Bruxelles scrive all'Italia: "Subito la gara per i balneari". Ma ora a rispondere dovrà essere Meloni
Lo scambio esclusivo delle comunicazioni tra Palazzo Chigi e gli uffici della Von der Leyen
Dopo la lettera della Commissione, Garavaglia si sfila: "Tutto va rimesso al prossimo governo". Il risultato però è che a dover varare la svolta sulle concessioni, in maniera ancora più severa di come ipotizzava Draghi, dovrà essere la leader di FdI se diventerà premier. Oppure potrà rifiutarsi, mettendo però a rischio il Pnrr
La furbata è diventata una trappola. E neppure la consolazione di potere addossare la colpa a Mario Draghi, stavolta. Perché la manovra elusiva risoltasi in una grana che incombe sul suo esordio da premier, Giorgia Meloni dovrà imputarla a un suo alleato. E’ stato Massimo Garavaglia, ministro leghista del Turismo, a chiedere alla Commissione Ue una proroga che appariva come una scappatoia. E siccome Bruxelles ha acconsentito che tutto fosse rimesso al prossimo governo, ecco che ora toccherà alla leader di FdI intestarsi una misura che sa di beffa. Occorrerà rivedere la norma sui balneari per renderla ancora più radicale di quanto non sia quella attuale. E a farlo dovrà essere chi, come Meloni, ha sempre denunciato la norma inserita nel ddl Concorrenza come “una vergogna”.
Ora invece proprio lei, la paladina dei balneari, quella Meloni che accusava il governo Draghi di aver ratificato “un esproprio illegittimo a danno di 300 mila imprenditori italiani”, dovrà accelerare la messa a gara delle concessioni e farlo senza neppure quelle tutele verso i gestori uscenti che l’esecutivo attuale aveva introdotto. Perché è questo che la Commissione rimprovera all’Italia: aver annacquato troppo la misura che dovrebbe aprire il mercato degli ombrelloni alla concorrenza.
Qui sta il senso della lettera che i funzionari di Ursula von der Leyen hanno inviato a Palazzo Chigi già a fine luglio. Ed è un documento che contiene una severa analisi della norma sui balneari inserita nel ddl Concorrenza, la cui formulazione “continua a sollevare – si legge – dei quesiti in merito alla compatibilità della nuova disciplina con i principi del diritto dell’Unione”. I dubbi riguardano, in sostanza, le garanzie che il governo aveva introdotto per i gestori degli stabilimenti. La logica era: avviamo le gare, ma riconosciamo dei vantaggi competitivi a quegli imprenditori che finora hanno lavorato nel settore. Ebbene, per Bruxelles queste guarentigie sono eccessive. Lo sono perché, ad esempio, “potrebbero essere interpretate come atte a creare un vantaggio a favore dei soggetti che hanno esercitato l’attività oggetto delle procedura” di gara, con conseguente “rischio, in concreto, di preclusione dell’accesso al settore dei nuovi operatori”. E lo sono perché, privilegiando chi ha maturato esperienza nella gestione delle “concessioni demaniali”, avvantaggiano i titolari di “concessioni riguardanti la proprietà del demanio italiano”: insomma, il principio del “prima gli italiani” applicato al bagnasciuga non è tollerato a Bruxelles. Che muove critiche anche rispetto agli indennizzi a favore dei concessionari uscenti, in quanto “tale indennità potrebbe configurare un indebito vantaggio al prestatore uscente”. E c’è di più. Perché anche gli espedienti che il governo aveva inserito per poter rinviare le gare in casi particolarmente delicati vengono biasimati dalla Commissione, che richiede “una definizione più precisa delle circostanze in cui è possibile per le autorità competenti differire il termine di scadenza delle concessioni in essere”. Tenendo conto, peraltro, anche di una sentenza del Consiglio di stato del novembre scorso, che ha indicato nel 31 dicembre del 2023 la scadenza delle attuali concessioni.
Osservazioni severe, dunque, su cui Bruxelles attendeva una risposta entro il 12 settembre. E non a caso, quando se le era ritrovate sulla propria scrivania, il ministro Garavaglia, responsabile del dossier, aveva fatto in modo di scansare l’ingombro. Inasprire una normativa che la destra non vuole, e farlo in campagna elettorale: figurarsi. “Piuttosto mi dimetto”. E così il leghista ha chiesto, e ottenuto, dopo uno scambio diplomatico con la Commissione, che le “informazioni richieste siano fornite immediatamente dopo l’assunzione delle funzioni da parte del nuovo governo”. E questa decisione l’aveva poi comunicata direttamente a Palazzo Chigi: “A Bruxelles hanno ceduto, tutto rinviato”.
E così ora la grana dovrà tocca alla Meloni. A colei, cioè, che contro la messa a gara delle concessioni ha fatto perfino ricorso in Corte costituzionale, vedendosi ovviamente bocciata l’istanza. A colei che, parlando dal suo scranno di Montecitorio, il 22 febbraio scorso, annunciava di volere “bloccare il provvedimento”, perché riteneva troppo “blandi” i paletti introdotti dal governo, e che però sono quelli che ora la Commissione giudica addirittura troppo ridigi. A colei che considera “un esproprio della potestà legislativa” la sentenza del Consiglio di stato presa a riferimento da Bruxelles. E insomma “l’esproprio”, “la vergogna”, “lo scempio”, dovrà intestarseli lei, la Meloni. Oppure no, oppure potrà fare quel che aveva promesso, e cioè “replicare a Bruxelles rivendicando le proprie posizioni e difendendo il proprio onore nazionale, così che nessun burocrate risponda più”. Ma nel farlo inaugurerebbe con un conflitto non di poco conto il suo rapporto con l’Europa, con il risultato di compromettere il percorso di attuazione del Pnrr. Perché sull’applicazione della Bolkestein l’Italia è già in procedura d’infrazione da anni. E perché ora la messa a gara delle concessioni balneari è inserita in quel ddl Concorrenza che va attuato per intero entro la fine del 2022, pena la riduzione dei fondi comunitari del Recovery stanziati per l’Italia.