Così Letta è finito nella morsa di Conte e Calenda
Il M5s cresce al sud, il Terzo polo è uno spauracchio al nord. A Milano sono a rischio tutti e quattro i collegi considerati sicuri. A Napoli, come a Palermo, ai gezbo del Pd arrivano attivisti grillini con la card gialla del Reddito di cittadinanza. E Renzi se la ride
Infieriscono, perfino. Da un lato e dall’altro. Giuseppe Conte, arrivato a Torino, due giorni fa, rincuorato dalla folla accorsa a vederlo a Borgo Vittoria, quando s’è sentito dire che al mercato di corso Palestro, poche ore prima, Debora Serracchiani era stata accolta con un certo disinteresse, s’è lasciato scappare un mezzo ghigno: “Non riferiteglielo a Enrico Letta, sennò penserà che sono tutti putinisti in Piemonte”. Matteo Renzi, dal capo opposto, se la ride di gusto: “Letta poteva fare tre cose, tutte comprensibili: fare l’alleanza neo gauchista col M5s; fare l’alleanza draghiana con noi del centro; oppure andare da solo. Ha fatto la quarta cosa: un disastro”. Un accanirsi da insolenti, forse. Ma di certo c’è che Letta sta davvero lì, nel mezzo: stretto nella morsa dei suoi alleati potenziali che ora si rivelano i suoi nemici più temibili. E così i candidati in Lombardia segnalano che la crescita del Terzo polo rischia di far perdere anche quei pochi avamposti rimasti validi; da Napoli, al Nazareno arrivano segnali opposti: “Qui i 5 stelle volano”.
A Ercolano, per dire, i militanti dem che presidiavano un gazebo, sono stati avvicinati da un gruppo di cittadini locali che, brandendo in aria la card gialla del Reddito di cittadinanza come si fa coi trofei da sventolare sul grugno dei nemici, hanno chiarito in modo inequivocabile per chi voteranno. Vuol dire che le scene viste a Palermo, con la gente che acclama Conte manco fosse il santo del paese da riverire per la grazia ricevuta durante la processione nel giorno di festa (“Ecco il padre del Reddito”), non sono fenomeni isolati. Lo sanno bene a Napoli, dove l’ascesa del M5s, sia pure nella sua forma di contismo come culto della persona, l’hanno vista crescere per tempo. E per quanto il segretario provinciale, il giovane Marco Sarracino dissimuli ottimismo, il rischio percepito da molti è che i grillini possano perfino accaparrarsi uno o due collegi.
A Milano sono quattro, quelli che ballano. E per il motivo opposto. Lì la minaccia arriva dal centro. E del resto, le proiezioni arrivate al Nazareno, quelle che abbozzano dei confronti col voto del 2018, sono da brividi. La volta scorsa, gli unici quattro collegi che in Lombardia il centrosinistra riuscì a strappare – tre alla Camera e uno al Senato – gravitavano tutti intorno al centro di Milano: la vittoria arrivò con un margine risicato (dai 2 ai 6 punti), ma col contributo fondamentale di +Europa, che sotto la Madonnina andò oltre il 10 per cento. Ora, con quell’area calamitata in gran parte dal Terzo polo, i dem locali temono di perderli tutti e quattro. Lì, insomma, Letta – che pure a Milano è candidato, e che però s’è fatto vedere una volta sola, da quelle parti, in campagna elettorale – dovrebbe coprirsi più al centro. “Dovrebbe fare il Letta: cioè puntare su competenza e serietà”, dice Benedetto Della Vedova, che proprio in uno di quei collegi che parevano blindati, e che ora paiono contesi, se la dovrà vedere con Giulio Tremonti. Europeisti e no, insomma: e tanto si pensava potesse bastare a vincere, nel salotto buono meneghino. Solo che il corso degli accidenti, l’infausta strategia delle alleanze di Letta, fanno sì che tra i due contendenti possa intromettersi, a scombussolare i piani del Pd, Carlo Calenda: a fare da arbitro involontario. Al leader di Azione è bastato vedere il video di Letta che fa appello al voto utile, del resto, per esultare: “E’ il video di chi sa che ha perso. E se la gente percepisce che hai perso, allora diventa liberi tutti: altro che voto utile, si legittima il voto d’opinione”.
E poi c’è l’altro voto, che a volte un po’ spaventa i dem: quello che nel Pd, per delegittimarlo, chiamano clientelare. E che però, se pure di questa natura fosse, varrebbe comunque a creare danni. E’ il caso della Basilicata, dove Letta sperava di bonificare il feudo che fu a cinque stelle nel 2018. E però, la recrudescenza del grillismo al meridione, combinata con l’attivismo dei Pittella – eccola, la supposta clientela – passati entrambi al Terzo polo, mette anche un uomo di governo uscente, come Enzo Amendola, in una posizione scomoda assai. Pure lui nel mezzo. Come Letta, appunto.