A New York matura l'intesa tra Draghi e Macron: ora la Francia è pronta a sostenere il price cap
Le riunioni riservate a margine dei lavori all'Onu hanno prodotto la svolta. L'asse di Roma e Parigi potrebbe ora smuovere le resistenze tedesche. Anche la Norvegia, primo fornitore dell'Ue, apre. I dettagli della proposta: un prezzo imposto al gas russo e uno concordato coi fornitori amici. Le scadenze decisive fino al Consiglio europeo del 7 ottobre
Start spreading the news, o forse ancora no, occorrerà attendere almeno fino alla tarda mattinata di oggi, perché la notizia venga davvero diffusa. Ma le notti newyorchesi hanno prodotto comunque un fatto che è più che ufficioso: la Francia ha sciolto le riserve, ha deciso di sottoscrivere la proposta sul price cap promossa dall’Italia. Sono stati i conciliaboli riservati svolti a margine dei lavori al Palazzo di vetro dell’Onu, riunioni tra i ministri responsabili dei dossier energetici, non solo europei, e dei loro pochissimi sherpa, a sancire la svolta. Che era prevedibile, per quanto non scontata, ma che comunque ha prodotto qualche sommovimento, se è vero che, a fronte del compattarsi del fronte europeo favorevole al tetto del prezzo del gas, anche la Norvegia, che ormai nella lista dei fornitori di gas all’Ue è al primo posto, ha speso parole di parziale apprezzamento sul progetto. Che non prefigura un limite al solo gas russo, ma a tutto quello importato in Europa via tubo.
Si seguiranno, però, due strade parallele: questo, pur sulla base di bozze che vengono ancora ritoccate, e che di aggiornamenti ne subiranno parecchie nei prossimi giorni, sembra ormai chiaro. Da un lato ci sarà un prezzo imposto, dall’altro uno concordato.
Il primo riguarderà il gas russo: su quello, che ormai costituisce non più del 10 per cento dell’import europeo, sarà Bruxelles a stabilire un tetto. E lo si farà con l’assenso convinto dei tedeschi, i quali del resto hanno ormai raggiunto livelli di stoccaggi tali – oltre il 90 per cento – da non guardare con timore a un eventuale ritorsione da parte di Vladimir Putin.
Se questa è la misura che verrà adottata nei confronti di Mosca, e che assume ovviamente anche i connotati di un’ulteriore sanzione nei confronti del despota del Cremlino dopo le sue rinnovate minacce sul Donbas, è evidente che ben altro trattamento andrà riservato ai paesi amici. I fornitori in questo caso sono essenzialmente tre: la Norvegia, l’Azerbaijan e l’Algeria. Con loro bisognerà trovare un’intesa diversa: l’ipotesi più quotata è quella di contratti a prezzo concordato a lungo termine. Il che sarebbe già un passo in avanti, sul sentiero auspicato dall’Italia, rispetto all’altra idea, promossa da Spagna e Grecia, e che consisterebbe nel mantenere invariati i prezzi del gas acquistato e nel demandare poi alla Commissione di calmierare il mercato interno con risorse proprie. Una strategia che, tra l’altro, il governo di Mario Draghi ritiene sconsigliabile perché verrebbe troppo facilmente additata come esosa dai nordici frugali. La proposta italiana, quella su cui ora anche i francesi sembrano convinti, prevedrebbe al contrario di stipulare dei nuovi contratti speciali coi fornitori amici, ma con un’ulteriore tutela: e cioè con l’indicazione, da parte di Bruxelles, di un range di riferimento ben preciso oltre i cui valori, minimi e massimi, i prezzi non potranno fluttuare.
Funzionerà? Roberto Cingolani ha condiviso col premier una tattica negoziale che dovrebbe valere a persuadere gli interlocutori più scettici. Il senso del ragionamento è grosso modo questo: siccome è l’Italia, ormai, uno dei principali hub per le forniture che provengono da est e da sud, sarebbe anzitutto negli interessi di Roma che questa modalità di contrattazione funzionasse davvero, perché chi rischierebbe di più, in caso di fallimento, sarebbe proprio il nostro paese in quanto il più dipendente da queste forniture. Questo, almeno, vale per il gas di Azerbaigian e Algeria, i due paesi con cui Draghi ha saputo stringere, prima e meglio di altre, relazioni diplomatiche privilegiate in questi ultimi mesi.
Ed è su questa base che negli scorsi giorni, durante la trasferta newyorchese, e proprio mentre gli ambasciatori degli stati membri erano riuniti nel Coreper a Bruxelles per discutere dei dettagli del pacchetto energetico, la Francia s’è detta pronta a condividere in pieno la proposta italiana. Ed è quantomai significativa, benché parziale, l’apertura di credito che anche la delegazione norvegese presente al Palazzo di vetro ha mostrato nei confronti di questo schema, definito ragionevole. Significativa soprattutto perché Oslo è ormai il primo fornitore di gas verso l’Europa.
Italia e Francia, dunque: è questo, a dispetto della retorica patriottica molto in voga tra i sovranisti di destra che vedono in Parigi l’origine di ogni minaccia, l’asse che potrebbe smuovere definitivamente anche le residue resistenze tedesche. Del resto Robert Habeck, il ministro dell’Energia di Scholz, già all’ultimo consiglio europeo a Praga, sull’ipotesi di estendere il price cap anche al gas di provenienza diversa da quella russa, s’era limitato a dire che se anche i paesi dell’Europa centrale e orientale – esclusi dal traffico marittimo del Gnl e dunque più esposti a eventuali crisi di sistema – erano d’accordo, Berlino non avrebbe obiettato nulla. E oggi, durante degli scambi diplomatici che avranno i responsabili del dossier energetico dei vari paesi membri, si metterà alla prova la consistenza dell’iniziativa francoitaliana. Il tutto nell’attesa di una comunicazione che la Commissione potrebbe diramare il 28 settembre, a due giorni dal vertice dei ministri dell’Energia che dovrebbe definire gli ultimi dettagli della proposta, da sottoporre infine al vaglio dei capi di stato e di governo durante il Consiglio europeo informale del 7 ottobre. Potrebbe essere l’estremo atto del governo Draghi in Europa: e se le cose andassero come si spera a Palazzo Chigi, sarebbe un addio a suo modo clamoroso.