da via bellerio
Gli errori di Salvini fanno crollare la Lega. E ora si pensa al congresso
Per il leader del Carroccio è una sconfitta pesantissima, senza vie di fuga e attenuanti. Dal 17 per cento dei “pieni poteri” del 2018 i voti si sono dimezzati. Dal 30 per cento delle Europee la catastrofe è sotto gli occhi di tutti
Il silenzio oltre il muro di periferia, in via Bellerio dove un tempo palpitava la forza popolana di Bossi, la dice lunga a notte ormai fonda. La Lega di Salvini sotto il 9 per cento in tutte le rilevazioni, l’asticella di salvezza del 10 (la deadline di cui nel partito si parlava) lontana, sono la cifra senza doppia cifra di una sconfitta che potrebbe scolorare in disfatta: si capirà presto.
Per ora, nella notte elettorale di Milano, è chiara la parabola, la stella cadente. Per Matteo Salvini è una sconfitta pesantissima, senza vie di fuga e attenuanti. E proverà a spiegarla in conferenza stampa alle 11, all'indomani dei risultati. Dal 17 per cento dei “pieni poteri” del 2018 i voti si sono dimezzati. Dal 30 per cento delle Europee la catastrofe è sotto gli occhi di tutti.
Non è soltanto essere stato surclassato come empatia, come comunicazione, da Giorgia Meloni che alle 2,30 si presenta sulle note di “Il cielo è sempre più blu”. È che Salvini ha sbagliato tutte le linee e le possibili linee di fuga. Anche tralasciando, qui, la politica estera: Putin, l’Ucraina ecc., Salvini ha perso la scommessa del partito nazionale, fagocitato da FdI e al sud pure dal M5s. E ha perso i territori. Forse non numericamente, ma politicamente. Dalla base autonomista disamorata alle forze imprenditoriali stanche di sovranismo e antieuropeismo. Non ha pagato, non è più credibile, la scelta cristianista tra rosari e Madonne da baciare. Una maschera sciolta come neve al sole.
Ora, nei discorsi cupi nella stanza della Segreteria, da cui nessuno è uscito (Giorgetti non pervenuto, ha il mal di schiena) ci sono le opzioni. E un’odore da Macbeth nei suoi fantasmi. L'8 per cento può essere rinuncia: ma nessuno nel partito è pronto a scalzarlo.
Può essere una prova di forza, convocare un Congresso che lo confermi: del resto in Parlamento entreranno solo i fedelissimi, il partito è suo.
Può essere un’uscita soft, uno scranno da presidente del Senato, e aria nuova nel partito. Ma non ci credono in molti.
Può essere l’orso ferito che farà la guerra rabbiosa a Giorgia.
Può essere tutto, conoscendo la Lega, può essere nulla, e tutto rimandato al 2023: la regione Lombardia. L’unica cosa che la Lega non può perdere.