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il discorso

Draghi: "Le autocrazie prosperano sfruttando l'esitazione. Evitiamo ambiguità"

A chi chiede silenzio e sottomissione opponiamo il potere dei fatti, ha detto il presidente del Consiglio a New York ricevendo il “World Statesman Award”. "I nostri valori sono la fiducia nella democrazia e nello stato di diritto, il rispetto dei diritti umani, la solidarietà globale"

Pubblichiamo il discorso che il premier Mario Draghi ha tenuto lunedì sera a New York ricevendo il “World Statesman Award”



Prima di iniziare, devo dire che sono davvero commosso, sono commosso da tutto ciò che è stato detto stasera, da questa fantastica serata, dal vostro calore, dai vostri applausi, dalle parole del rabbino Schneier, dalle parole di Steve Schwarzman e, direi, soprattutto dalle parole di Henry Kissinger. Sono davvero commosso dal fatto che abbiate trovato il tempo di venire qui, in questa occasione, e di dire ciò che avete detto; il solo fatto che siate qui stasera è un regalo enorme per me. Grazie. La nostra amicizia è iniziata esattamente trent’anni fa e poi è in qualche modo cresciuta nel corso degli anni, nonostante ci siamo visti piuttosto raramente. 


Di recente, con gli eventi che si sono verificati negli ultimi dodici mesi, abbiamo avuto l’opportunità di avere una conversazione profonda su ciò che stava accadendo – ed era appena dopo il primo mese di guerra, direi – su cosa fare ora, su cosa fare dopo e su come dovremmo approcciare le autocrazie; dirò qualcosa anche su questo stasera.


Sono profondamente grato di ricevere questo premio e vorrei ringraziare ancora una volta il rabbino Schneier, la Fondazione Appeal of Conscience e tutti voi per questo onore. Avete assegnato questo premio a molti grandi statisti e statiste prima di me. E’ davvero commovente essere in loro compagnia. Vorrei rendere omaggio al compianto Shinzo Abe, che ha ricevuto questo premio l’anno scorso. Abe credeva fermamente nel dovere del Giappone di contribuire alla stabilità globale. Ha agito con forza per rinvigorire l’economia giapponese, attraverso una combinazione di politiche chiamata “Abenomics”: politica monetaria, riforme dal lato dell’offerta e politiche fiscali. Come sappiamo, la sua vita è stata tragicamente interrotta, ma la sua eredità sopravvive, tra i cittadini giapponesi e non solo.


L’importanza del dialogo – che celebriamo stasera – è stata al centro della mia vita professionale di economista e di politico. Il valore di una partnership di successo tra organismi multilaterali e istituzioni locali è stata una delle lezioni principali che ho imparato lavorando alla Banca mondiale negli anni Ottanta. Riscrivere le regole della finanza globale – come abbiamo fatto nel Financial Stability Board dopo la crisi del 2008 – richiedeva fiducia reciproca, apertura mentale e capacità di compromesso. Il progetto europeo, che ha garantito pace e stabilità in Europa dopo secoli di conflitti, si basa sulla forza di istituzioni condivise come la Banca centrale europea. Il G20, che l’Italia ha presieduto lo scorso anno, ha confermato che solo la cooperazione globale può contribuire a risolvere i problemi mondiali, dalla pandemia al cambiamento climatico. Il potenziale della comprensione reciproca come forza per il bene è tanto più grande quanto più il nostro mondo è integrato. Per avere successo per tutti, e soprattutto per i più vulnerabili, la globalizzazione richiede un insieme di regole comuni. Eppure, oggi ci troviamo di fronte a una sfida significativa all’idea che possiamo lavorare insieme per il bene di tutti i paesi.


L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia rischia di inaugurare una nuova èra di polarizzazione, che non si vedeva dalla fine della Guerra fredda. La questione di come affrontare le autocrazie definirà la nostra capacità di plasmare il nostro futuro comune per molti anni a venire. La soluzione sta in una combinazione di franchezza, coerenza e impegno. Dobbiamo essere chiari e espliciti sui valori fondanti delle nostre società. Mi riferisco alla nostra fiducia nella democrazia e nello stato di diritto, al nostro rispetto per i diritti umani, al nostro impegno per la solidarietà globale. Questi ideali dovrebbero guidare la nostra politica estera in modo chiaro e prevedibile, e sottolineo prevedibile. Quando tracciamo una linea rossa, dobbiamo farla rispettare. Quando prendiamo un impegno, dobbiamo rispettarlo. Le autocrazie prosperano sfruttando la nostra esitazione. Dobbiamo evitare l’ambiguità, per non pentircene in seguito.


Infine, dobbiamo essere disposti a cooperare, purché ciò non significhi compromettere i nostri princìpi fondamentali. Questa settimana ricorre la 77esima assemblea generale delle Nazioni Unite. Spero che in futuro la Russia decida di tornare alle norme che ha sottoscritto nel 1945. Nonostante la mestizia dei tempi in cui viviamo, rimango, cautamente o meno, ottimista sul futuro. L’eroismo dell’Ucraina, del presidente Zelensky e del suo popolo è un potente promemoria di ciò che rappresentiamo e di ciò che rischiamo di perdere. L’Unione europea e il G7 – assieme ai nostri alleati – sono rimasti fermi e uniti a sostegno dell’Ucraina, nonostante i tentativi di Mosca di dividerci. La nostra ricerca collettiva della pace continua, come dimostra l’accordo per sbloccare milioni di tonnellate di cereali dai porti del Mar Nero.


Solo l’Ucraina può decidere quale pace sia accettabile, ma noi dobbiamo fare tutto il possibile per favorire un accordo quando finalmente sarà possibile. In un mondo diviso, il ruolo dei leader religiosi e delle istituzioni che guidate è essenziale. Con tutte le vostre differenze, voi sostenete la pace, la solidarietà e la dignità umana. La vostra conoscenza, la vostra saggezza e la vostra fede possono guidarci e aiutarci a guarire. Potete superare le frontiere, parlare alla nostra coscienza collettiva e all’anima dei singoli. Potete indicare la strada da seguire attraverso il dialogo, costruendo nuovi ponti dove quelli vecchi sono crollati. E potete chiederci conto del nostro operato. Come mi è stato ricordato durante la mia recente visita a Yad Vashem, l’indifferenza è il peggior nemico dell’umanità. Parlare apertamente non è solo un obbligo morale, è un dovere civico. A coloro che chiedono silenzio, sottomissione e obbedienza dobbiamo opporre il potere delle parole e, se necessario, dei fatti. Oggi il mondo ha bisogno di coraggio e chiarezza, ma anche di speranza e amore.

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