cinque punti
Sì, un altro Partito democratico è possibile. Il manifesto del sindaco Nardella
Superare il Reddito di cittadinanza, costruire un ambientalismo non nemico del progresso e scommettere sull’educazione come motore della crescita dell’Italia
La prima vera sfida è confrontarci sulle idee, poi vengono nomi e candidature. Sulle idee possiamo ricostruire da zero, partendo dai valori di fondo per i quali è nato il Partito democratico. A volte ho la sensazione, da amministratore e da esponente del partito, che si sia dimenticato il perché siamo nati nel 2007 e perché dovremmo andare avanti. Ecco, il Partito democratico è nato per unire culture politiche diverse, come quella liberaldemocratica, cattolica, socialista, progressista, ambientalista, senza che nessuna prevalesse sull’altra. Ripartire da zero, per me, significa ripartire da quella identità plurale e innovatrice, con le idee di oggi.
Come premessa credo sia importante recuperare un rapporto vero con i territori e i cittadini. Si parla di riforme costituzionali, ma la prima vera riforma è quella di una legge elettorale che è alla base di questo preoccupante astensionismo. Bisogna allora rimettere le preferenze, già utilizzate con successo nelle elezioni cittadine ed europee. Le preferenze avvicinano i cittadini ai candidati e consentono loro di scegliere gli eletti che devono rappresentarli. Costruire una legge elettorale che mantenga una quota maggioritaria ma lasciando al proporzionale le preferenze potrà quindi essere un punto di partenza che garantisca governabilità e rappresentanza piene.
In secondo luogo la struttura del Pd. Il modello di partito oggi è una piramide rovesciata dove le decisioni si prendono tutte al livello centrale, spesso in modo autoreferenziale, dalle candidature alle grandi scelte strategiche. Il territorio deve tornare a essere la base della piramide. Immagino un partito dove tutte le scelte importanti e strategiche che riguardano il programma politico e anche le candidature devono essere vagliate ed avere il consenso dei livelli territoriali.
Non solo un vincolo di consultazione del territorio, dunque, ma di condivisione delle scelte. Così come occorre riservare una quota larga negli organismi dirigenti agli amministratori locali, trait d’union tra cittadini e istituzioni, primo livello di governo del territorio e che possono essere l’ossatura del nuovo partito.
Idee, ho detto. Ed ecco alcuni spunti, alcune ipotesi di lavoro, sulle quali pongo l’attenzione e sono pronto a confrontarmi da subito, per il bene comune, guardando non solo al partito, ma a tutto il paese.
Primo punto. Cambiamo il tempo della scuola. L’Italia, all’interno dell’Unione europea, è uno dei paesi con il tasso più alto di abbandono scolastico: nel 2020 siamo stati il quarto con più abbandoni, il 13,1 per cento, dopo Malta, Spagna e Romania; nel 2022 siamo risaliti di una posizione. L’Unione europea ha fissato come target che i giovani europei tra 18 e 24 anni senza diploma superiore (o qualifica professionale) siano entro il 2030 meno del 9 per cento. Approntare strumenti per combattere questa dispersione scolastica la cui deriva sono l’aumento della povertà educativa e dei fenomeni come quelli dei giovani Neet dovrebbero essere ai primi posti dell’agenda di qualunque governo.
La società è cambiata e cambia velocemente ma la scuola sembra a volte non accorgersene. Abbiamo un modello scolastico prevalentemente trasmissivo, ovvero di trasmissione della conoscenza legato al tema dell’alfabetizzazione della comunità, dedicato appositamente all’insegnamento nozionistico. Per una scuola che guardi al futuro dobbiamo lavorare sulle competenze e quindi è sempre più necessario un modello diverso delle lezioni, degli orari e degli spazi.
Un “tempo scuola” rigido, in particolar modo per le scuole medie e superiori, non ha più ragion d’essere. Se vogliamo migliorare il processo di costruzione delle conoscenze e delle competenze servono orari flessibili e differenziati a seconda delle lezioni, con laboratori trasversali e aule aperte, ma anche con una riorganizzazione che privilegi l’esaurimento dell’attività scolastica a scuola così da poter dedicare le ore finali del pomeriggio ad attività extrascolastiche, a partire dallo sport.
