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La Russa presidente del Senato: il discorso e un mazzo di rose bianche per Segre
"Grazie a chi mi ha votato, anche fuori dalla maggioranza". L'intervento della nuova seconda carica dello stato
Ignazio La Russa ha assunto la presidenza del Senato salendo sul più alto scranno di Palazzo Madama. L'esponente di FdI ha portato un mazzo di rose bianche per Liliana Segre, che prima ha citato date fondamentali della Repubblica che non devono essere divisive: 25 aprile, 1 maggio e 2 giugno. Applausi dai banchi del centrodestra, Forza Italia compresa. Applausi più tiepidi anche dai banchi dell'opposizione. "Non ho preparato un discorso, ma voglio iniziare ringraziando tutti quelli che mi hanno votato, quelli che non mi hanno votano e quelli che si sono astenuti e se mi consentite quelli che mi hanno votato pur non facendo parte della maggioranza di centrodestra", ha detto La Russa, che ha concluso dicendo che sarà sua premura"essere il presidente di tutti".
Pubblichiamo qui di seguito uno stralcio del suo discorso.
Mi spiace tenervi ancora in Aula, dopo una mattinata di lavoro, ma la prassi vuole che il presidente faccia subito un discorso. Non ci crederete, ma non l’ho preparato minimamente. Avevo una bozza, che cercherò di ripercorrere, ma certamente, prima ancora della bozza e dei ringraziamenti, che sono normali, abituali e sentiti, voglio ringraziare tutti quelli che mi hanno votato, quelli che non mi hanno votato, quelli che si sono astenuti e – se me lo consentite – quelli che mi hanno votato pur non facendo parte della maggioranza di centrodestra. Grazie davvero di cuore.
Il ringraziamento e il pensiero deferente vanno naturalmente al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ho conosciuto e apprezzato sin da prima che diventasse presidente della Repubblica, quando preparava quello che poi passò con il nome di Mattarellum e poi dopo il Tatarellum. Ho conosciuto la sua intelligenza e la sua capacità politica, che ancora oggi manifesta nel suo altissimo ruolo. Egualmente, ho conosciuto e apprezzato le posizioni politiche distantissime del presidente emerito Giorgio Napolitano, nei cui confronti si era creata una vera simpatia, almeno da parte mia, che ho avuto modo di servire come ministro della Difesa, essendo lui allora il capo delle Forze armate italiane.
Il mio ringraziamento sincero va alla presidente di questa giornata, senatrice Segre, che non voglio chiamare presidente provvisoria, ma presidente morale. Non c’è una sola parola di quello che ha detto che non abbia meritato il mio applauso. (...)
Lasciatemi dire che nella mia lunga vita politica i momenti più toccanti, che ricordo con più tristezza, ma anche con più dedizione, sono quelli in cui sulle mie spalle ho portato le bare dei soldati caduti in Afghanistan, che mi toccava ricevere. A loro, a tutti i militari e a tutti i caduti di ogni guerra, va il mio deferente omaggio. Purtroppo la guerra non è solo un ricordo, ma un’attualità drammatica e dolorosa, che vorremmo finisse ora, in questo minuto. Vorremmo che il clamore delle armi fosse sostituito dalla voce di trattative che possono arrivare però solo con giustizia, perché non può esservi mai pace senza giustizia. Visto quindi che parliamo drammaticamente e tristemente di guerra per quello che i patrioti ucraini stanno subendo in questo periodo, a loro va il mio pensiero, così come va ai profughi e ai rifugiati ucraini e di ogni parte del mondo che scappano dalla guerra e che devono essere accolti con onore.
Qualcuno di voi ha avuto occasione di conoscermi, qualcuno di apprezzarmi e qualcuno meno: lo capisco, l’agone politico è quello che ci porta al confronto, a volte anche battagliero e teso. Però ho la speranza in cuor mio di sapere che quelli che mi hanno conosciuto quando ho avuto ruoli istituzionali abbiano potuto apprezzare il mio totale rispetto per le istituzioni. Quando sono chiamato ad assolvere un ruolo sopra le parti, posso assicurarvi che lo faccio con assoluta dedizione. Voglio quindi dire a questa Assemblea che sarò inflessibile nel difendere, nella stessa identica maniera, i diritti della maggioranza e quelli dell’opposizione; mi troverete pronto su questo.
