Foto dal profilo Facebook di Elena Donazzan

l'intervista

Donazzan: “È tempo che il Veneto sia governato da Fratelli d'Italia”

Francesco Gottardi

"Adesso i tempi sono maturi per diventare governatore", ci dice l'assessore all'Istruzione della giunta Zaia. Il fascismo? "Spero che un giorno si giudichi come a scuola si parla di Atene e Sparta". L'autonomia? "Con Meloni al governo si farà"

Elena Donazzan si dice “a disposizione”. Del partito, del territorio, del paese. “Ma non fatemi scegliere tra Italia e Veneto”, dice al Foglio l’assessore regionale all’Istruzione: “Sarebbe come chiedermi se voglio più bene alla mamma o al papà”. Dilemma a metà. “Non è una novità che il mio sogno sia diventare governatore. Solo che adesso i tempi sono maturi”. Fratelli d’Italia alla conquista del nordest. L’èra Zaia in scadenza nel 2025. La Liga in fibrillazione, perché perdere pure Palazzo Balbi sarebbe lo smacco definitivo. “Un anno fa nessuno ci avrebbe mai scommesso”. E invece. “I cittadini hanno premiato la nostra coerenza, punendo il caos nel Carroccio. Ma niente illusioni: si tratta di voti in prestito”. Cioè? “Otto anni fa, pure i veneti avevano scelto Renzi. Poi il M5s. Quindi Salvini, che nelle piazze faceva dieci minuti di comizio e due ore di selfie. Viviamo nell’epoca dell’elettore non fidelizzato. Oggi tocca a noi”.


Merito di Meloni. “Certo. Quando si valutava se appoggiare l’ultimo governo, io spinsi per considerare il sentimento delle imprese venete: da queste parti Draghi è il migliore del mondo. Eppure Giorgia andò per la sua strada. Paziente e pragmatica, anche dopo aver perso Verona. Ha avuto ragione lei”. Con un folto seguito di parlamentari, neoeletti in lista FdI. Donazzan non c’è. “Anche lì avevo dato la mia disponibilità a candidarmi”. Rammarico? “Realismo, semmai. Io sono l’assessore alle stesse deleghe più longevo d’Italia. Mi ritengo governativa, in quanto la politica può risolvere i problemi del territorio. E infatti Zaia è il mio presidente, perché sa interpretare il Veneto come pochi. Ma presto noi, da primo partito, potremmo rivendicare il suo ruolo: ho le competenze per subentrargli. Servo qui, insomma”.


C’è dell’altro. Ha mai contato quante volte le hanno chiesto di dimettersi? “Svariate”, Donazzan ride forte. “Anche da parte di un esponente della Lega, in un caso”. Quella volta che canticchiò Faccetta nera alla radio. “Fu una provocazione!”, specifica lei, “in difesa del pastificio che propose le abissine rigate: per sfondare il muro del politicamente corretto servono titoli ad effetto. Non mi piace il pensiero unico. Ho le mie posizioni su famiglia, vita e storia. Ma sono più trasversale di come mi raccontano. E non sopporto quando mi attaccano come donna”. Per esempio? “Un giorno i centri sociali di Padova realizzarono un manifesto con inciso una svastica sulla mia faccia”. Come in Bastardi senza gloria. “Mai visto, non apprezzo i film violenti. Fatto sta che nessuno mi ha dimostrato solidarietà. Anche se faccio più io per le pari opportunità dell’intera sinistra”.


Figurarsi se questo giornale non è sensibile ai rischi dell’ideologia woke. Ma come tirare in ballo il pol. corr., quando si presenzia alle commemorazioni della divisione repubblichina X Mas che si macchiò di crimini di guerra? “Non esistono cerimonie per i corpi militari, ma per gli eccidi”, puntualizza Donazzan. “Ogni 25 aprile mi reco alla foiba Buso sull’altopiano di Asiago, dove furono buttati dei soldati nazisti. Chi siamo noi, oggi, per giudicare cosa accadde durante una guerra civile? Spero che un giorno si giudichi il fascismo come a scuola si parla di Atene e Sparta. Tra parentesi, io tifavo Sparta”. Ci mancherebbe. È mai andata a ricordare una strage nazifascista? “Sì. A Pedescala, nel Vicentino. Venite a fare un blitz nel mio ufficio”, invita l’assessore. “Ho migliaia di libri che piacerebbero anche all’Anpi. Al liceo in storia avevo 8. E il mio prof faceva parte dei partigiani bianchi, di cui spesso ci si dimentica. Perché la Resistenza è divisiva. Mentre il 4 novembre”, data dell’armistizio del 1918, “non è nemmeno festa nazionale”.


Ecco. FdI oggi si sforza di fornire presentabilità istituzionale. Non è che discorsi del genere offrono il fianco agli avversari? “Ascolti, di voti ne ho avuti tanti. E ai cittadini parlo di lavoro, istruzione, patria. Fondi europei e rincaro energetico. Conta la proposta politica. Il passato non interessa”, urne alla mano. “Semmai i veneti vogliono sentirsi rassicurati sull’autonomia: Meloni ha garantito che si farà. Perché un presidenzialismo stabile necessita di una sussidiarietà efficiente. Noi siamo l’insieme di queste due identità. Mentre il centrosinistra si è scavato la fossa, a furia di gridare al pericolo nero”. Ultima ramanzina. “Per colpa delle sue domande sul fascismo”, la chiacchierata è stata lunga, “io ho appena perso un appuntamento”. Chiudendo il telefono, l’occhio scivola sul suo stato Whatsapp: “Presente!”. E ti pareva.
 

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