nelle scienze nel linguaggio e nella cultura, la sua combinazione di potenze distruttive e creative, non è cattiveria, rigetto della solidarietà, intrinseca malvagità dell’animo umano. E’ un seme biblico, che si ravvisa perfino nel grande manuale poetico del materialismo epicureo e ateo, nella riflessione di Lucrezio sulla natura delle cose: che l’agnello possa convivere in pace con il leone nella gabbia è l’utopia del cuore profetico, non la realtà (a meno di accettare la punchline per cui sì, può, basta cambiare l’agnello ogni giorno).

Ecco, Marx diede al proletariato un compito al di là della natura, metafisico, sapeva di farlo e forse lo sapeva impossibile, ma costruì il suo edificio politico e etico e storiografico sul motore della lotta di classe, avendo alle spalle le verità di Tucidide e Machiavelli e Spinoza. La povertà del capitalismo riformato di Polman è che sembra avere alle sue spalle solo un’ansia di rigenerazione.  

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.