Ho cominciato a fare politica appena nato, perché mio padre faceva politica; faceva – come me – l’avvocato, aveva le sue idee, che non ha mai rinnegato. A differenza di mio fratello maggiore, che era democristiano – in casa mia si respirava aria di libertà e lui non è stato mai rimproverato di non seguire l’idea che era prevalente in famiglia, di destra – io ho cominciato a fare politica nelle organizzazioni giovanili: l’ho fatta nei momenti duri, durissimi, della contestazione, della violenza, della resistenza al terrorismo. C’è una frase che mi ha ispirato su come comportarmi in quegli anni, quando l’immagine che oggi vediamo non solo non era possibile, ma non era neanche sognabile ed immaginabile. Era una frase di un presidente della Repubblica italiana, di estrazione certamente non identica alla mia. Questo presidente, che abbiamo apprezzato anche nelle sue esternazioni extrapolitiche (penso a quando abbiamo vinto i campionati del mondo di calcio), era Sandro Pertini e la frase era la seguente: “Nella vita talvolta è necessario saper lottare non solo senza paura, ma anche senza speranza”. La lotta non avviene – aggiungo io – solo quando pensi di poter vincere, ma quando pensi che quell’occasione valga la pena di essere vissuta. Grazie a Sandro Pertini per questo insegnamento. (…)
Siamo qui, nell’Aula del Senato, con una doppia iscrizione alle mie spalle molto importante. Forse qualcuno non lo sa, ma si discusse se il Senato della Repubblica dovesse essere chiamato così o Camera dei senatori, così come la Camera dei deputati. Prevalse – e me ne rallegro – la dizione “Senato della Repubblica”, perché è l’emblema del nostro senso di unità di fronte a ogni difficoltà, a ogni dramma; nel nome della nostra istituzione c’è la sua identità: non il Senato di una parte, di un blocco di interesse, di una maggioranza e di una opposizione, ma il Senato della Repubblica, cioè di tutti noi italiani. Anche in questa legislatura, presidente Casellati, ci si aspetta e si cercherà di parlare di riforme. Non bisogna favoleggiare la possibilità che si faccia tutto e subito, ma soprattutto non bisogna temerle. Dobbiamo provare a realizzarle insieme. Al Senato della Repubblica può spettare il via, anche nei confronti dell’altra Camera, nella necessità di aggiornare non la prima parte della Costituzione, che è intangibile, ma la parte che merita più efficienza, più adeguatezza ai nostri tempi, più capacità di dare risposte ai cittadini, più capacità di appartenere alla volontà del popolo. Io credo che questo Senato, in questa legislatura, potrà farlo: direttamente, con una legge che promuova una Costituente, oppure con una Bicamerale. Sono vari i modi, ma l’importante è che vi sia la volontà politica, che è la cosa fondamentale, di realizzare queste riforme. Se c’è quella volontà, le riforme passeranno.
L’ho già detto prima e ve lo ribadisco: sono stato sempre un uomo di parte, di partito più che di parte, ma in questo ruolo non lo sarò. Ve lo dicevo prima, lo riaffermo ed è una lezione che ho appreso in tanti anni, tra gioia e dolori; anni di militanza, di affermazioni, di difficoltà, cercando sempre di cogliere dagli eventi ogni utile occasione di crescita, anche di messa in discussione delle proprie posizioni. Non rimanere abbarbicato a idee immutabili, ma svilupparle senza tradirle è stato l’impegno non solo mio, ma della mia parte politica in maniera larga. Un insegnamento – consentitemelo – che a livello personale ho appreso da mio padre, che è stato senatore di questa Repubblica, e a livello politico ho ricevuto da più persone, ma in particolare da un uomo che ha insegnato a me e non solo a me il valore del dialogo e dell’armonia. Non a caso veniva chiamato “ministro dell’armonia”, il non dimenticato onorevole Pinuccio Tatarella… Non applaudite troppo che Pinuccio si arrabbia.
In tanti anni di politica ho potuto vedere da vicino le evoluzioni della società italiana, anche le più traumatiche. Non posso non ricordare la drammatica stagione delle violenze, del terrorismo politico e dei tanti ragazzi, di ogni colore politico, che hanno perso la vita solo perché credevano in ideali, o a volte solo perché si trovavano nel posto sbagliato al momento sbagliato: studenti, servitori dello Stato, giornalisti, imprenditori, politici. Le loro storie rappresentano un portato che ancora oggi è e deve essere una stella polare per tutti noi. Di nomi ne potrei fare tanti e dovrei forse farne tanti, ma credo che quello dell’ispettore Calabresi possa rappresentarli tutti. Assieme al suo, per restare nella mia Milano, i nomi di tre ragazzi: un militante di destra, Sergio Ramelli, che ho conosciuto e di cui sono stato anche avvocato di parte civile e due di sinistra, i cui assassini non sono mai stati trovati, Fausto e Iaio. Mi inchino anche davanti alla loro memoria. Credo che questi nomi possano rappresentarli tutti.
