il racconto
Il mondo che fu missino in piazza del Popolo con Meloni spera nel riscatto della storia
Mentre la leader di Fratelli d'Italia chiude la campagna elettorale sul palco, va in scena tutto un film che ha per protagonisti non i ragazzi di Gioventù nazionale nati negli anni Duemila, ma i loro genitori e i loro nonni
I colleghi della radio francese, della televisione svizzera e del britannico Guardian girano piazza del Popolo in cerca di fascisti, intervistano i giovani militanti di FdI che purtroppo però più che dai Littoriali sembrano usciti da “Amici” di Maria De Filippi, e delusi si rianimano soltanto per un attimo quando sul lato sinistro dell’obelisco egizio compare un uomo grande e tombolotto con indosso un copricapo nero che sembra proprio un fez. “Ehm, are you fascist?”. E quello: “No, prete ortodosso”.
Eppure mentre Giorgia Meloni parla dal palco (“sono forse una che fa paura?”) e si dà il cambio con Matteo Salvini, tra saluti e sospettose moine in questo comizio finale, lì sotto, tra la gente, in mezzo alle bandiere e alla musica (c’è Pupo che canta: “Su di noi ci avresti scommesso tu?”), va in scena tutto un film che ha per protagonisti non i ragazzi di Gioventù nazionale nati negli anni Duemila, ma i loro genitori e i loro nonni. Quelli con i capelli bianchi, quelli che negli anni Settanta registravano i comizi di Almirante per poi riascoltarli in cameretta, quelli che, diceva Teodoro Buontempo, erano come un gruppo in guerra perché “rischiavamo la pelle e la libertà mentre la società scopava, ballava, si divertiva e comprava la tv a colori”. Andrea Augello, sessantun anni, lui che negli anni Settanta fondava un pezzo mitico della destra romana al fianco di suo fratello Tony, è in piedi sotto al palco dalle 15. E’ appoggiato alle transenne, anche se il comizio inizia alle 19. “Vinciamo?”, gli chiede un militante di Latina. “Come diceva Gassman nei Soliti Ignoti: è ‘scientifico’”. Scherza lui. Ma c’è dell’emozione, non della baldanza. In piazza del Popolo c’è infatti tutto l’album di famiglia della destra italiana composta di vittime e di carnefici, botte e sputi in faccia, un mondo che si è sempre sentito di serie B e che ora quando guarda Giorgia Meloni, che forse sarà la prima donna presidente del Consiglio nella storia d’Italia, una post missina che potrebbe ricevere l’incarico dalle mani del presidente della Repubblica, vede la chiusura di un cerchio, il riscatto di una vita. Chissà.
“Certo che sono emozionato”, dice Marcello De Angelis, che è stato militante del Msi, poi extraparlamentare negli anni della violenza e infine anche deputato di An. “Sono talmente emozionato che non voglio nemmeno pensare ai problemi che potrebbero venire dopo, al governo. Non mi importa”. Ecco il mondo laterale che fu. Mondo di sconfitti che nulla ha a che fare con il passato fascista, ma che ha vissuto il Msi e il Fuan, quelli sì. Oggi sono tutti qua a Roma in un giovedì sera di fine settembre 2022. I sopravvissuti, verrebbe da dire.
Anche gli intellettuali liberi e defilati come Luciano Lanna, che fu direttore del Secolo d’Italia, e Annalisa Terranova. Più che festanti quasi sospesi, come di fronte a una partita di calcio, di fronte a Roberto Baggio che tira il rigore decisivo. E non sai mai se la palla entra o esce. Ma questa appartenenza, questa malìa, questo incantesimo, scorre soltanto sotto gli occhi di chi non ascolta né osserva il palco sul quale passa anche Silvio Berlusconi che intanto incorona la Meloni: “Viva Giorgia” (prima di aggiungere “...e viva anche Matteo”). E’ un film che si srotola sotto lo sguardo indifferente dell’obelisco egizio di piazza del Popolo, quel manufatto che i romani considerano poco più di uno spartitraffico ma che in realtà ha circa duemila anni e ha visto Augusto imperatore, il Papa re, la marcia su Roma, e ora forse osserva Giorgia Meloni chiedendosi anche lui se sia un pezzettino di storia o soltanto cronaca di terz’ordine.