(foto Ansa)

ritratto

Lorenzo Fontana: cresciuto a pane, messe e politica (e con una fissa per Putin)

Luca Roberto

Nato in un quartiere popolare di Verona, è il vicesegretario del Carroccio oltre che il volto ultraconservatore del partito. Quando da ministro della famiglia disse: "Lavorerò perché ogni bambino possa continuare ad avere una mamma e un papà"

È il vice che non ha opinioni da vice. Solo solidi convincimenti identitari, inscalfibili, che lo renderanno il presidente della Camera più conservatore di sempre. Lorenzo Fontana è una serie innumerevole di declinazioni del leghismo: padre di famiglia (ha una figlia il cui nome dice già molto di che aria si respiri in casa: Angelica), lunga militanza di partito, anni nelle istituzioni, fedeltà al gran capo, prima Bossi poi Salvini. Tutto questo partendo dal Saval, quartiere umile della periferia veronese (citato con tono struggente alla Scampia anche nel discorso d'insediamento: "lì dove il destino di ogni bambino sembra segnato") accanto a Chievo ma di tutt'altra urbanistica e lignaggio (e risonanza mediatica). Dove l'allora parroco don Renzo Zocca, negli anni '80, ne aveva già notato, in giovanissima età, il miscuglio di religiosità e politica, che tutto teneva insieme. Giocava a calcetto, ruolo regista (più o meno dalle stesse parti di campo dell'altro neopresidente del Senato Ignazio La Russa). E' cresciuto a pane, messe e congressi provinciali. Suo padre era leghista, ne ha ereditato appartenenza e automatismi, li ha eserciti ai gazebo, per poi proiettarli verso una nuova dimensione. Più identitaria, per l'appunto. 

 

Il gender lo incupisce. Tutto quello che non è famiglia tradizionale è fuori canone. Le unioni civili? Un'irruzione nichilista. Sono note le sue prese di posizione contro l'aborto, nelle svariate occasioni tra convegni prolife e family day a cui ha avuto modo di prendere parte nel corso degli anni. Salvini non si è mai spinto così in là, ha sempre preferito mandare lui, non ha quel retaggio e non proviene da quella storia, seppur con il rosario in mano. Ma si è sempre fidato del suo giudizio, della sua serietà resa manifesta indossando il modello di occhiali più ordinario che c'è, stecche grosse e lenti rettangolari. Tanto da nominarlo suo vice. Sono tutte posizioni che a Fontana rinfacciarono quando diventò ministro della Famiglia nel governo gialloverde. E lui come la prese? "Voglio intervenire per potenziare i consultori così da cercare di dissuadere le donne ad abortire. Sono cattolico, non lo nascondo. Ed è per questo che credo e dico anche che la famiglia sia quella naturale, dove un bambino deve avere una mamma e un papà", rispose senza troppo rimuginare in un'intervista di quelle settimane.

Torniamo, quindi, ai solidi convincimenti. Che poi sono quelli che, in una congiuntura tra ragioni del cuore e situazionismo geopolitico, lo aveva portato a sposare in tutto e per tutto la causa di Vladimir Putin. "Se trent’anni fa la Russia, sotto il giogo comunista, materialista e internazionalista, era ciò che più lontano si possa immaginare dalle idee identitarie e di difesa della famiglia e della tradizione, oggi invece è il riferimento per chi crede in un modello identitario di società". Un esempio da difendere e seguire, che Fontana ha propagandato nelle trasferte a Strasburgo, da deputato europeo. Quando accanto a Salvini indossava t-shirt stinte con la scritta a caratteri cubitali. "Stop alle sanzioni alla Russia". Puntualmente, all'inizio dell'invasione russa in Ucraina, gli è stato chiesto se avesse cambiato idea. "Era un altro contesto. Ora è cambiato tutto. Dire che eravamo filo Putin è sempre stata una semplificazione giornalistica", confessò a marzo proprio al Foglio. Sostenendo che sulle sanzioni bisognava seguire l'esempio della Francia, della generalità dei paesi europei, reiterando il nostro "euroatlantismo". Stamane, nel cortile di Montecitorio, gli è stato ricordato l'accordo sottoscritto dalla Lega con Russia Unita, il partito di Putin. Risposta? "Mai stato in Russia. E le magliette contro le sanzioni sono di otto anni fa". Nel frattempo non si è risparmiato nel chiedere all'Europa di tornare alle proprie "radici cristiane".

 

Tifoso dell'Hellas, la squadra più nera d'Italia, ha lungamente scherzato, quando alludevano alla possibilità che diventasse la terza carica dello stato, su questioni calcistiche: "Non so niente, solo di Giorgetti alla Juve e io al Verona". Bazzica il Bentegodi, è uno di quei deputati che non usano il territorio per le passerelle, rilascia interviste a L'Arena, a Telenuovo, presidia il proprio elettorato (nonostante anche nella città scaligera oramai Fratelli d'Italia abbia triplicato i voti del Carroccio). E infatti dicono che la sua elezione sia un modo per tenere buoni i leghisti veneti, che già sobillano sovvertimenti e rivolte anti salviniane.

Dall'alto delle sue tre lauree, Scienze politiche, Storia e Filosofia (all’Università pontificia San Tommaso d’Aquino Angelico), proverà a fare quello che gli è stato unanimemete riconosciuto: chiedere scusa se sbaglia, ma non allontanarsi dai propri principi inderogabili. Come quando era solo un centrocampista di una squadra d'oratorio e passava la palla agli altri. 

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