(elaborazione grafica Il Foglio)

conti in sospeso

La campagna elettorale parallela di Tremonti e Conte contro Draghi

Luciano Capone

Uno è fermo al 2011 (il "colpo di stato della Bce"), l'altro al 2021 (il "Conticidio"): per entrambi è il tecnocrate che ha interrotto la loro carriera nel punto di massimo fulgore. L'accanimento delle ultime settimane di Giulio e Giuseppe contro Mario è una questione psicoanalitica più che politica

In questa campagna elettorale, fatta di scontri tra i leader candidati alla guida del governo con programmi e visioni politiche agli antipodi, ce n’è stata una sottospecie caratterizzata dagli attacchi a un leader non candidato. E non ha riguardato i valori o il futuro del paese, ma il passato e i problemi personali irrisolti. Insomma, in questo caso la faccenda è psicoanalitica più che politica. Si tratta della campagna elettorale parallela di Giulio Tremonti e Giuseppe Conte contro Mario Draghi. 

 

Entrambi hanno una questione irrisolta con l'ex presidente della Bce, visto come il tecnocrate che ha interrotto la loro carriera nel punto di massimo fulgore. Tremonti è fermo al 2011, quando con il governo di centrodestra traballante nei numeri e nei conti puntava a sostituire Berlusconi a Palazzo Chigi per rassicurare l’Europa. E invece gli venne preferito Mario Monti. Fu un “colpo di stato”, dice, scatenato dalla lettera della Bce scritta da Draghi. Conte invece è fermo al 2021, quando provò a resistere al “Conticidio” (un altro golpe) aggrappandosi ai Ciampolillo e altri progressisti dell’ultim'ora, ma dovette cedere il posto all’usurpatore. Il paradosso è che entrambe le vittime del golpe hanno poi sostenuto il golpista, Tremonti votando la fiducia al governo Monti e Conte appoggiando il governo Draghi. Ma il trauma è così forte che ha prodotto una dissociazione dalla realtà e dalle proprie azioni.

 

E così Tremonti, che dopo anni di predicazioni e profezie ritorna con Fratelli d’Italia al centro della scena politica, anziché pensare al futuro ritorna al passato. E fa una campagna elettorale tutta contro Draghi, non tanto contro il governo Draghi, ma proprio contro Mario. Partendo, ovviamente, dal 2011. Tremonti, il ministro che stava portando l’Italia al default, dice che i conti erano perfettamente in ordine e che Draghi, quello noto nel mondo per avere “salvato l’euro”, è colui che alla Bce “ha violato tutte le regole dell’euro”. Gli dà dello stupido, citando Cipolla, e lo accusa dei peggiori disastri globali finanziari degli ultimi undici anni. Si conta sempre partire sempre dal “colpo di stato” del 2011. Ultimamente Tremonti ha accusato Draghi di aver lasciato una “pillola avvelenata” alla Meloni: una norma sulle garanzie sui prestiti concessi durante il Covid che “vale, grosso modo, 250 miliardi di potenziale nuovo debito pubblico. Indebitamento aggiuntivo che rischia di pesare sul prossimo governo”. E così il ministro della “finanza creativa” accusa il banchiere centrale del “debito buono” di fare debito tossico. Draghi, attraverso il ministro Daniele Franco (la manina che secondo Tremonti scrisse la famosa lettera della Bce: sempre lì si torna), ha risposto in conferenza stampa che l’allarme è infondato dato che l’operazione è volontaria e di mercato e peserà, eventualmente, sugli investitori privati ma non sul debito pubblico.

 

Ma anche Conte si è lanciato in accuse dissociate. Di recente si è scagliato contro “il governo dei migliori” perché anziché “una seria lotta all’evasione fiscale, come primo atto hanno fatto un condono”. L’accusa è surreale non solo perché il condono fiscale, molto più ampio di quello del governo Draghi, è stato uno dei primi atti del governo Conte I (che il leader del M5s chiamava però “pacificazione fiscale”), ma soprattutto perché il mini-condono del governo Draghi era voluto in formato maxi proprio dal M5s (insieme a Lega e FI) ed è stato limitato nel tempo e nell’ampiezza proprio dalle resistenze del premier. Ma più surreale è l’accusa di Conte di non aver preso posizione contro Putin: “Draghi è desaparecido”, ha detto il presidente del M5s in tv. Anche in questo caso si tratta di una proiezione sul “nemico” delle proprie ambiguità sul supporto all’Ucraina, visto che Draghi aveva tenuto un discorso di ferma condanna contro Putin all’Assemblea delle Nazioni Unite (mentre Conte se la prendeva con Zelensky).

 

Ma se la campagna psico-elettorale dei due è analoga, è diversa la reazione di Draghi. Perché nel caso di Tremonti, il premier sembra attento alle critiche, almeno quelle tecniche, e offre delle risposte. Quasi come se ci fosse una sorta di dignità nel confronto. Nel caso di Conte, invece, Draghi pare completamente disinteressato. Chissà però se ad alimentare l’accanimento nei traumatizzati sia più l’attenzione o l’indifferenza. Ma anche qui la risposta più che politica è psicoanalitica.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali