I sospetti incrociati tra Renzi, Pd e M5s. Il sostegno a La Russa nella trattativa per le vicepresidenze

Valerio Valentini

Santanchè e Ciriani a caccia dei voti delle opposizioni. Le telefonate all'alba, poi la sorpresa nell'urna. Come si è arrivati al rodeo dei franchi sostenitori per FdI. Letta teme la manovra a tenaglia di Pd e Terzo polo. Le accuse a Franceschini e Patuanelli. Il racconto della giornata in cui le opposizioni hanno salvato la Meloni

Dalle parti del Terzo Polo, le telefonate di Daniela Santanchè sono arrivate di buon mattino. “Con Forza Italia non si ragiona. Voi, in caso, che fate?”. E che la senatrice lombarda se lo sia preso a cuore, l’incarico di procacciare voti, lo dimostrerà del resto qualche ora dopo, quando s’avvicinerà al Cav., lo vezzeggerà un po’, lo prenderà sotto braccio e lo condurrà fin dentro il catafalco. “Grande Daniela, un altro voto in più”, sorridono i suoi colleghi. Nel frattempo, però, i vertici del gruppo grillino venivano avvicinati da Luca Ciriani: una battuta con Mariolina Castellone, una pacca sulla spalla a Marco Croatti. “Nel decomporsi della maggioranza, c’è un po’ di opposizione che proprio opposizione non è”, maligna il dem Alessandro Alfieri.

Che è un peccato, a vederla dall’ottica di chi dovrebbe volerlo mettere in difficoltà la destra. “Perché nelle commissioni gli equilibri saranno precari: basterà pochissimo per mandarli sotto”, dice Daniele Manca, del Pd. E per questo Marco Meloni, luogotenente di Enrico letta a Palazzo Madama, spiega che l’appello all’unità delle opposizioni non era una mossa simbolica: “Solo che qui, ormai,  pur di andare contro al Pd, M5s e Terzo polo accettano perfino di puntellare la Meloni”. E sembra sentirle, queste parole, Carlo Calenda. Perché pochi metri più là, nel Salone Garibaldi che lo vede fare il suo esordio da eletto, ribatte “che le opposizioni sono tre, ed è un dato di fatto. Chiederne la federazione è il modo che usa Letta per non scegliere se vuole stare col centro riformista o coi grillini”.

In verità, secondo i centristi la scelta l’ha già fatta. E infatti prima che il rodeo dell’Aula inizi, Matteo Renzi intercetta Stefano Patuanelli fuori dalla buvette: “Vi state mettendo d’accordo per tagliarci fuori, eh?”, gli dice. Il ministro del M5s si stringe nelle spalle: “Non ne so nulla”. Poco più tardi, però, un dirigente dem lo avvicinerà proprio per convenire che sì, volendo, i numeri per blindare le poltrone da spartire ci sarebbero. E sembra una storia diversa, questa, che con l’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato. E invece c’entra.

Il punto è che all’opposizione spettano due vicepresidenze e due questori: ruoli ambiti, per il prestigio e i denari che ne derivano. “Logica vorrebbe che il Terzo polo, con soli 9 senatori, non ottenga nulla”, spiegano al Nazareno. Solo che  Renzi si sa com’è fatto. “E infatti quando con Calenda, mercoledì sera, ci siamo accorti che stavano cucinando il biscotto – racconta il leader di Iv – sono intervenuto e ho chiamato Dario Franceschini dicendogli che non lo avremmo accettato”. Eccolo, l’altro vertice delle trattative indicibili. Per la prima volta senatore dopo cinque legislature vissute tra Montecitorio e i ministeri, è l’uomo con cui tutti in effetti vogliono parlare. Ed è naturale che sia lui, un altro indiziato. Il punto è questo: siccome le cariche da assegnare all’opposizione vanno votate col sostanziale avallo della maggioranza, ognuno ha le sue accuse da distribuire. “E’ stato Renzi, che punta al Copasir per sé o alla Vigilanza Rai per la Boschi, e poi vuole un questore che non gli spetta”, urlano nel M5s. “Ma oltre a quello di Renzi, c’è lo zampino dei grillini”, replicano nel Pd. E via così.

Ma forse un pezzo di verità lo racconta Maria Stella Gelmini quando spiega che nel segreto dell’urna contano, assai più delle grandi manovre, le piccole faccende personali: ambizioncine, dispetti. “E La Russa, che è uomo di mondo, in quattro anni da vicepresidente del Senato ne avrà fatti, di favori”. Del resto FdI sapeva che, senza quelli di FI, partiva con 101 voti, contando anche quelli raccattati tra  eletti all’estero, pattuglie delle autonomie, perfino quella Dafne Musolino del movimento messinese di Cateno De Luca. “A quel punto è partita la pesca a strascico, che noi abbiamo sottovalutato”, confessa l’azzurro Maurizio Gasparri. Ma di voti ne sono arrivati ben più dei tre necessari. Se si attribuiscono alla Lega le due preferenze per Calderoli, si parla di almeno 18 schede. “Ed è una grande prova di insipienza delle opposizioni, che  con la loro debolezza rafforzano una coalizione di centrodestra che nei fatti non c’è”, ragiona Andrea Orlando. Il quale sa che, in questo rodeo delle ambiguità, forse è proprio il Pd quello che ha più da perderci, costretto com’è a un certo obbligo di coerenza e linearità, mentre sia i grillini sia i terzopolisti possono sperare di lucrare sullo sbandamento dem in questa lunga transizione verso il congresso. E’ dunque questa, l’arma segreta della Meloni? La fluidità degli intendimenti di chi dovrebbe combatterla? “Ma anche fosse, quanto può durare? Il governo mica lo fai coi voti segreti della minoranza”, insiste Gasparri, parlando coi colleghi del Pd. Proprio mentre passa la Santanchè. Che al futuro non vuole pensarci: “Ogni giorno ha la sua pena, ma oggi siamo felici”. Grazie alle opposizioni? “Anche”.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.