Enrico Letta (Ansa)

casting dem

Segretario cercasi. È partito il rodeo del Pd, tra (vecchie) parole d'ordine e soliti tic

Ruggiero Montenegro

C'è chi parla di "rinfondazione" e chi la chiama "rigenerazione". Orlando vuole "presidi di fronte ai luoghi di lavoro", mentre Bonaccini rilancia la mozione amministratori. De Luca intanto si scalda al sud. De Micheli è già in campo e in tanti fanno il nome di Schlein, che resta in attesa e non si espone. Le idee e i papabili segretari per il dopo Letta

C'è chi parla, apertamente, di "rinfondazione" e chi invece preferisce chiamarla "rigenerazione". Chissà, magari fa più ambientalismo. Poi ci sono quelli che vogliono cambiare nome al partito - è il caso del neo deputato Roberto Morassut, assessore a Roma, che propone una nuova forza politica: "I democratici".  Altri ancora invocano la "cosa rossa", quel ritorno alle origini che tanti militanti vorrebbero ma che, come insegna la storia recente - e non solo - diventa presto presagio di sventure. O quanto meno di scissione. E così alla disciplina tipica dell'analisi della sconfitta si aggiunge la caccia al prossimo segretario. Chi? Tutti si prestano, poi ritrattano e nella frase successiva si negano. Nel Partito democratico il rodeo è iniziato, tra parole d'ordine vecchie (parecchie), nuove (molte di meno) e presunte (tutte da verificare): Enrico Letta ha convocato per il 6 ottobre la Direzione che avvierà "un percorso congressuale inclusivo e aperto che vada alla radice dei problemi" e che culmini oltre che nella scelta del leader, in un "nuovo Pd". 

 

E così non passa giorno, anzi ora, senza che la lista dei papabili si allunghi. Da Bonaccini a Nardella, passando per Orfini e De Micheli - che è in realtà l'unica ad essersi esposta con convinzione - fino a Schlein, Orlando e alla parte più a sinistra tra i dem. Ma a veder bene, bisognerà anche capire le modalità di questo congresso, prima ancora di decidere se andare verso Calenda o verso il M5s. "Non diamo l'idea di un Pd allo sbando", ha fatto sapere Dario Franceschini. Intendeva dire che il Congresso va fatto, ma senza fretta: insomma, serve una discussione ampia. Non è il solo a pensarlo nel partito. E sarà anche per questo che Letta si è posto nel ruolo di traghettore, di garante della fase congressuale: ci sarà da mediare e da stemperare tra le tante voci in campo. Mentre il Pd sembra rivivere l'eterno deja-vu post elezioni. 

 

 

I papabili e le parole d'ordine

 

Stefano Bonaccini e gli amministratori. 
Il presidente dell'Emilia Romagna non ha mai fatto mistero delle ambizioni nazionali: "Al Congresso dirò la mia", assicura al Corriere, parlando di "rigenerazione", di "ricostruire le fondamenta". Dalla sua prospettiva, occorre che nel gruppo dirigente ci siano "molti più amministratori locali, che in questi anni hanno tenuto in piedi con il loro lavoro silenzioso il partito".  Bonaccini, considerato tra i più papabili per la carica di segretario, dice che "il tempo di discutere è adesso", senza preclusioni verso M5s o  Terzo Polo. Una posizione che si avvicina a quella del sindaco di Firenze, che pure ha detto di essere pronto a giocarsi la sua partita, ma senza farsi strumentalizzare. Più volte Dario Nardella, anche su questo giornale, ha teorizzato il campo largo - da Di Maio a Carfagna: erano altri tempi, ma il principio resta buono, a maggior ragione di fronte all'avanzata della destra. E alla quota degli amministratori è iscritto pure Matteo Ricci, primo cittadino di Pesaro che alla carica di segretario "ci sta pensando", e intanto raccoglie le istanze dei territori. Più defilato, da Bari, c'è anche Antonio Decaro. 