Se la stagione del terrorismo politico può essere considerata vinta (speriamo, ma non sottovaluto nessun nuovo eventuale fenomeno in atto), maggiori preoccupazioni continuano a esserci per quanto riguarda la lotta al terrorismo internazionale e alla criminalità organizzata. Non dobbiamo mai abbassare la guardia rispetto ai fenomeni mafiosi, in qualunque luogo o forma si manifestino. Anche in tale contesto, sono certo che sapremo fare tesoro degli insegnamenti e del sacrificio di quegli eroi lasciati troppo soli quando erano in vita, che nonostante ciò hanno sacrificato per lo Stato le loro proprie esistenze: agenti di polizia, carabinieri, magistrati, politici, giornalisti possono e devono essere ricordati nel migliore dei modi con un costante impegno di tutti nel condurre la battaglia per la legalità, come ci hanno insegnato Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quest’anno, peraltro, ricorre il trentesimo anniversario dal loro barbaro omicidio.
Ho voluto, non pro forma, ma come moto sincero dell’animo, omaggiare la senatrice a vita Segre anche con dei fiori, dopo essermi intrattenuto con lei in privato. La senatrice Segre ha ricordato tre date e io non voglio fuggire, perché è troppo facile scappare di fronte alle richieste di chiarezza: è stato ricordato il 25 aprile, il 1° maggio, il 2 giugno, cui potrei aggiungere la data di nascita del Regno d’Italia, che prima o poi dovremo far assurgere tra quelle celebrate con festa nazionale. Queste date, tutte insieme, hanno bisogno di essere celebrate da tutti, perché solo un’Italia più coesa, pacificata e unita è certamente la migliore e la più importante precondizione per poter affrontare efficacemente ogni emergenza e ogni criticità.
Faccio mie, a distanza di ben venticinque anni, le parole pronunciate da Luciano Violante nel suo discorso di insediamento da presidente della Camera dei deputati: come oggi ho avuto l’onore di essere proclamato dalla presidente Segre, allora molto più modestamente, in base a quanto stabilito dal Regolamento della Camera dei deputati, Violante fu proclamato da me che al tempo ero vice presidente anziano. Non ho bisogno di ripetere per intero le parole di Luciano Violante, ma solo nella parte che spero sia più condivisibile da tutti. Riferendosi alla necessità di un superamento di qualunque momento di odio, di rivalità, di contrasto storico, di antiche o nuove discussioni, con un linguaggio che mi auguro sia quello auspicato dalla presidente Segre, Violante ebbe a dire che un clima coeso “aiuterebbe a cogliere la complessità del nostro Paese, a costruire la liberazione come valore di tutti gli italiani, a determinare i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e fondamentale fatto di vivere in questo Paese, di battersi per il suo futuro, di amarlo, di volerlo più prospero e più sereno. Dopo, poi, all’interno di quel sistema comunemente condiviso, potranno esservi tutte le legittime distinzioni e contrapposizioni”. Questo impegno investe direttamente quest’Aula, perché è proprio il Parlamento con la sua centralità a rappresentare e custodire la memoria collettiva del Paese. Le istituzioni si riconoscono nelle leggi dello Stato, nelle feste e nelle tappe che hanno scandito la loro storia e oggi sono, non solo ricordo del passato, ma memoria del futuro.
E’ con questo sguardo, che si nutre di storia e di futuro, che guardiamo all’Unione europea come casa comune. Forse potremmo tutti insieme recuperare una parola che per tanti anni è stata usata per indicare e pensare l’Europa: comunità. Sì, l’Unione europea può e deve essere ancora comunità; l’Unione europea può essere ancora speranza di pace, se saprà, come deve assolutamente fare, elevare il suo raggio di azione sempre più in alto rispetto alle cose, non dico irrilevanti, ma a volte di secondaria importanza. V
oglio concludere questo intervento. Mi ero preparato delle citazioni e frasi a effetto per concludere, ma poi ho pensato che non è giusto. Il mio è un compito di servizio: non devo cercare oggi applausi, parole roboanti e di captare la vostra benevolenza. Lo dovrò fare ogni giorno con i miei atti e con le scelte che dovrò compiere, che a volte piaceranno e altre volte no sia alla maggioranza, che all’opposizione. Non c’è bisogno, per concludere, di parole che suscitano un applauso, ma solo di una sincera promessa: cercherò con tutte le mie forze di essere il presidente di tutti. Ve lo giuro.