Il caso
Fratelli d'Europa. A Roma va in scena l'internazionale dei conservatori
Da Vox a Fidesz tutti nella capitale italiana per brindare al successo elettorale di FdI, ma Ucraina e crisi energetica sottolineano le differenza tra i conservatori. Raffaele Fitto, luogotenente meloninano a Strasburgo spiega: "Oggi lì'interesse italiano è chiedere una soluzione comune europea". Contraddizioni sovraniste
Su due banchi davanti alla sala è disposta la biblioteca del buon conservatore. Un distillato di letture che spazia da Prezzolini a Mario Giordano, da Margareth Thatcher a Sgarbi. Non manca neppure una biografia di Rino Gaetano, le cui canzoni hanno accompagnato la vittoria di Giorgia Meloni (ed indignato i parenti del cantautore, “I brani di Rino non sono di nessuno”).
Non c’è invece, e incredibilmente, il libro della Capa “Io sono Giorgia”. Mentre ovviamente campeggia in prima fila Roger Scruton. Il filosofo inglese ultracitato da Meloni. Appare in originale, ma per i meno volenterosi anche in antologia. Siamo a Roma. Hotel Quirinale, un passo da piazza della Repubblica. Si svolge qui la paradossale internazionale sovranista, intitolata “Italian conservatism”, organizzata a pochi giorni dal successo elettorale di FdI dai think tank conservatore Nazione Futura e dalla fondazione Tatarella.
Nelle edizioni precedenti è stata ospite anche la futura premier, venerdì invece c’era Raffaele Fitto, luogotenente meloniano a Strasburgo e (forse) futuro ministro. Il conservatorismo appare senz’altro nello stile e nelle conversazioni. Quando ha bisogno di soffiarsi il naso, Balázs Hidvéghi, eurodeputato di Fidesz, il partito di Viktor Orbán, tira fuori un grosso fazzoletto di stoffa color ocra. Un soffice lusso per le narici, come i bei vecchi tempi. Una ragazza di meno di trent’anni si anima spiegando al suo interlocutore come ormai non si valorizza più il doppiaggio italiano, lui annuisce, poi sottolinea che ci sono cose più gravi: “Per colpa della sinistra i bambini non giocano più con i soldatini, ti pare normale?”.
I giornalisti cercano di orientarsi tra le personalità dell’evento. C’è chi, con saggezza, è arrivato preparato con fogli pieni di foto con accanto nomi, cognomi e qualifiche. Tra i più inseguiti c’è Jorge Buxadé, leader della spagnola Vox in parlamento europeo. Ma la vera guest star si chiama Balázs Orbán, omonimo, ma non parente del presidente ungherese, ma, in ogni caso, suo capo di gabinetto. C’è aria di festa. “Il 26 settembre – ripetono tutti – è stato un giorno storico”. Parole d’ordine: identità e libertà. Il professore portoghese Jaime Nogueira Pinto sostiene che se i progressisti hanno una visione della realtà manichea - loro, il bene da una parte, gli altri, i conservatori, il male dall'altra - i conservatori capiscono invece "la complessità della realtà, le sue contraddizioni". "A sinistra - sottolinea - c'è un senso di superiorità morale rappresentato benissimo dal filosofo francese Bernard-Henri Lévy, uno che come dice giustamente lo scrittore Michel Houellebecq 'non ha nessuna nuova idea, ma ottime relazioni'". E proprio su questo il professore, che è il più teorico del parterre insiste: "L'immagine della destra tra la gente è quella che dà la sinistra che controlla stampa e altri media". E la cosa è quantomeno strano visto che l'evento si svolge in un paese dove i conservatori hanno appena vinto le elezioni. Ma Pinto ormai è partito e non si sa bene se per rinobilitare il fascismo, o in un rigurgito di anticomuniscmo, sbotta: "Se Gramsci fosse vissuto in Urss non avrebbe mai potuto scrivere le sue lettere in carcere".
A farla da padrone però sono le ambiguità. Innanzitutto perché ci sono ben due esponenti di Fidesz, il partito ungherese che piaceva a Meloni, ma da cui oggi FdI prende le distanze. “Quello di oggi è un convegno di un’area culturale più ampia del campo politico dei conservatori europei di cui Fidesz non fa parte”, si giustifica Fitto. Mentre l’Orbán di riserva tranquillizza la stampa: “Meloni non seguirà il modello ungherese perché i conservatori, a differenza di socialisti e liberali, non applicano un modello politico unico in ogni stato che governano”. Non è chiarissimo, ma tant’è. C’è di più. Perché l’attualità precipita sul convegno. Dalla guerra in Ucraina, alla crisi energetica, i conservatori non vanno tanto d’accordo. Quando gli chiediamo se per essere autenticamente sovranisti non sarebbe giusto fare come dice Matteo Salvini: intervenire anche noi direttamente per mettere un tetto al gas come annunciato ieri dalla socialista Germania, Fitto sorride amaro: “Fare l’interesse dell’Italia oggi è chiedere una soluzione comune europea”. Una dichiarazione che è un trattato antisovranista, una frase che ne svela tutte le contraddizioni. Da queste parti vige la retorica dell’orgoglio delle nazioni nel rispetto delle altre nazioni. Un nazionalismo non aggressivo, ma cooperativo che però, se ognuno cura solo l’interesse del suo paese, non si sa come farà a fregiarsi mai di tale aggettivo. Lo esemplifica benissimo Balázs Orbán che racconta come la sua Ungheria il price cap lo abbia già fatto e come adesso, attraverso un referendum popolare (strumento di Budapest per aggirare le scelte europee con la retorica del popolo contro la burocrazia bruxellese) l’Ungheria chiederà ai suoi cittadini cosa fare con le sanzioni alla Russia. “La Russia – ha spiegato – ha invaso l’Ucraina, ma le conseguenze della guerra non le possono pagare gli ungheresi".
La reunion di Fratelli d’Europa proseguirà sabato con una giornata molto più italiana. Sfileranno diverse personalità inserite nei toto ministri di questi giorni. Guido Crosetto, da sempre tra i più ascoltati da Giorgia Meloni, sarà qui per parlare di economia. Di “nuova egemonia culturale” si occuperanno invece Gianpaolo Rossi, Marcello Veneziani, Alessandro Campi. Sarà uno di loro a dover costruirla, magari alla guida della Rai? Di esteri invece si parleranno Stefano Pontercorvo e Giulio Terzi di Sant’Agata, entrambi in ballo per guidare la Farnesina.