 

Orfini, scioglimento e rifondazione. 
L'esponente dei Giovani Turchi la va ripetendo da qualche giorno, sui social e ai giornali: "Sciogliamo e rifondiamo il Pd". Una proposta che l'ex presidente del partito nella fase renziana aveva avanzato anche dopo le elezioni del 2018. Allora non se ne fece nulla, oggi ci riprova. Serve "ridefinire la cultura politica e il progetto di un soggetto riformista nell’Italia del 2022 e smantellare un modello organizzativo che non ha più senso e immaginarne uno più aperto, o il Pd è finito", ha spiegato a Domani, non senza qualche critica al modello delle Agorà sostenute da Letta e Zingaretti: "Erano convegnistica, anche se le abbiamo raccontate come grandi momenti di partecipazione".

Il Sud e la mozione De Luca.
Il presidente della Campania non ha fatto mosse ufficiali, ma per molti versi, la nota pubblicata ieri pare un dichiarazione d'intenti, e di lotta: "Basta depressione, chi si è stancato stia a casa", ha scritto Vincenzo De Luca, mettendo in fila tutti i mali che hanno afflitto il Pd in questi anni. "È finita la vicenda di una forza politica, che non si è data una identità programmatica chiara e percepibile, e un modo di essere, di lavorare e di selezionare i suoi gruppi dirigenti sulla base del merito e della militanza", continua il notabile di Salerno, che accusa come Il sud sia "scomparso dall'orizzonte del Pd da anni e anni", lasciando il campo aperto al grillismo, spesso avversato. Lo stesso che invece viene indicato come stella polare da Michele Emiliano, che imputa alla mancata alleanza la causa del risultato elettorale e per questo critica i vertici nazionali. Difficilmente il presidente pugliese si candiderà a fare il segretario, quando ci ha provato è andata male, ma la sua posizione è diffusa tra i dem più a sinistra - si pensi a Goffredo Bettini. Insomma, bisognerà tenerne conto.

 


Una donna per i dem: De Micheli o Schlein.
Rappresentano per ora la quota donne, sebbene da posizioni ben diverse. Certamente rappresenterebbe un cambio di passo per una partito che si definisce progressista e al fianco delle donne ma che dimostra scarsa dimestichezza - per usare un eufemismo - con le leadership femminili. Ma se l'ex ministro ai Trasporti Paola De Micheli è scesa in campo apertamente, annunciando un approccio "radicale e severo", l'altra  - Elly Schlein - resta in attesa. Sono gli altri a candidarla e a descriverla come l'anti Meloni, per biografia e storia politica. Protagonista anni fa di "Occupy Pd", è poi uscita dal partito, fino a diventare la vice di Bonaccini in Emilia Romagna, eletta con la lista "Coraggiosa". 

 

La sinistra: da Orlando, Cuperlo e Provenzano (a Bersani e Speranza?).
nche Gianni Cuperlo, in una delle più attese e imperdibili analisi della sconfitta, ha parlato di "rifondazione", di "una nuova identità" e di un nuovo processo politico, perché non "basta cambiare l'allenatore", ma è necessario un "confronto aspro, ma sincero". Dove possa portare questa discussione, lascia intendere, è però prematuro dirlo ma è chiaro che Cuperlo guarda a sinistra,  alla "coscienza di parte". Lo stesso solco in cui si inserisce l'analisi di Orlando, che ha riscoperto l'animo conflittuale e parla di "presidi di fronte a tutti i luoghi di lavoro", per sostenere la battaglia sul salario minimo come prima campagna del Pd che verrà. Proverà a far valere le sue posizioni al prossimo congresso: "una nuova costituente", è la strada indicata dal ministro del Lavoro, un congresso straordinario che dia nuova linfa ai dem o "qualcosa che vada oltre il Pd".



Avvisaglie di scissione? Chissà. Ma intanto pure Giuseppe Provenzano è accreditato tra i possibili nomi per la segreteria, e si muove su posizioni simili. Ieri è stato avvistato a pranzo con PIer Luigi Bersani: "abbiamo parlato di Italia" e non di congresso, ha detto. Ma la ditta, almeno, in campagna elettorale si è riavvicinata al Pd: soprattutto Roberto Speranza, che si è speso per la lista "Italia democratica e progressista", salutata dal ministro della Salute come un forte segnale di apertura del partito da cui si erano scissi.

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