Va poi ridata la centralità allo studio delle lingue e a materie ancillari come la musica, disciplina a cui sono molto legato. L’Italia è il paese del Bel canto e ha un patrimonio inestimabile di musica classica. Eppure la musica a scuola si studia poco e male, spesso finendo per far odiare ai ragazzi il flauto sul quale sono costretti ad esercitarsi. La musica è metodo, competenza, ricerca di equilibrio, rigore ed estro insieme. Anche questi insegnamenti, io credo, debbono far parte di un curriculum scolastico che voglia formare i cittadini di domani.
Secondo punto. Un’agenzia nazionale per la prevenzione. L’esperienza della pandemia Covid-19 ha confermato quanto sia di fondamentale importanza disporre di una capacità di risposta territoriale efficace ed efficiente per affrontare e superare l’emergenza infettiva e per minimizzare l’impatto sull’offerta complessiva di servizi sanitari, in primis gli ospedali. In tale contesto è risultato di fondamentale importanza il funzionamento dei Dipartimenti della prevenzione, la cui capacità operativa deve essere rafforzata, sia perché al momento non è possibile prevedere l’evoluzione della pandemia Covid-19, sia per altre possibili pandemie e di altri eventuali patogeni emergenti per effetto dei fenomeni di spillover derivanti anche dai cambiamenti climatici. L’attuale modello di Dipartimento della prevenzione non appare in grado di rispondere all’insieme di aspettative presenti e future che discendono dagli obiettivi della programmazione e pianificazione nazionale e regionale, dalle sfide in materia di sanità pubblica e dagli indirizzi normativi del Pnrr.
Una proposta per superare l’attuale modello, portata avanti da Federico Gelli, direttore della direzione Sanità, welfare e coesione sociale della Toscana, è quella di realizzare un’Agenzia nazionale per la prevenzione in grado di indirizzare e coordinare a livello nazionale la prevenzione e la promozione della salute del futuro, avvalendosi anche di specifiche strutture regionali. La realizzazione nell’ambito del Ssn di un nuovo modello organizzativo e professionale, in grado di rendere autonome da un punto di vista gestionale e finanziario le strutture che si occupano di prevenzione, ha la finalità anche di portare a economie di scala nell’ottica della razionalizzazione delle risorse finanziarie e a una maggiore appropriatezza e omogeneità delle prestazioni professionali.
Terzo punto. Comunità energetiche. L’inverno che ci aspetta si preannuncia caldissimo. La carenza di materie prime energetiche e di infrastrutture efficaci per il loro approvvigionamento costringe il nostro paese a una dipendenza viscerale dall’estero. La guerra, oltre alla drammaticità del disastro umanitario che ha comportato e che continua a comportare, ha messo in evidenza questa situazione deficitaria dell’Italia. Le città non possono rimanere ai margini: nel nostro continente producono l’ottanta per cento di CO2 e di rifiuti e consumano l’ottanta per cento di energia. Questo rende le città parte del problema e della soluzione al tempo stesso. L’economista Leonardo Becchetti sottolinea come le comunità energetiche che prevedono risparmi sia per i cittadini che per l’ambiente stiano prendendo sempre più piede come risposta efficace di transizione green e rigenerazione delle città. Eppure non sono ancora pienamente regolamentate.
Pur essendo state introdotte da una direttiva europea del 2018, in Italia il recepimento non si è mai completato e mancano a tutt’oggi i decreti attuativi. Col risultato che c’è molto fai da te e molta frustrazione. Invece queste esperienze di cittadinanza attiva e autoproduzione applicate all’energia, possono essere enormemente efficaci per aumentare la produzione da fonti rinnovabili, per ricostruire relazioni nelle nostre città dove i rapporti umani sono spesso deteriorati, per promuovere un risparmio reale per le persone. Per questo occorrono rapidamente i decreti, ma serve anche un piano nazionale che promuova e coordini le comunità energetiche E ne faciliti la diffusione capillare promuovendo una collaborazione tra le pubbliche amministrazioni e le imprese che possono anch’esse diventare “prosumer” e protagoniste del cambiamento. Abbiamo a portata di mano uno strumento per costruire quella transizione giusta che aiuta assieme l’ambiente e le persone.
