Il trasformismo è un vizio del nostro sistema al quale corrispondono pubbliche virtù
Com'è vista all'estero la politica italiana alla vigilia del voto. Un’analisi illuminante del Financial Times
Paolo Mieli ha ragione quando nel Corriere, ieri, constata come da circa trent’anni la destra italiana ha una coalizione e un candidato alla guida del paese, sotto elezioni, mentre il centrosinistra si è per lo più affidato al gioco parlamentare e alle figure tecnocratiche note (Ciampi, Dini, Monti, Draghi), a parte la fase prodiana, per assicurare una minima e sensata stabilità di governo. Ma ne trae conclusioni politico-moraleggianti, o che appaiono tali, con il brutto voto in pagella a forze che si affidano a tutto tranne che alla volontà popolare espressa attraverso il voto.
Abbiamo da tempo qui suggerito un altro modo di considerare l’elemento trasformistico implicito nel gioco parlamentare delle forze e nel confronto proporzionalistico tra i partiti a correzione di evidenti impedimenti alla governabilità. Il trasformismo è anche storicamente un marchio di fabbrica della democrazia italiana e più in generale del funzionamento del sistema, addirittura a partire dall’Italia preunitaria, monarchica e risorgimentale, del connubio Cavour-Rattazzi, per finire con i governi della sinistra trasformista, con il giolittismo e perfino, per certi aspetti, con il fascismo e la democrazia consociativa postfascista.
In proposito il Financial Times recava ieri un articolo della direttrice del think tank Carnegie Europe, Rosa Balfour, che ci sembra illuminante. Era un’analisi dell’esito previsto di queste elezioni, senza allarmi ideologici o sbandieramenti antifascisti, ma con la giusta dose di preoccupazione, specie per il rapporto con l’Europa e i mercati di governi nati da una sequela di promesse demagogiche e dall’abitudine all’urlo anti Bruxelles. Per la sostanza del problema, ci sia o no un rischio democratico in Italia, la diagnosi del giornale della City è consentanea in modo molto preciso con le nostre vecchie idee sul trasformismo come elemento di stabilità politica e salvaguardia della democrazia di sistema.
Scrive Rosa Balfour, dopo aver sostenuto che l’Italia manterrà una politica estera e di difesa occidentalista, e che i rischi maggiori derivano dalla presenza nella coalizione probabile vincitrice di idee e figure che hanno fatto le loro prove oltre dieci anni fa “collassando rather ignominiously sul limite di un disastro finanziario”. Scrive. “L’Italia a lungo è stata stigmatizzata come un paese ingovernabile che ha un elettorato volatile. Eppure l’instabilità degli esecutivi ha un’altra dimensione, la resilienza o resistenza della democrazia nazionale, specie se confrontata con paesi, come l’Ungheria, dove i populisti hanno conquistato lo stato. (…)
L’Italia ha avuto forti partiti populisti per trent’anni sulla scena e, malgrado alcuni tentativi di demolire lo stato di diritto, le istituzioni democratiche della Repubblica hanno tenuto bene”. Ecco, saremo longanesianamente un paese malato che preferisce le inaugurazioni alla manutenzione, ma da noi lo stato non si conquista, mai definitivamente e seccamente, beninteso. Il trasformismo è un vizio per così dire privato del nostro sistema al quale corrispondono pubbliche virtù, che vanno riconosciute anche in questa vigilia elettorale.