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gemelli diversi

Il guaio di un'Italia guidata dai complottisti. La coppia Salvini-Meloni

Claudio Cerasa

Il pericolo del sodalizio tra il capo della Lega e la leader di Fratelli d'Italia non è ciò che li divide ma ciò che li unisce: due piattaforme atlantiste, ma non europeiste. Buon voto a tutti 

Si è parlato spesso in questa campagna elettorale di tutte le spaccature profonde che esistono all’interno del centrodestra. E si è parlato spesso nelle ultime settimane di quanto possa essere dannosa per l’Italia la prospettiva di avere una destra di governo divisa praticamente su tutto. Divisa sulla difesa dell’Ucraina. Divisa sull’utilizzo delle sanzioni. Divisa sulla visione dell’Europa. Divisa sul futuro del Pnrr. Divisa sull’utilizzo dello scostamento di bilancio. Divisa sulla valutazione di ciò che è stato per l’Italia il governo Draghi.

 

Il tentativo di mettere in luce i pericoli veicolati dal centrodestra che si candida a guidare l’Italia concentrandosi solo sulle sue divisioni, che ovviamente esistono, ha avuto però un effetto imprevisto, e nocivo, che coincide con l’aver sottovalutato per tutta la campagna elettorale il vero elemento potenzialmente dannoso presente all’interno dell’alleanza formata da Giorgia Meloni e da Matteo Salvini: non ciò che li separa, ma ciò che li unisce. Le differenze tra Salvini e Meloni ci sono, ovvio. Ma più che dedicarsi all’analisi delle differenze, più che focalizzarsi sull’idea che il problema di un eventuale governo di centrodestra sia legato alla frammentazione della coalizione e al rischio ingovernabilità, è forse utile, a poche ore dal voto, riservare un briciolo di attenzione a un tema molto più importante.

 

Ovverosia: ciò che rende Salvini e Meloni due volti differenti di una stessa medaglia sovranista, di una simmetrica visione del mondo al centro della quale non vi è il fascismo ma vi è più semplicemente il complottismo. E usare la leva del complottismo per governare un paese di solito indica una tendenza naturale: costruire nemici immaginari da dare in pasto ai propri elettori per fuggire sistematicamente dalla realtà. Sono divisi su molto, Meloni e Salvini, ma sono perfettamente uniti, per esempio, quando si parla di Europa e quando si parla di un sogno che né Meloni né Salvini sono riusciti a nascondere durante la campagna elettorale: considerare l’Europa delle nazioni infinitamente più importante dell’Europa delle istituzioni e considerare di conseguenza ogni cessione di sovranità alle istituzioni europee non come un tentativo di creare una maggiore rete di protezione per i cittadini europei ma come un tentativo  inaccettabile di limitare la sovranità degli stati europei.

 

Sono divisi su molto, Meloni e Salvini, ma sono perfettamente uniti quando si parla di immigrazione, tema che sia Meloni sia Salvini hanno promesso di affrontare, in caso di vittoria elettorale, guidati non dall’idea di governarla, e dunque di gestirla, ma di “fermarla”, letteralmente.  
Sia Meloni sia Salvini non intendono costruire in Europa le giuste alleanze per ottenere maggiore solidarietà ma vogliono portare avanti da un lato la sofisticata teoria della chiusura dei porti e dall’altro lato la ricercata strategia del blocco navale. Sono divisi su molto, Meloni e Salvini, ma sono perfettamente uniti quando si parla, per esempio, di “sostituzione etnica”, espressione con cui di solito i populisti strizzano pericolosamente l’occhio all’elettorato estremista, e il fatto che i due gemelli diversi del nazionalismo italiano siano convinti che esista un complotto globale, orchestrato da governi e finanzieri senza scrupoli, per fare scappare gli italiani all’estero e sostituirli con flotte di richiedenti asilo è una prova ulteriore di quanto il complottismo sia pericolosamente centrale all’interno dell’agenda di governo del nazionalismo populista.

