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Il Pd a congresso

Il Pd alle prese con lo spettro del “pegno d'amore” sulla strada della ri-alleanza con il M5s.

Ma c'è chi fa notare: ragazzi, abbiamo un problema di identità

Marianna Rizzini

Il Partito democratico ragiona sulle future alleanze. Ma c'è chi fa notare: ragazzi, abbiamo un problema di identità

Uno spettro si aggira per i corridoi preoccupati del Nazareno, sede del Pd pre-congressuale sconfitto nelle urne. Ed è uno spettro tanto più spaventoso quanto più breve è il tempo che separa il day after del voto dalle prossime elezioni amministrative nel Lazio, da un lato, e dal primo passo lungo la road map che deve portare alla definizione delle candidature per la corsa alla segreteria, dall’altra. Fatto sta che da giorni nel Pd ci si interroga sulla divaricazione delle linee: bisogna privilegiare la ri-alleanza con i Cinque Stelle, rinvigorendo il dialogo con i medesimi e anche con il Terzo polo, o bisogna disegnare un campo diversamente largo? E, sempre da giorni, ci si attorciglia attorno al punto che dalla prima ipotesi scaturisce: volendo riallacciare, come fare ad aggirare o affrontare l’avvertimento di Giuseppe Conte (“valuteremo il percorso del Pd, non sarà facile dialogare con noi”)? Su che cosa puntare? Che cosa offrire come pegno d’alleanza se non d’amore?

 

E lì, nelle stanze del quartier generale pd, si pensa e si ripensa, e intanto si sbatte contro il primo ostacolo-opportunità: le elezioni regionali del Lazio. Una regione dove non soltanto il campo largo a tre punte (polo calendiano compreso) è realtà, ma è anche stato rilanciato dal governatore uscente Nicola Zingaretti e dal segretario del Pd laziale e senatore rieletto Bruno Astorre come unica ricetta per uscire dal pantano. E c’è chi, tra i dirigenti pd, a un certo punto, non si sa quanto scherzando, si è spinto a ipotizzare: e se si trovasse l’accordo su un nome? (Come dire: se gli offriamo come pegno la scelta del candidato?). Tuttavia proprio nel Lazio i nomi ci sono già: il vicepresidente della Regione, Daniele Leodori, e l’assessore alla Sanità, Alessio D’Amato, si sono già detti disponibili. Sullo sfondo c’è anche Enrico Gasbarra, e c’è il problema delle primarie (si o no?). Astorre, interpellato in proposito, ribadisce: “Il modello Lazio già governa. Concentriamoci ora sulle cose da fare e sul programma e partendo da questo e dalle cose già realizzate insieme, come la legge sulla disabilità e quella sul turismo, proiettiamoci verso il voto, puntando a mantenere in piedi lo stesso schema” (cioè tutti insieme, dal Pd ai Cinque Stelle al Terzo polo). E il nome? “Il candidato lo deciderà la coalizione, come la modalità della sua scelta, senza prevaricazione”, dice il segretario regionale pd.

 

Spostandosi dalla dimensione-amministrative, il deputato rieletto Matteo Orfini, contrario a rimandare il congresso per un partito ormai diventato “respingente” (così l’ha definito in un’intervista al Domani), non  contempla neanche lontanamente un Pd che cerchi di piacere agli altri partiti prima che a se stesso e ai propri elettori: “Sarebbe assurdo cominciare a discutere partendo dagli altri, tanto più ora che governa la destra”, dice al Foglio. “Di alleanze si parlerà tra cinque anni, pensiamo intanto al problema di identità che abbiamo, anche per poter fare bene opposizione. Tutto il resto è autolesionismo”. Per Orfini gli schemi regionali “vanno lasciati ai territori, senza caricarli di una valenza nazionale. Ripeto: dobbiamo chiederci perché il Pd non riesce più a muoversi dal 19 per cento, e uscire subito da questo riflesso di subalternità. Possibile che si debba esistere soltanto in funzione del rapporto con questo o con quello?”. Il j’accuse risuona, ma c’è la parte sinistra del Pd che sul rapporto con il M5s e sul campo largo insiste. E però sono giorni complicati. Anche in zona Beppe Provenzano, assicurano al Nazareno, si ragiona sulla questione identitaria prima che sulle alleanze. E anche in area sindaci si vorrebbe che l’attenzione fosse concentrata “sui temi e non sui nomi”. Ma lo spettro incombe, anche se la scelta del pegno d’amore può attendere.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.