Il racconto

A spasso con Lotito nel depresso Molise: "Sarò il vostro gladiatore"

Simone Canettieri

La campagna show del presidente della Lazio candidato al Senato in un territorio in forte crisi. "Sono come San Paolo, votateme!".

Campobasso, dal nostro inviato. “Sono come san Paolo”. Addirittura. “Sì, ma folgorato sulla via del Molise”. Ride. Poi si ferma. Il suo corpo inizia a emettere strani suoni. Sono i famosi cellulari – pare ne abbia almeno tre – che squillano sotto la giacca o sotto il cappotto. Sono nove gradi, quassù. Fa molto fresco. “Sarò il gladiatore di questo popolo dimenticato. Io non sapevo nemmeno dove fosse questa regione, non ho interessi economici qui, ma ora ho sposato la causa: all’attaccooo!”. La sera prima, in un comizio pazzesco fuori dall’hotel Dora, a Venafro, aveva arringato la folla così: “Siete Sanniti, avete già piegato i Romani. Lo faremo di nuovo per ottenere dignità e fondi. Fatti, non parole!”. Colpo finale: “Gli altri nemmeno bussavano alle porte. Io le porte le ‘sfonno’”. Cori da stadio: pre-si-den-te, pre-si-den-te.

 

 

Ora è mattina, Claudio Lotito è nella hall di quello che dal 29 agosto è il suo quartier generale: l’hotel Don Guglielmo di Campobasso (4 stelle, 75 euro a notte, spa all’ultimo piano). I ragazzi della scorta sono provati: tutti i giorni almeno 400 chilometri, su e giù per questi paesini dimenticati e arroccati. C’è un imprenditore che aspetta il patron della Lazio da un’ora. Che finalmente si palesa. I due parlottano. Si sente solo un “non rompesse o fa la fine del gatto”.

Poi Lotito si volta di botto: “So che fai domande in giro su quanto sto spendendo in campagna elettorale. Chiedi a me”. Ma perché vuole fare il senatore?  “Voglio aiutare il prossimo perché sono stato fortunato, ho solo un figlio a cui sicuramente lascerò qualcosa”. Lotito che pigia un bottone a Palazzo Madama: impossibile. “Devolverò il mio stipendio da parlamentare in beneficenza. Quant’è?” Circa 13 mila euro al mese. “Bene, non farò Cicero pro domo mia”.

Il Molise è ormai Lotitoland. Da quando è stato paracadutato qui, nel collegio uninominale del Senato su imposizione dell’amico Cav. (“Silvio Berlusconi in Spagna lo chiamerebbero creador, un visionario”) ha fatto di tutto per non passare inosservato.  Gira con un mazzetto di santini elettorali (slogan: un imprenditore del fare per il Molise). L’altro giorno, a pranzo, ne ha dato uno anche a un ragazzo che lo stava fissando al tavolo vicino. “Votame!”. “A dire la verità: sono candidato anche io, e sono un parlamentare uscente”. “E chi sei?”. “Antonio Federico del M5s”. “E che avete fatto tu e gli altri eletti grillini per questa terra in quattro anni e mezzo?”. Chi c’era ancora ride. E ieri ha fatto il bis con Giuseppe Cecere, candidato del Pd, nel proporzionale del Senato. Lotito in sequenza è andato a visitare un circolo anziani e si è messo a ballare “I Watussi” (“c’erano queste signore, tutte acchittate che mi dicevano: balli, e io che non ballo?”).
 

 

Poi si è presentato alle tre di notte in un pub, il Sagittario di Campobasso, e i ragazzi, con un bel po’ di benzina in corpo, hanno iniziato a fargli il coro “Lotito is on fire”, e lui tutto contento a saltellare con loro. Si è messo a giocare a carte, a scopa, fuori da un bar (“Tiè, ho fatto denari, settebello e primiera: ho vinto da solo”). Selfie, autografi. Sì, autografi. Ha bussato a casa delle persone, a Montefalcone nel Sannio, per chiedere loro se poteva vedere la partita della Lazio in salotto. Ha improvvisato comizi dietro al bancone di un bar (“uscite da una dimensione verghiana: ribellatevi al destino”, i giovani si guardavano spaesati, intanto la tv trasmetteva la partita della Roma). Si è commosso con un vecchietto mentre gli raccontava che prende 400 euro al mese di pensione. Si è presentato nella farmacia di Campodipietra (duemila abitanti). Ha incontrato tutti e quattro i vescovi (“da 65 anni non perdo una messa”).

 

Ha detto che avrebbe portato il Campobasso, fallito e ora in Eccellenza fra i dilettanti, nell’olimpo del pallone. Poi ha frenato, perché a Termoli e a Isernia si sono risentiti. Ma è andato comunque dagli ultras del Campobasso a chiedere il voto: è una curva di sinistra. All’inizio ha vantato una conoscenza del territorio perché il nonno era abruzzese di Amatrice, provocando un piccolo incidente diplomatico interregionale, anche se fino agli anni ‘20, in effetti, il paese non faceva parte del Lazio. Non ha Facebook, Twitter e figurarsi TikTok. E’ astemio, ma non dice mai di no, “per educazione”, a un brindisi. Impossibile per i cronisti locali seguirlo. “Non vedo l’ora che finisca la campagna elettorale”, dice Luca Colella, direttore di Primo piano, unico quotidiano cartaceo del territorio.

