Dopo Piombino, l'Abruzzo. Meloni incalza Draghi sul gas, ma sabota le opere strategiche
L’Abruzzo di Marsilio (FdI) s’oppone al gasdotto tra Sulmona e Foligno: e così si crea un collo di bottiglia che rende irrealizzabile sia il raddoppio del Tap sia il poetnziamento della rete proveniente dall'Algeria. Il governo è pronto a usare i poteri speciali per superare il dissenso. Il paradosso del partito dei patrioti
A raccontarla sembra quasi una barzelletta. E’ la storia di un partito di opposizione che incalza il governo a fare di più per risolvere l’emergenza energetica e che però, sui progetti che il governo considera strategici per affrontare l’emergenza energetica, si oppone sistematicamente. Perché non c’è solo il sindaco di Piombino, Francesco Ferrari, di FdI, che battaglia contro il rigassificatore; c’è anche il presidente della regione Abruzzo, il meloniano Marco Marsilio, che continua a sabotare il progetto del gasdotto Sulmona-Foligno, quello da cui dipende, tra l’altro, il raddoppio del Tap. E il tutto, in questa farsa italica, assume connotati da situazionismo spinto se si pensa che il suddetto sindaco di Piombino, per motivare il suo diniego all’installazione del rigassificatore sulla banchina del porto della sua città, diceva che “il governo potrebbe valutare altre soluzioni, tipo Taranto”; se non fosse, però, che una simile ipotesi è resa impraticabile proprio dalla presenza di un “collo di bottiglia” infrastrutturale che sta in Abruzzo, e che dipende dal no della giunta Marsilio alla realizzazione del gasdotto incriminato. E’ tutta una barzelletta, si diceva, ma a Mario Draghi deve far ridere ben poco. E per questo a Palazzo Chigi si lavora per risolvere la faccenda in Cdm, col ricorso a specifici poteri speciali, prima del passaggio di consegne al prossimo governo.
E certamente di politico, nella fermezza di Draghi a voler sbloccare i lavori per un’infrastruttura che fa parte della Linea Adriatica del gas, c’è ben poco. Almeno a considerare il concetto di politica come di qualcosa legato alle beghe elettorali. E del resto Marsilio eredita una contrarietà, quella delle istituzioni abruzzesi alla realizzazione del gasdotto, che è ben più datata della sua permanenza alla guida della regione. La prima autorizzazione di Valutazione sull’impianto ambientale dell’epoca (Via) risale addirittura al 2011: e tuttavia da oltre un decennio giunte e consigli regionali abruzzesi, in un tripudio trasversale di furore Nimby, si producono in dimostrazioni di contrarietà politica, e direttive e pareri e ordini del giorno, per non dire di manifestazioni e sit-in insieme agli immancabili comitati ambientalisti.
I soliti tempi dilatati della burocrazia italica. Se non fosse, però, che la guerra in Ucraina e la necessità di accelerare la diversificazione energetica hanno reso irrinunciabili quei 170 chilometri di tubi che attraverso il confine tra Abruzzo e Umbria dovrebbero connettere Sulmona a Foligno, perché la loro mancata realizzazione renderebbe monca un’arteria del gas che da Massafra, a due passi da Taranto, dovrebbe risalire la dorsale adriatica per oltre 680 chilometri, attraversando dieci regioni fino ad arrivare dalle parti di Bologna, in quel di Minerbio. Ma se tutto si ferma a Sulmona - dove Snam dovrebbe realizzare anche una centrale di spinta - allora, come ha evidenziato Roberto Cingolani in più di un’occasione, lì si crea un “collo di bottiglia” che rende impossibile pompare più gas da sud e da est: in sostanza, sia il potenziamento della connessione nordafricana tramite il Transmed, sia il raddoppio del Tap, resterebbero progetti abortiti. Ed è per questo che il ministro della Transizione energetica, già mesi fa, subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina, aveva proposto la nomina di un commissario straordinario col compito di sbloccare lo stallo: mossa più simbolica che amministrativa, ma che appunto sarebbe servita a sollevare un problema che, per Cingolani, resta squisitamente politico.
E d’altronde, talmente è strumentale, l’opposizione all’opera, talmente fumose sono le ragioni di chi addita il “rischio sismico” come estremo motivo di contrarietà, che a metà giugno, in una riunione tecnica convocata a Palazzo Chigi con le autorità locali, il malcapitato funzionario della regione ha dovuto ammettere che no, di evidenze reali per sostanziare la contrarietà all’opera non ce ne sono. “Non potevamo testimoniare il falso dicendo che l’opera contrasta con le norme e con questi strumenti pianificatori, quando l’istruttoria degli uffici certifica il contrario”, ha ammesso Marsilio, incalzando – a proposito di ideologismo bipartisan – dagli esponenti locali del Pd a giustificare la sua mezza abiura. E insomma sembrava risolta, la faccenda.
Ma nelle settimane seguenti lo sperato via libera da parte della giunta Marsilio non è arrivato, e così anche i funzionari del Dica, il Dipartimento per il coordinamento di Palazzo Chigi che spesso funge da camera di risoluzione dei contenziosi tra Roma e le periferie dell’impero, hanno alzato le mani. La speranza della regione Abruzzo, evidentemente, è quella di guadagnare tempo rimettendo tutto nelle mani del governo ch verrà, e che magari sarà più amico dell’attuale e quindi eviterà a Marsilio di dovere gestire le proteste di sindaci e comitati locali. Di certo c’è che la tattica del rinvio non piace affatto a Draghi, che prima di partire per New York ha infatti sollecitato di smaltire tutte le faccende che restano in sospeso e che possono rientrare nella categoria degli affari correnti. Ed è per questo che a Palazzo Chigi si sta lavorando per esercitare il potere di superamento delle opposizioni, una prerogativa che il governo si riserva per aggirare le contrarietà strumentali delle amministrazioni locali. La norma va portata in Cdm: e la prima riunione dei ministri utile sarà la settima la prossima. Con le elezioni già consumate. E qualcuno, allora, magari griderà al complotto.