Il futuro del Pd
Schlein e Bonaccini, da alleati “diversi” a opzioni possibili per il dopo-voto?
Lei, uscita dal partito e poi tornata da esterna “a dare una mano” per sconfiggere le destre. Lui, il governatore dell’Emilia che durante il periodo del Covid dava, tra i primi, l’immagine di un’Italia che riusciva nonostante tutto a reagire. è l’uomo chiave e riferimento storico del partito
Insieme a Bologna, per la chiusura della campagna elettorale, il governatore pd dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini e la vicepresidente della stessa regione Elly Schlein, capolista indipendente nella lista Pd-Italia democratica e progressista per la Camera, sono la raffigurazione plastica di una coppia di alleati. Ma forse c’è di più (o di meno) di questo.
Lei, uscita dal partito e poi tornata da esterna “a dare una mano” per sconfiggere le destre, è quella che il Guardian, due giorni fa, ha chiamato “astro nascente della sinistra italiana”, paragonandola ad Alexandria Ocasio-Cortez, eletta nel 2018 alla Camera dei Rappresentanti dopo una battaglia anche social non soltanto contro il trumpismo ma anche contro l’establishment del Partito democratico americano. Elly, già europarlamentare, giovane e assertiva come la collega d’oltreoceano, parla con la stampa estera e italiana (l’intervista di chiusura pre-voto su un grande quotidiano sarà con lei, preannunciavano ieri dal Pd), descrivendo la sua “campagna casa per casa” e il metodo “dieci regioni in ventisette giorni” che l’ha portata a farsi conoscere – campagna anche oggetto di un video in cui racconta, in due minuti, il mese trascorso in giro per l’Italia. E ancora lei, Elly – che se n’era andata dal Pd dopo la stagione dei 101 affossatori di Romano Prodi e in dissenso con la linea renziana (Jobs act in particolare) – è la combattente numero uno schierata dal Pd, anche se non iscritta, per la comune battaglia dell’impossibile che sembra pararsi davanti al segretario Enrico Letta in questi giorni.
Lui invece, il governatore dell’Emilia che durante il periodo del Covid dava, tra i primi, l’immagine di un’Italia che riusciva nonostante tutto a reagire. è l’uomo chiave e riferimento storico del partito che una settimana fa, stufo forse della carica di mestizia aleggiante in alcune uscite dei vertici, ha detto che al Pd “serve una scossa”, che è ora di dire “basta” all’atteggiamento del tipo “sentirsi i migliori” e che “bisogna fare proposte concrete per convincere gli elettori”, in vista del rilancio di “un partito più forte in un centrosinistra più grande”.
E certo diverso è il piglio, tra Schlein e Bonaccini, ma soprattutto il contenuto (in area riformismo, per lui, e in area ambientalismo-progressismo dal basso, per lei). E la diversità, nel day after del voto, in caso di risultato non esaltante per il Pd, porterebbe i due alleati di oggi, il presidente e la vicepresidente dell’Emilia, in un’arena in qualche modo pre-congressuale, come figure del futuro, se dovesse ripetersi lo schema ricorrente di un Pd dai segretari-lampo: prendi un segretario, lo esalti con investitura dai toni magico-messianici e dopo un anno e mezzo o due, nel momento della difficoltà, lo defenestri, passando magari per un reggente. E se Bonaccini, intervistato da Repubblica, qualche giorno fa, oltre a voler dare la suddetta “scossa” al Pd, parlava da vertice, alludendo al suo essere estraneo “ai giochi romani” e al suo impegno a tutto tondo per i cittadini, Schlein ha fornito plasticamente un indizio di che cosa potrebbe esserci oltre l’urna, quando, domenica scorsa, intervistata da Lucia Annunziata con Letta e Carlo Cottarelli a “Mezz’ora in più”, su Rai3, a una domanda sulla mancanza di leadership femminile a sinistra, contrapposta alla leadership di Giorgia Meloni a destra, sentendosi chiamata in causa, ha tolto la parola al segretario (“lascia rispondere me, Enrico”), con gesto gentile ma fermo della mano. Intanto, al Nazareno, nella vigilia tormentata, si guardano i sondaggi non pubblici, e ci si prepara alla chiusura di oggi, a Roma, con Bonaccini e Schlein simbolicamente pronti al domani che verrà.