 

Rapido sguardo dall’alto: siamo nella regione più vecchia d’Italia, in trent’anni è passata da 330mila residenti a 289mila. Reddito procapite intorno ai 16mila euro all’anno. Qui c’è la percentuale più alta d’Europa di Neet, giovani che non studiano e non lavorano (27,7 per cento). Non esiste la fibra veloce. Il treno per Roma, e viceversa, in alcuni tratti, a Roccasecca, è senza linea elettrificata. La Sanità è commissariata. Il Covid è stato un flagello. Mancano gli ospedali di vicinanza. L’A1 arriva fino a Venafro, porta del Molise, poi seguono strade provinciali che sembrano mulattiere, non illuminate di notte. Due molisani noti. Il primo è scomparso da tre anni: Fred Bongusto (con la “u” all’anagrafe di Campobasso: Buongusto) ricordato con una statua di bronzo in un vicolo del centro storico del capoluogo. Pastifici alle prese con il caro bollette che rischiano di saltare. Paesaggi rurali nelle valli. Trattori. Ecco sembra di vedere a cavalcioni Antonio Di Pietro, di Montenero di bisaccia. Ma non è lui. L’ex pm ha detto che non voterà Lotito. Nel 2018, il M5s con la promessa del Reddito di cittadinanza qui ha preso il 43,4 per cento. Giuseppe Conte si è presentato a Termoli nei giorni scorsi e ha riempito piazze e vicoli. Più di Giorgia Meloni, capitata qualche ora prima. Dal Molise la gente scappa in cerca di futuro. Le pennellate di Guido Piovene (“ricorda Scozia e Irlanda: è tra le plaghe più segrete e sconosciute del nostro paese”) infondono romanticismo che subito va a sbattere con la consapevolezza. Non è nemmeno calcolato come sud, tanto da essere di battute ormai trite e ritrite sulla sua esistenza. 

 

Ecco dunque Lotito che ce la mette tutta: “Fatti non parole”. Ma in giro regna lo scoramento: “Manco lo so se andrò a votare”, dicono da dietro il bancone del bar che si trova attaccato alla prefettura. “Non siamo una regione canaglia: ci vogliono spezzettare. Una parte con l’Abruzzo, un’altra con la Puglia, un’altra ancora Benevento. Non ce la faranno”. Bisogna andare all’evento di questa campagna elettorale. E’ la benedizione di Aldo Patriciello, quattro legislature all’Europarlamento. Uomo forte di Forza Italia, vecchio democristiano, ras della sanità, con una ventina di cliniche in tutto il meridione. “Ho oltre 4mila dipendenti, sono il quarto gruppo italiano nel ramo della sanità”. Patriciello è a Venafro per la presentazione dei due candidati del centrodestra nei collegi uninominali dove la coalizione che prende un voto in più conquista il seggio.

 

Al Senato c’è Lotito, che è in ritardo bestiale, mentre intanto sta piovendo e tira vento, in un perfetto anticipo dell’autunno. L’altro candidato è Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc, big nazionale, di Arcinazzo Romano. Due paracadutati. Il centrista è persona misurata, con lo sguardo furbo. Abituato a pesare anche i respiri. “Claudio è un ciclone, e io provo a fargli da baricentro”. Si sta sotto il tendone. Fa già buio, e sono le sette. Tutti intabarrati. Mille persone, anche di più. Ci sono mamme con i figli che chiedono a Patriciello un “lavoro per questo ragazzo che mi sta tutto il giorno a casa”. Spunta Donato Toma, il governatore. Gli anziani gli chiedono di poter aprire una cooperative sociale: “Siamo soli, disperati”. Gli prendono il braccio non lo lasciano. “Sono sicuro che Cesa e Lotito ci aiuteranno, che non scompariranno perché hanno le giuste entrature a Roma, che ultimamente ci sono mancate”. Parla mai di calcio con il presidente della Lazio? “No, sono del Napoli”, la città da cui proviene. Finalmente eccolo. La scorta è rilassata. Qui non ci sono né ultras biancocelesti né tifosi della Roma.

 

In Molise si tifa Juve, e poi giallorosso. “Qui mi votano pure i romanisti”, dice Lotito, strattonato qua e là da tutti prima che inizi un comizio da vero tribuno, con alcune chicche della casa: “Qui avete e abbiamo tanti problemi: bisogna risolverli in maniera aristotelica”. Sguardi perplessi sotto il tendone. Seguiranno applausi a non finire e foto e calca. Patriciello, che è anche in ottimi rapporti con Mara Carfagna, ha pagato tutto. Compreso l’apericena al coperto. Lotito firma autografi. Manda audio, bacia bambini, fa promesse.

Si metterà seduto vicino a Berlusconi in Senato? “Aspettiamo a dirlo: ma io e Silvio porteremo qualità e fantasia”. Dovrà vedersela con Rossella Gianfagna del Pd e con Ottavio Balducci per i grillini. Non sembrerà comunque un’impresa proibitiva “per mister empatia”, come lo chiama il governatore Toma. Il presidente della Lazio è seguito, come un’ombra da Giulio Gargano, il suo più stretto collaboratore. Che davanti ai giornalisti gli dice: non parlare di politica nazionale, non attaccare nessuno. Provate a marcarlo, voi. “Io sono del popolo!”. La folla non lo vuole lasciare. Lo tocca. E’ un grande evento, un vip a portata di mano. La jeep lotitiana seguirà la nottata a Termoli per incontrare un gruppo di imprenditori dell’agroalimentare. E la mattina si ricomincia. Primi appuntamenti in hotel. Un comizio continuo, un flusso di coscienza. All’Italia mancherà Mario Draghi? “E’ una risorsa del paese. Spero che vada a fare il presidente della Commissione europea. Però pure lui si era scocciato”. Governo Meloni? “Conosce la società, si pone così come autodifesa”. Ma reggerà la pressione di una situazione economicamente così complicata? “Spero che Panetta vada a fare il ministro dell’Economia: è bravissimo. Ah, una cosa”. Prego. “Draghi è della Roma, però”.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.