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Carroccio a pezzi

Treviso, ovvero l'epicentro della Lega contro Salvini

Francesco Gottardi

Nel capoluogo l’umiliazione alle urne. Negli altri comuni leghisti si protesta, si riconsegnano le tessere al partito e si rischia il commissariamento: l’ultimo caso a Castelfranco

Più che prosecco, molotov. Mentre Salvini si gioca la partita del nuovo governo, in Veneto la Lega continua a scoppiare. Soprattutto nel Trevigiano, cuore che fu del Carroccio forte sul territorio. Ora una fucina di rivoltosi. Ultimi nella lista? I dissidenti di Castelfranco, patria dell’assessore ‘bulldog’ Roberto Marcato, che rischia di diventare comune commissariato. Dopo il ribaltone di Mogliano e la batosta elettorale alle politiche.

 

Dopo i siluri a mezzo stampa che da mesi Pettenà, Da Re e altri veterani inferociti lanciano contro la nomenklatura romana. Provengono tutti dalla Marca. Come il ‘doge’ Luca Zaia di Conegliano, finora silente “in quanto amministratore che non vuole immischiarsi in questioni di partito”, dicono di lui i suoi alfieri. A far la voce grossa ci pensano loro. Il sentimento comune è un mix di esasperazione e dissenso. Che sommati fanno rivolta. Lo schiaffo che si sta consumando in questi giorni a Castelfranco, da sempre fortino verde e terza città della provincia, brucia soprattutto per la sua natura istituzionale: non si tratta di voti che vengono meno, di cani sciolti che abbaiano. Ma di tre consiglieri comunali – Giovanni Cattapan, Viviana Gatto e Stefano Pasqualotto – che hanno deciso di lasciare il gruppo consiliare della Lega, compromettendo così la maggioranza del sindaco Stefano Marcon. Si parla di dissapori interni, “screzi personali che non hanno nulla a che fare con una crisi politica”, Gianangelo Bof tenta di fare da parafulmini al Gazzettino – e ci mancherebbe: il militante locale, ex zaiano passato alla corte di Salvini, è stato appena eletto alla Camera. Eppure, se tre indizi fanno una prova, da queste parti si è ormai perso il conto.

Lo scorso giugno a Mogliano Veneto, il sindaco Davide Bortolato e la sua giunta avevano restituito le tessere al partito per protestare contro i vertici del Carroccio. Nello stesso periodo era caduta Nervesa della Battaglia, piccola realtà leghista destinata al commissariamento. Ma il caso più clamoroso è piombato alle urne: a Treviso, sbiadito il ricordo dell’ex sindaco sceriffo Gentilini – che infatti aveva dato il suo endorsement a Meloni –, la Lega è stata doppiata perfino dal traballante Pd. Che è finito davanti pure a Conegliano, Castelfranco e Vittorio Veneto. “Un’umiliazione inaccettabile, senza precedenti”, commentava un affranto Marcato all’indomani del 25 settembre. Da allora, il fido uomo di Zaia allo Sviluppo economico sta reclutando forze fresche sul territorio per il neonato Comitato Nord. La lista dei ribelli è folta: si aggrappa a Bossi anche l’europarlamentare Gianantonio ‘Baffo’ Da Re, tra i primi a chiedere “le dimissioni di Salvini, o lo scacceremo noi dalla sua Bastiglia”.

 

Così i botti di Castelfranco sarebbero soltanto le avvisaglie di un ordigno a orologeria ben più grande: se il 22 ottobre non ci saranno novità sull’autonomia, minaccia la Lega veneta, facciamo saltare tutto. È questa la data clou promessa da Salvini in campagna elettorale. È questa la data del fatidico referendum di cinque anni fa, che a lungo andare ha spaccato il Carroccio sull’asse stato-regioni. “Se finora non siamo riusciti a portarla a casa”, ha detto a Rete Veneta Massimo Bitonci, deputato ed ex sindaco di Padova sempre più inviso alla base, “è perché Zaia ha chiesto 23 materie, tutte quelle previste dalla Costituzione”. Paradossalmente, questa è anche la storica linea del Pd. “L’impostazione corretta”, spiega Bitonci, “è quella della legge quadro, trattando una competenza alla volta. A partire dalle materie minori”. Tradotto: colpa del Doge, mangiate brioche. Il Veneto sarà anche una terra poco incline alle rivoluzioni. Ma adesso in gioco c’è tutto. Basta una miccia. A Treviso sembra quasi di sentirli: avanti, fioi de la patria.

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