Caos calmo
La prima giornata del Senato fa emergere vecchi fantasmi che credevamo estinti
Le schiere indignate che ieri accostavano La Russa a Segre dovrebbero stare tranquille. Del resto la democrazia e la difesa contro l’antisemitismo hanno resistito persino con Laura Boldrini allo scranno di Palazzo Madama
Impeccabile nel contenuto e persino nei suoni, il discorso di Liliana Segre che ieri “uno strano destino” ha condotto “sul banco più prestigioso” del Senato. Ha detto nel modo giusto tutte le cose giuste che andavano dette.
Tranne, ci permetterà, la politica politicante non è il suo, il breve passaggio in cui è incespicata in una banalità concettuale. “Consentitemi di osservare che se le energie che da decenni vengono spese per cambiare la Costituzione – peraltro con risultati modesti e talora peggiorativi – fossero state invece impiegate per attuarla, il nostro sarebbe un paese più giusto e anche più felice”. Che vuol dire? Dai risultati si può giudicare, ma l’idea che la Costituzione vada solo “attuata”, e non riformata laddove non funziona o è da adeguare ai tempi, è idea incongrua e improvvida. E in che modo una Costituzione farraginosa renderebbe “più felici”? Di là dal Tevere si celebrano i sessant’anni del Concilio. E da 59 almeno si recita una preghierina parimenti inutile, quella della “attuazione del Concilio”. Come se la salvezza non venisse da Dio o dalla fede, ma dalla puntuale “attuazione” di un verbale depositato, e non sempre proprio zampillante di vita. Il Concilio, la Costituzione, l’attuazione. Liliana Segre è la Costituzione fatta persona; scivolare nel ruolo di costituzionalista è un peccato.
Al di là di chi l’abbia eletto, di Ignazio La Russa andrebbe considerato almeno questo. Nato a fascismo caduto, tre figli – Geronimo, Cochis e Apache – che lo fanno più paladino delle minoranze che tanti oennegisti, il neo presidente del Senato è stato vicepresidente della Camera; capogruppo di An; ministro della Difesa nel 2008. E, più di recente, vicepresidente del Senato: nella legislatura sciagurata in cui governarono i sanculotti. Non risulta, in così lunga carriera, che abbia emanato leggi razziali o compiuto violenze antisemite. Dovrebbero stare tranquille le schiere che ieri, immaginandosi sottili chissà cosa, lo accostavano indignati a Liliana Segre. Del resto la democrazia e la difesa contro l’antisemitismo hanno resistito anche quando sul Terzo scranno della Repubblica c’era Laura Boldrini, che nel 2017 ricevette in pompa magna una delegazione palestinese in cui figurava un rappresentante di al Fatah che definiva gli israeliani “arroganza sionista” e “nemici della civiltà, della democrazia e dell’umanità”. Ma niente, allora la minaccia antisemita nelle istituzioni non era così avvertita.
Appare il fantasma di Banquo, un Silvio Berlusconi instabile sulle gambe e pure in politica, e non dovrebbe fare paura a nessuno: se non a coloro che lo hanno assassinato col pugnale mediatico-giudiziario. Così su Rep. Giuliano Foschini si inerpica in un fantasmagorico romanzo criminale. Per illuminare “l’inconfessabile verità” secondo cui al Cav. starebbe a cuore il ministero della Giustizia per poter affossare la legge Severino, “che tanto male può ancora fargli”. Non ha ancor varcato la soglia, e lo spavento torna col vecchio metodo insinuante, sempre più appeso al ciarpame di una storia passata. Almanacca il Foschini, la “delicata” vicenda, anche se è “ancora nella fase delle indagini preliminari”, dell’inchiesta sulle stragi del 1993. Il Cav. è stato indagato a Firenze nel 2019, peccato che per quelle stragi sia già stato archiviato due volte, proprio a Firenze. Ma di fronte allo spavento di Banquo, “ne bis in idem” non vale più.