Quarto punto. Riforestazione urbana e biochar. Nonostante la crisi finanziaria ed energetica, l’urgenza di combattere il riscaldamento globale non è diminuita affatto e rimane la più grande sfida per l’umanità e quella che ha, di gran lunga, la più alta rilevanza sociale. Un partito progressista moderno non può in alcun modo ignorare la portata storica di questo obiettivo. Contrastare il riscaldamento globale richiede molteplici soluzioni. A partire dalla principale, la riforestazione urbana. Piantare alberi sembra un gesto antico e persino banale, è diventato persino un feticcio in campagna elettorale dove la corsa ad annunciare le piantagioni ha causato anche effetti comici come quando certi leader hanno promesso milioni di alberi non sapendo che sono già previsti dal Pnrr.
Ma non esiste nulla, per euro investito, che abbia la stessa efficienza degli alberi nella rimozione della CO2 dall’atmosfera. “Al pianeta oggi servono mille miliardi di alberi” ha avvertito lo scienziato Stefano Mancuso. E a Firenze ci siamo dati come orizzonte la piantumazione di un milione di alberi nei prossimi 10 anni in tutta la Città metropolitana. Contro l’anidride carbonica un’altra tecnica rivoluzionaria e poco conosciuta, sempre suggerita dal professor Mancuso, è la produzione di biochar. Qualsiasi rifiuto organico rilascia CO2 che mentre si decompone ritorna nell’atmosfera. Tuttavia, se lo si brucia in forni mediante una tecnica particolare che non usa aria (pirolisi) si crea questo materiale che messo nel terreno blocca l’inquinante per circa 100 anni. Prevedere l’uso di biochar nella costruzione di strade, parchi, edifici (può essere utilizzato come isolante) o in agricoltura potrebbe permetterci di fissare enormi quantità di CO2. La tecnica è così buona, allo stato attuale, che viene ritenuta una delle armi migliori a disposizione, insieme, ovviamente, alla riforestazione, per il raggiungimento della neutralità carbonica.
Quinto punto. Superare il Reddito di cittadinanza con politiche attive per il lavoro e la formazione. Non serve dividersi tra Reddito di cittadinanza sì-Reddito di cittadinanza no. Non può essere questo il nostro orizzonte politico. Dia il Pd per primo una nuova proposta credibile per riformare radicalmente mercato del lavoro e welfare, anche perché il nuovo governo ha già annunciato di voler cancellare il reddito di cittadinanza senza avanzare una proposta alternativa chiara. Serve lanciare e portare a compimento un piano di lotta alla povertà che supporti davvero chi vive ai margini della società, ma anche i precari, i giovani in cerca di prima occupazione, chi il lavoro lo ha perso, chi ha la partita Iva, e preparare in parallelo la più grande riforma delle politiche attive superando la logica assistenzialista.
Del resto il reddito di cittadinanza e precedentemente il reddito di inclusione hanno colmato una storica lacuna del nostro welfare, ma adesso devono essere sostituiti con strumenti nuovi. Si può costruire un nuovo modello di welfare basato sulla “formazione continua” come base fondamentale di una politica del lavoro, una sorta di “reddito di formazione”, termine usato dal professor Tommaso Nannicini. Il punto è dare sostegno concreto alle imprese puntando sulla formazione. L’avvio di un vero processo integrativo tra lavoro e istruzione a tutti i livelli ha dato risultati straordinari nei paesi che lo hanno fatto.
Dobbiamo ribaltare il rapporto delle imprese che non fanno formazione rispetto a quelle che la fanno. Dobbiamo puntare sulla creazione ed estensione delle scuole a tempo pieno e prevedere un incremento annuo del 3 per cento dei bilanci dei maggiori istituti di ricerca, ma anche incentivi per le imprese che favoriscono lavoro di qualità e favorire il lavoro agile: nato forzosamente in tempo di pandemia, adesso è uno strumento sempre più utilizzato e che ha dimostrato di poter aumentare la produttività liberando i tempi di vita.
L’autore è il sindaco di Firenze, esponente del Pd