Meloni torna a fare Meloni, e le tensioni con Draghi e il Quirinale deflagrano
La leader di FdI attacca su Pnrr e Consiglio europeo. Per Palazzo Chigi è un atteggiamento "insultante". Altro che idillio. E intanto le sue consultazioni da "quasi premier" generano irritazione al Colle: il caso dell'incontro con Cingolani. I "nuovi" ministeri, come quello del Mare, destinati a essere subito accantonati
L’accidente che ha fatto deflagrare la tensione è stato forse il più banale. Perché se Roberto Cingolani ha fatto visita a Giorgia Meloni, per spiegarle lo stato dell’arte delle trattative europee sul gas, l’ha fatto, nella sua idea, proprio per “dovere istituzionale”, ché “sono un ministro tecnico ed è giusto dare continuità allo sforzo italiano sul price cap”. Insomma il capo del Mite non immaginava che quell’incontro avrebbe prodotto più di qualche risentimento a Palazzo Chigi e al Quirinale, dove la cosa è stata vista come sgrammaticata. E però, se tanto basta – e questo tanto è così poca cosa – a innescare mal sopite polemiche istituzionali, è perché in realtà il chiacchierato idillio tra la premier che verrà da un lato, e Mario Draghi e Sergio Mattarella dall’altro, è assai più problematico di quanto si racconta. E riguarda l’assetto del governo futuro, nel suo complesso, e la sua proiezione europea.
E allora quasi fatalmente succede che la prima riunione dei vertici di FdI dal giorno del voto arrivi a rivelare le distanze persistenti tra la Meloni che è e quella che si pretenderebbe fosse. Quando al direttivo dei patrioti la leader della destra parla di un Pnrr impantanato (“i ritardi sulla sua attuazione sono evidenti e difficili da recuperare; è una mancanza verrà attribuita a noi da chi l’ha determinata”), a Palazzo Chigi sollevano un sopracciglio di fronte a quell’accesso di vittimismo preventivo tipico di chi voglia mettere le mani avanti. Ma fanno esercizio di dissimulazione. Quando però, di lì a poco, le agenzie riferiscono della nettezza con cui Meloni parla del prossimo Consiglio europeo del 20 ottobre, quello a cui lei non andrà, come di un “fallimento” annunciato, la perplessità di Draghi diventa irritazione. Perché parlare così di quell’appuntamento decisivo, e farlo nel giorno in cui proprio Cingolani ottiene di riaprire la trattativa sulla riforma del mercato del gas, significa adottare “toni insultanti verso la Commissione”.
Ed è per questo che il premier, nella cabina di regia del Pnrr convocata per fare il punto sul cantiere del Recovery, decide di utilizzare parole nette per confutare le accuse di Meloni. Che suonano ancora più scombiccherate, a Palazzo Chigi, perché lì le si legge alla luce delle bizzarre dinamiche interne alla schiera dei boiardi di stato che sul Pnrr lavorano. E dunque ciò su cui si potrebbe forse accelerare è nel varo dei decreti attuativi del ddl Concorrenza su cui però proprio Meloni, Salvini e Tajani hanno lanciato l’altolà: “Che nessuno faccia colpi di mano sulle norme più controverse”. Vedi alla voce “balneari”: la norma per avviare le gare delle concessioni è pronta, se non fosse che al Dipartimento per gli affari giuridici del governo, guidato da Carlo Deodato, c’è chi, forse proprio nell’ansia di accreditarsi col nuovo corso, temporeggia più del dovuto.
E qui, allora, si capiscono le ragioni di un’insofferenza, quella nei confronti di certe intemperanze meloniane, che tra Palazzo Chigi e gli uffici del Quirinale è più profonda di quanto non emerga. Ed è un’insofferenza che va oltre certi sbuffi per quel mercanteggiare fin troppo disinibito, come da prassi, di funzionari e burocrati ancora in carica. Riguarda, ad esempio, anche la fisionomia del nuovo esecutivo. L’idea di istituire un mirabolante ministero del Mare, per dire, difficilmente troverebbe grande accoglienza, al Colle. Così come poco convincente appare lassù l’ipotesi, circolata in questi giorni tra i vertici di FdI, di riportare le deleghe dell’Energia in capo al Mise, scombussolando di nuovo le gerarchie di quel ministero per la Transizione ecologica che è, per l’appunto, centrale per l’attuazione del Pnrr.
E forse anche questo avrà spiegato Cingolani a Meloni, due giorni fa. Se ha accettato l’invito a recarsi nell’ufficio della leader di FdI, del resto, è stato per chiarire, a lei e ai suoi cinque collaboratori presenti all’incontro, la necessità di considerare con attenzione il ruolo italiano all’interno del quadro delle alleanze europee decisive per dare forza alla proposta sul price cap. Che è poi l’altro cruccio condiviso da Draghi e Mattarella: le relazioni diplomatiche del prossimo governo. “Quelle con l’Eliseo saranno decisive”, convengono i fedelissimi della Meloni. Con un candore forse eccessivo, però. Al punto che in FdI c’è stato chi si è sorpreso quando, all’indomani della vittoria nelle urne, né dal Colle né da Palazzo Chigi si sono levate voci formali in risposta all’allarme lanciato dalla premier francese Elisabeth Borne sul rispetto dei diritti. E c’è stato pure chi s’è sorpreso nello scoprire che, nelle stesse ore, la speranza di un sostegno transalpino alla candidatura di Roma per l’Expo 2030, indispensabile per provare a lanciare una “scelta europea”, evaporava, innescando la slavina decisiva che ha chiuso la partita a favore di Riad. Che pure in quanto a rispetto dei diritti, non eccelle.