l'intervista
La prudenza di Landini sul voto innervosisce la Cgil. Parla Miceli
"Intervenire non è obbligatorio, ma se si sceglie di parlare allora occorre essere espliciti. Ecco, su questo ho delle riserve. Non siamo mai stati indifferenti, soprattutto di fronte a una cultura regressiva che può andare al governo”, dice il segretario confederale
Ricorda Emilio Miceli, segretario confederale della Cgil, che nel 1993 Bruno Trentin, all’epoca leader di Corso Italia, di fronte al rischio che un esponente della destra diventasse sindaco di Roma prese una netta posizione contro Gianfranco Fini: “Credo sia stata la sola volta in cui la Cgil ha dato una precisa indicazione, proprio perché di fronte a una situazione grave”. Il sottotesto è che anche stavolta, di fronte al rischio di una destra a Palazzo Chigi, la Cgil avrebbe dovuto esporsi di più e non limitarsi, come ha fatto Maurizio Landini, a un appello ad andare alle urne? “Il problema – dice Miceli – non sono le cose che non dici ma quelle che affermi. Nessuno ci costringe a un’indicazione di voto, ma nemmeno ci si aspetta da noi che si dica ‘non diamo indicazioni’”.
Il primo luglio, del resto, Landini aveva mostrato “da che parte sta la Cgil”, convocando una riunione con tutti gli esponenti dell’area progressista, da Letta a Calenda, Conte e Rifondazione comunista, per discutere dei programmi elettorali. “Quella iniziativa – osserva Miceli – rendeva chiarissimo l’orientamento della Cgil: un’organizzazione sociale progressista e di sinistra, per dirla con Lucio Dalla. Per patrimonio storico, per le persone che la compongono, per gli obiettivi che persegue. Ma non deve sfuggire che per la prima volta ci troviamo di fronte al fatto che un partito della destra più estrema potrebbe guidare il governo. Intervenire non è obbligatorio, ma se si sceglie di parlare allora occorre essere espliciti. Ecco, su questo ho delle riserve. Non siamo mai stati indifferenti, soprattutto di fronte a una cultura regressiva che può andare al governo”. D’altra parte, se non c’è dubbio che la Cgil sia di sinistra’, non è così per buona parte della sua base. Avrà pesato, nella prudenza di Landini, il pensiero che da anni anche gli operai votano a destra o per il M5s? “La Cgil non ha mai dato indicazioni di voto per un partito, nemmeno nella sua versione novecentesca. Un lavoratore può arrivare alla Cgil da strade diverse, ma sa esattamente dove va: verso un sindacato che ha origine nelle battaglie del movimento operaio e che continua a essere vissuto come la più grande organizzazione sociale progressista del paese. Chi prende la nostra tessera, a prescindere che voti a destra o a sinistra, lo sa benissimo’’. Del resto, l’identità come patrimonio culturale e politico è il tratto distintivo del sindacalismo confederale italiano: “Ed è un’identità forte, altrimenti non si capirebbe perché un intruglio di nazifascismo e No vax abbia deciso attraverso l’assalto alla sede della Cgil che poteva intimidire l’intero paese”.
Landini sostiene che la Cgil tratta con qualunque governo, che esiste una piattaforma sindacale valida per confrontarsi con Conte, Draghi e chiunque sarà a Palazzo Chigi, Meloni compresa.“Le piattaforme tengono conto della situazione in cui si collocano, dunque sarà necessario fare una riflessione sul nuovo contesto. Una vittoria della destra comporta il rischio che questo ci costringa a misurarci, oltre che sui salari, sull’inflazione e sulla frenata dell’economia, anche sui diritti civili e sulla collocazione in Europa, in un tempo segnato da una nuova guerra fredda. Ci confronteremo, anzi ci scontreremo, sulla flat tax e non sulla progressività delle aliquote. Ogni piattaforma ha la sua stagione”.
C’è chi ipotizza che la Cgil, dopo il voto,punti a mettersi alla testa dell’opposizione. E’ così? “Non è il mestiere del sindacato fare l’opposizione, e non credo che Landini abbia in testa nulla di simile. Il problema sarà fare i conti con un governo che pensa l’opposto del nostro programma. Ma sarà un problema di tutto il sindacato italiano”. Molti si richiamano all’agenda Draghi, lei che ne pensa? “E’ stata un’esperienza di governo utile per il paese, ma andare al voto caratterizzandosi come quelli dell’agenda Draghi è un gioco troppo corto”. E un eventuale ritorno di Draghi, a fronte a un caos post 25 settembre? “L’azione di protezione sociale stesa da Draghi sul paese è stata importante per spostare verso i più deboli ciò che era possibile. Ma credo che oggi sia impossibile riproporre un quadro di unità nazionale. E comunque sarebbe un ripiego, non può certo essere un obiettivo’’.