 

Sono divisi su molto, Meloni e Salvini, ma sono perfettamente uniti quando si parla di altre questioni piuttosto importanti. Sono uniti quando si parla di temi come la concorrenza, considerata da entrambi i partiti guida della coalizione di centrodestra come un veicolo di problemi più che di opportunità e considerata sinonimo di grandi slealtà e non di occasioni utili per offrire ai cittadini servizi più efficienti, più innovativi e a prezzi bassi. Sono uniti quando si parla di temi come quelli legati alle politiche industriali, per esempio, dove la logica del complottismo porta ad alimentare spesso una visione del mondo al centro della quale vi è la paura per il capitale straniero, il dogma dell’italianità, il culto per il sovranismo economico e la pulsione per il protezionismo.

 

Sono divisi su molto, Meloni e Salvini, ma sono perfettamente uniti, per esempio, quando si parla di politiche sulle pensioni, terreno sul quale le proposte dei due leader, tra minime a 1.000 euro e pensionamento anticipato, caricherebbero ulteriormente il debito pubblico di una cifra tra i 28 e i 40 miliardi all’anno, non il massimo per un paese come l’Italia che ha già una tra le più alte spese pensionistiche al mondo, pari a circa il 16 per cento del pil, e dove l’attenzione ossessiva della politica più a chi un lavoro lo ha avuto piuttosto che a chi un lavoro lo deve trovare ha portato i risultati che tutti conosciamo (negli ultimi vent’anni per gli over 65 il reddito e la ricchezza medi sono aumentati del 15 e del 60 per cento, mentre per gli under 35 sono scesi rispettivamente del 10 e del 60 per cento).

 

Sono divisi su molto, Meloni e Salvini, ma sono perfettamente uniti, ancora, quando discutono di giustizia, terreno sul quale i “garantisti” Meloni e Salvini tendono con molta frequenza a maledire la scarcerazione dei delinquenti che hanno scontato la pena, a diffondere le immagini degli accusati, a citofonare ai presunti colpevoli per chiedere loro se spacciavano droga, a invocare l’affondamento dei barconi, a confondere i disgraziati con gli scafisti, a considerare le garanzie processuali un optional dedicato agli amici indagati (non tutti purtroppo sono come Carlo Nordio).

 

Sono divisi su molto, Meloni e Salvini, ma sono perfettamente uniti, purtroppo, quando si ritrovano a tavolino a dover individuare i loro fortissimi punti di riferimento in giro per l’Europa e per il mondo. Donald Trump, con tutto il suo arsenale complottista, è un modello politico sia per Matteo Salvini sia per Giorgia Meloni. Viktor Orbán, nemico autoproclamato della democrazia liberale, è un modello politico di euroscetticismo sia per Matteo Salvini sia per Giorgia Meloni. I populisti di Vox, che chiedono da anni di eliminare l’aborto dal Sistema sanitario nazionale (cosa che non chiedono né Meloni né Salvini, anche se entrambi sui diritti civili hanno posizioni simili a quelle di Polonia e Ungheria), sono un modello politico per le battaglie contro l’establishment europeista sia per Salvini sia per Meloni.

 

Marine Le Pen, a lungo idolo politico di Giorgia Meloni, è alleata al Parlamento europeo con Matteo Salvini e si è augurata giusto pochi giorni fa di vedere trionfare in Italia il suo compagno di avventure. E in fondo ciò che unisce legittimamente e coerentemente la piattaforma di Salvini e Meloni, due piattaforme atlantiste ma non europeiste, è questo: frenare il processo di integrazione dell’Unione europea proprio in una stagione in cui questa, prima con la gestione della pandemia (vaccini), poi con i finanziamenti europei (il Recovery), ha permesso e permetterà ai paesi europei di creare le condizioni giuste per essere maggiormente protetti nei momenti di difficoltà.

 

Tra le differenze importanti che esistono tra Salvini e Meloni vi è certamente un punto che non si può non considerare ed è tutto sommato incoraggiante sapere che uno dei due leader sovranisti della coalizione di centrodestra (Meloni) ha capito quali sono alcuni estremismi del passato che meritano di essere infilati con cura in un cestino della storia (dal filoputinismo all’antiatlantismo). Capire i propri errori è importante, ovvio, ma pensare che la stabilità futura del nostro paese sia legata alla capacità dei populisti di governare l’Italia smentendo costantemente se stessi, e combattendo l’Italia populista che hanno contribuito ad alimentare, non è esattamente una prospettiva da sogno. Buon voto a tutti.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.