(foto LaPresse)

Perché il partito del pil non si fida di chi ha fatto cadere Draghi

Claudio Cerasa

Voti che si contano, voti che si pesano. Una passeggiata a Vicenza, dove il messaggio degli imprenditori è chiarissimo: "Non abbiamo bisogno di parole ma di azioni concrete"

Sono giorni di dialoghi, di dibattiti, di confronti, di scontri e soprattutto di incontri e sono giorni in cui i principali leader politici stanno cercando di interfacciarsi non solo con gli elettori nei comizi ma anche con i grandi elettori nelle imprese. Sono giorni in cui tutti i candidati cercano di convincere, di sedurre e di rassicurare e sono giorni in cui i capi delle varie formazioni politiche tentano di portare dalla propria parte anche un partito invisibile che alle elezioni pesa poco ma che all’indomani delle elezioni conta parecchio: il partito del pil. Il partito del pil corrisponde grosso modo agli imprenditori che hanno in mano una fetta importante della ricchezza italiana ed è un partito che negli ultimi mesi si è speso in modo significativo per difendere il governo guidato da Mario Draghi.

 

Le grandi imprese, quelle da 250 addetti e oltre, in Italia sono lo 0,1 per cento del totale, assorbono il 20,7 per cento dell’occupazione, creano il 31,7 per cento di valore aggiunto e ad aver dato voce a parte di esse sabato scorso ci ha pensato a Vicenza, seconda provincia italiana per esportazioni a livello assoluto, la presidente della Confindustria locale, Laura Dalla Vecchia, che di fronte a una platea formata da 1.400 imprenditori ha ricordato coraggiosamente che per le imprese “la prematura conclusione del governo Draghi è stato un momento di sconforto” e ha messo nero su bianco una preoccupazione reale: dalla politica “abbiamo bisogno non solo di parole o di un segnale, ma di azioni concrete che ci dicano che questo è ancora un paese dove vale la pena investire”. L’impressione è che, rispetto al futuro, il partito del pil abbia preoccupazioni non troppo diverse rispetto a quelle manifestate da Mario Draghi durante le sue pirotecniche conferenze stampa, durante le quali il presidente del Consiglio più che offrire consigli per votare qualcuno ha dispensato consigli su chi non votare (astenersi pupazzi prezzolati). E l’impressione è che, in fin dei conti, chi fa parte delle grandi imprese, e chi ha le spalle larghe per governare la fase di difficoltà economica generata dal caro bollette, (a) si senta molto più vicino a chi il governo Draghi lo ha sostenuto piuttosto che a chi il governo Draghi lo ha fatto malamente cadere e (b) si senta più vicino nel mondo del centrodestra a chi Draghi lo ha combattuto lealmente più che a chi il governo Draghi lo ha sostenuto non con altrettanta lealtà.

 

Sono impressioni che si ricavano dialogando con gli imprenditori, con i grandi manager, con i capitani di industria, come è capitato di fare venerdì scorso a chi scrive a Vicenza, e sono impressioni che si vanno poi a sommare a dimensioni diverse come quelle registrate in contesti interessanti e vivaci come quelli dei piccoli imprenditori, le piccole imprese fino a dieci dipendenti, che rappresentano il 95,2 per cento delle imprese attive, e che avendo le spalle meno larghe rispetto ai colleghi più grandi si percepiscono – come dimostrato da alcune chiacchierate avute sempre da chi scrive sabato scorso a Perugia con alcuni iscritti alla Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa dell’Umbria – più esposti agli effetti del caro energia, agli effetti della crisi delle materie prime, agli effetti della globalizzazione, e in fondo anche per questo non si sentono terrorizzati dall’idea di una stagione di cambiamenti politici, a condizione che vi siano maggiori proposte e non maggiori proteste.

Il partito del pil osserva i sabotatori del governo Draghi con maggior sospetto rispetto al partito delle piccole e medie imprese e per rassicurare il primo partito i leader del centrodestra di solito offrono in privato quattro messaggi chiari per dimostrare di non essere pericolosi. Se vinceremo (a) non faremo più debito rispetto al passato, (b) al Mef ci andrà qualcuno più simile a Daniele Franco che a Giulio Tremonti,  (c) al ministero dell’Interno non ci andrà Salvini, (d) cambieremo radicalmente il reddito di cittadinanza. Basterà? Le indicazioni di non voto offerte venerdì scorso da Draghi sono chiare. Chissà se il partito del pil, rispetto al partito dei pupazzi prezzolati, seguirà davvero i suggerimenti dell’amato premier.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.