(foto Ansa)

lo scenario

Da Bossi a Zaia: ora Salvini ha un problema col nord (e con la squadra dei ministri)

Ruggiero Montenegro e Luca Roberto

Il leader del Carroccio ha convocato per domani un nuovo Consiglio federale. Nel frattempo dal Senatùr a Castelli ad altri storici esponenti leghisti, cresce la fronda interna che chiede un cambio. Il silenzio attendista dei governatori, che si aspettano risposte anche dalla composizione del nuovo esecutivo

L'appuntamento è per domani a Roma, alle ore 15, quando la Lega riunirà il Consiglio federale: l'obiettivo è consegnare all'Italia "la squadra di governo migliore possibile". Una nota, quella diffusa dal Carroccio, quasi banale, ovvia, se non fosse che per quella squadra di governo passano anche le sorti di Matteo Salvini. In queste ore il leader leghista si muove infatti tra due fuochi: da una parte i nomi dei ministri, il governo che sarà, dall'altra le grane interne e la spinta dei territori del nord che vogliono far valere il loro peso.

 

D'altra parte che la posizione del fu capitano non sia più salda come un tempo, non è un mistero. E se Roberto Maroni lo va ripetendo già da qualche giorno  - "è tempo di un nuovo segretario", indicando il profilo di Luca Zaia - nelle scorse ore ci si è messo anche Umberto Bossi, che non deve aver troppo gradito la gestione della sua candidatura (alla fine è risultato rieletto dopo un riconteggio del Viminale), oltre che la deriva del partito. Il fondatore della Lega ha dato vita al "Comitato nord", una struttura interna di cui i passaggi organizzativi sarebbero già a buon punto, che per Bossi rappresenta "un passaggio vitale finalizzato esclusivamente a riconquistare gli elettori del Nord, visto il risultato elettorale del 25 settembre per rilanciare la spinta autonomista".

La battaglia originale, insomma, quella che Salvini, secondo molti leghisti della prima ora, si è dimenticato di portare avanti. Gli imputano i quasi tre anni di governo nella scorsa legislatura senza che il tema fosse posto in maniera seria. Gli avvertimenti dal Veneto, non a caso, erano arrivati già prima delle elezioni: l'autonomia come la linea del Piave. "Se non venisse concretizzata si tradirebbe la parola data ai cittadini e non avrebbe più senso rimanere al governo", era la velata minaccia di Roberto Marcato, tra i fondatori della Liga Veneta. Poi sono arrivate le urne, un risultato intorno al 9 per cento e la Lega spesso doppiata in molti territori del nord.

Così la fronda interna ha preso consistenza e Salvini non potrà che tenerne conto nei prossimi passaggi. Ed è ancora dal Veneto, da quelli che a vario titolo ruotano intorno all'universo Zaia, che arrivano in queste ore gli affondi più duri: "Il comitato di Bossi? Sono pronto ad aderire. Inutile parlare di autonomia, di imprese se poi si fa tutt'altro, magari concentrandosi sul ponte di Messina", attacca Gianantonio Da Re, meglio noto come Toni, europarlamentare trevigiano dal 2019 e volto storico della Liga.  "Autonomia, federalismo, lavoro e territorio non sembrano più essere lo scopo della Lega e così c'è chi si smarca",  gli fa eco Roberto Marcato, che in regione ricopre la carica di assessore allo Sviluppo economico e che del Veneto, insomma, gli umori li conosce. Così come il consigliere regionale Fabrizio Boron, eletto con le liste di Zaia, parla di "malessere del territorio", della "distanza del partito": "Da tre anni non si fanno congressi, non si è riusciti a fare l'autonomia, ma in compenso abbiamo votato il reddito di cittadinanza, una specie di cassa del mezzogiorno", le sue parole riportate dal Gazzettino.  L'ex ministro del Bilancio, il leghista Giancarlo Pagliarini, sul comitato ha usato parole di segno contrario ma su una riorganizzazione del partito non ha dubbi. E infatti sta per costituire una "Alleanza per l'Autonomia", che ha l'obiettivo di battere su uno dei tasti più identitari dell'elettorato che si riconosce nel sole delle Alpi.

 

Sono sfumature diverse di uno stesso malcontento, a cui si è iscritto ieri anche Francesco Speroni. "Penso che aderirò al Comitato costituito da Bossi", dice lo storico leghista ed ex ministro delle Riforme nel governo Berlusconi I. E sulla stessa lunghezza d'onda si sono registrate le parole dell'ex ministro della Giustizia Roberto Castelli. "Bossi è una persona fondamentale, un vecchio leone che lotterà fino alla fine", ha ragionato nelle scorse ore a proposito del nuovo progetto all'interno della Lega. "Se il comitato del nord parte da una precisa esigenza di portare alla ribalta il dibattito sulla questione settentrionale, ben venga. Ma vediamo come si svilupperà e vedremo la vera essenza di questa iniziativa". Sono parole che echeggiano quelle che lo storico esponente del Carroccio aveva detto nell'immediato post voto. E cioé che la stagione del Salvini premier è giunta agli sgoccioli e che a sostituirlo sarà uno dei governatori del nord, in un passaggio di consegne naturale.

Già, i governatori. Zaia e Fedriga in primis, che nelle scorse ore sono rimasti silenti, ufficialmente si uniformano al dettato di un partito che rimane leninista. Ma in privato non nascondono affatto l'irritazione per il radicamento che il loro partito ha perso nelle loro roccaforti, dove viaggiano su percentuali bulgare dopo aver dato prova di buon governo (questo sprattutto in Veneto).

Salvini insomma, che per escogitare una exit strategy sta pensando di legittimare la creazione di una fattispecie politica che per adesso si è vista solo a sinistra, e cioè le correnti, da qui a domani dovrà cercare di mantenere un complicato equilibrio. Perché se è vero che nel secondo Consiglio federale convocato in meno di una settimana vorrà indicare se non i nomi quantomeno i profili ideali di potrà essere investito del ruolo di ministro, di certo non potrà fare a meno di ascoltare quel che avranno da dirgli i suoi amministratori. Sempre più vicini, questo è oramai evidente, alla gestione primigenia, quella di Bossi. Un modo per far capire al segretario che nessuno è insostituibile. Soprattutto dopo una débacle elettorale di queste proporzioni. 

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