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Una maggioranza populista è scontata? Forse no
La preoccupazione per l’avvio di una stagione politica a tinte fosche non è convincente. I movimenti di stampo populista non sono mai mancati nel nostro paese e anche durante il governo Draghi si è registrato il sostegno dell'opposizione. La nota positiva, poi, è la scarsa rappresentanza antisistema nelle istituzioni
Mentre i risultati delle elezioni divengono chiari e i contorni della maggioranza e delle minoranze si fanno definiti, i primi commenti non brillano per perspicuità. Tra questi, vi è l’opinione di chi vede delinearsi una nuova stagione populista.
In essa confluiscono sia un giudizio sul significato complessivo della stagione politica che si è appena conclusa, sia una predizione su quel che ci aspetta. L’esperienza del governo di (quasi) unità nazionale è vista come il momento in cui la virtù perduta durante la prima parte della scorsa legislatura è stata recuperata, quasi per miracolo, grazie al rinsaldato rapporto con i partner nell’Ue e nell’Alleanza atlantica. La predizione è a tinte fosche, per via dei rischi che la nuova stagione populista comporta sia per i risultati faticosamente conseguiti finora, sia per l’annuncio di riforme costituzionali che possono favorire il populismo, anziché contenerlo, come il presidenzialismo. Ma la preoccupazione per l’avvio d’una nuova stagione populista è tutt’altro che convincente per almeno tre motivi.
Il primo riguarda la storia italiana, in cui movimenti di tipo populista non sono mancati ben prima della legislatura che si è appena conclusa. Basti pensare al secondo dopoguerra, con l’effimero successo del fronte dell’Uomo Qualunque, che concepiva la complessa macchina dello Stato in termini semplicistici, con la metafora del buon ragioniere non rieleggibile alle successive elezioni (un anticipo della richiesta di limiti ai mandati degli eletti); alla dilatazione delle richieste referendarie negli anni ottanta del secolo scorso; agli anni novanta, in cui si sviluppò una critica radicale delle istituzioni rappresentative, considerate preda di caste privilegiate e di consorterie corrotte, cui si contrapposero le persone provenienti dal popolo e alcuni integerrimi magistrati poi entrati in politica.
Non è convincente nemmeno il giudizio sulla stagione che si è appena conclusa. Da un lato, all’interno dell’ampia maggioranza che ha sostenuto il governo Draghi non sono mancati cedimenti, come le richieste di conservare misure di spesa discutibili sotto il duplice profilo dell’eguaglianza e della trasparenza e i disallineamenti rispetto alla posizione assunta sull’invasione dell’Ucraina. Su questa posizione, al contrario, si è registrato il sostegno dell’opposizione, che adesso si appresta a governare.
Infine, il significato delle elezioni va analizzato in modo più accurato, meno emotivo: non entra nelle istituzioni rappresentative alcuna lista che evochi apertamente il recesso dell’Italia dall’Ue; tra quelle che tornano in Parlamento, il Movimento 5 stelle ha deposto da tempo la richiesta di uscire dall’area della moneta comune, l’euro; vi sono partiti che fanno parte delle grandi famiglie politiche che hanno concorso a realizzare il progetto dell’Europa unita, come quella popolare, quella liberale e quella socialista. La nuova maggioranza è disposta a rispettare quel progetto, approvato nel corso del tempo da varie generazioni di cittadini italiani, adeguandolo alle nuove esigenze? Lo vedremo presto, a cominciare dalle scelte che saranno prese sulla legge di bilancio, sulla riforma del meccanismo europeo di stabilità, sulla determinazione dei prezzi dell’energia e del gas.