il commento

La vanità del leader che Meloni sembra non conoscere

Giuliano Ferrara

Il suo contegno nella vittoria è un vaccino contro i rischi del papeetismo. La contingenza politica però potrebbe risvegliare gli spiriti animali di un tolkienismo male assimilato 

E’ da notare che tra i mezzibusti dei tg, i più vanitosi sono i maschi. Faccine, cadenze vocali, sguardi: gli ometti abbondano in atteggiamenti, attuzzi e mossette, mentre le signore tendono a una certa fissità e compostezza, lavorano secondo un manuale perfino serioso di comportamento. Lo si vede in particolare al Tg1, dove la direttrice Monica Maggioni, che quando conduce batte tutti i primati di vanità, credo spontaneamente, senza nemmeno accorgersene, ha messo lodevolmente al timone molte anchor direi perfette a dire le notizie senza interpretazioni e accentuazioni vanesie. 


La vanità è anche la spiegazione che dà conto di molti ruoli e comportamenti pubblici, specie in politica. Nel campo Salvini è un fenomeno senza paragoni.

Tutta la costruzione della sua gestualità politica, lo spettacolo di un fallimento, procede dall’ipertrofia dell’ego, ma non nel senso noto della incantevole megalomania berlusconiana, che già ispirò la grande vena letteraria del chiarissimo professor Cordero. Il Cav. si vende come prodotto commerciale ineguagliabile, sempre con un briciolo di autoironia e non piacendosi troppo, Salvini si guarda e si ammira in ogni occasione e postura, sistematicamente: a torso nudo, con lo smoking, in divisa, con la felpa di Putin, mentre riposa, mentre mangia salumi, mentre arringa folle e funzionari con la stessa temeraria boria dopo le vittorie e dopo le sconfitte. La sua carriera di leader è una lunga sfilata in passerella, non sculetta come le mannequins perché ha un assetto massiccio, ma è come se lo facesse, e tutti se ne accorgono. Non è un cattivo soggetto, politica e bestiale fanatismo a parte, ma è un immaturo.

La questione vanitosa riguarda molti. Di Calenda e Renzi inutile stare a parlarne, tra il romanesco affettato dell’Italia sul serio e il rinascimento fiorentino sempre a verbale, le loro notevoli qualità sono spesso sopravanzate da ventosità, spocchia, immodestia. Ma non è che Enrico Letta sia da meno, per quanto abbia fatto della compostezza la carta perdente di una tornata elettorale sghemba, in cui i voti sono rimasti pressappoco gli stessi eppure gli schemi e i numeri delle alleanze hanno fatto registrare l’en plein della destra. D’altra parte Balzac, che aveva intuito per i recessi e le superfici dell’animo umano, sosteneva che la modestia è quella qualità che viene presto a mancare non appena se ne rivendichi il pieno possesso.

Invece Meloni, quando grida e quando tace, da tribuno e da would be statista, ed eccoci di nuovo al discrimine tra femmine e maschi in materia di vanità, offre sempre l’impressione di una fatica, di un duro e magari sporco lavoro che qualcuno dovrà pur fare. Il suo contegno nella vittoria sembra una quinta dose di vaccino contro i rischi del papeetismo e la sua tigna nella difesa della privacy personale e familiare depone bene quanto al carattere. Nulla è acquisito. La contingenza politica può fare brutti scherzi. La sottile vena di draghismo metodologico che si intravede nell’austerità vocale e di atteggiamento del futuro premier può lasciare il passo agli spiriti animali non dico dell’eredità postfascista, ché per il fascismo come ben detto da Garton Ash bisogna guardare a Mosca piuttosto che a Roma, ma di un tolkienismo male assimilato, un estremismo fantasy incurante dell’opinione del grande Autore: diceva che “la cosa più inadatta per qualsiasi uomo, anche per i santi (che almeno non se l’assumevano volentieri) è governare altri uomini” (dalla Lettera sulla trasparenza, citata in Wikipedia). Però chissà le donne, che ormai sono in media meno vanitose.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.