Foto LaPresse

la costante machiavellica

L'innocente Meloni e la legge della ricattabilità

Giuliano Ferrara

Se la leader di Fratelli d'Italia fosse davvero politicamente pura mi preoccupererei per lei

Il mondo è degli outsider. Il trasformismo italiano, anche ora che pare normalizzarsi provvisoriamente, quanto a lungo non si sa, si affida all’outsider. Di Meloni non si può dire che ha vinto a sorpresa, come un cavallo che tagli il traguardo in testa contro ogni previsione. Ha una storia di gavetta nella destra ex missina, una breve esperienza di governo, una cavalcata fuori pista negli anni in cui furoreggiavano i Di Maio e i Salvini (altri outsider). I sondaggi ormai da un paio d’anni la davano prima sul podio. Eppure aveva una base di partenza minuscola. Era relegata all’opposizione, no potere, scarsa influenza sulle cose politiche, molta voce pochi fatti. Era in corsa con l’handicap delle origini, Garbatella & Colle Oppio, della fiamma nel simbolo, del genere femminile, di una classe dirigente non pervenuta. Un tipo fattosi molto da sé. Una candidata a sindaco di Roma perdente cinque anni fa contro un outsider più outsider di lei, Virginia Raggi. Una capace di proporre l’anno scorso un fantastico fanfarone in toga, un superoutsider sconosciuto al palazzo come Michetti, contro il compassato politico e tecnico Gualtieri, con esito disastroso. Per i sondaggi era il capo del governo in attesa, dato il premio di coalizione della legge elettorale, ma la sua era una situazione marginale, fuori dal potere e dal giro delle élite. Il suo destino nazionale sembrava inevitabile e inverosimile.

         

Ora dovrebbe formare un esecutivo tutto politico e omogeneo sotto la sua direzione, dopo Draghi (outsider politico per eccellenza, estraneo ai partiti, sebbene intrinseco all’establishment), dopo due Conte, altro outsider pescato dal nulla, dopo Gentiloni parentetico, dopo Renzi outsider che vinse a sorpresa le primarie, dopo un altro parentetico Enrico Letta, dopo l’outsider Monti, dopo il padre degli outsider Berlusconi eccetera. I Prodi, i D’Alema, i Veltroni, i Rutelli, i Giuliano Amato, insomma l’Ulivo, sono gli ultimi insider della Repubblica al potere, dopo di loro il diluvio. Ci si domanda con quale legittimazione materiale, a parte il computo dei voti e degli eletti che pure è tornato a contare, Meloni abbia potuto ridimensionare brutalmente le ambizioni di Berlusconi e Salvini, e offrire l’impressione, malgrado le riserve dell’opposizione benpensante (Calenda, outsider) che prevede un nuovo regime di instabilità, di avere nelle mani la guida effettiva di coalizione e governo. Probabilmente la legittimazione è nel fatto che è una fuori dal giro ma ha fatto pratica della politica fin dalla tenera età.

         

Ma la legittimazione non basta, come non basta una certa dose di fortuna. Bisogna farla valere. E qui Meloni sfida la mia legge o costante machiavellica, spesso enunciata spero senza spocchia, in base all’esperienza più umile del mestieraccio: per contare in politica non devi avere tanto la capacità di ricattare gli altri quanto la certezza degli altri che puoi essere ricattato, questo vuol poi dire far parte del giro. Meloni afferma il contrario con baldanza: non sono ricattabile. Mi auguro per lei che non sia così vero, perché il guinzaglio collettivo può essere corto o lungo, il profilo di autenticità e autonomia ideologica può essere un circolo largo o più ristretto, ma fuori dai confini della politica come vincolo non privo di opacità e connivenza è difficile abitare e vivere a lungo, è lì la differenza tra l’egemonia e l’avventura solitaria. Se è valida la legge della ricattabilità come requisito per il potere, Meloni affetta un virtuismo che per sua fortuna non ha, è un essere frale come gli altri, abitante le stesse stanze, e qui è parte della sua forza potenziale, anche nella condizione di outsider; fosse un vero campione di trasparenza assoluta, un distillato di purezza metapolitica, mi comincerei a preoccupare per lei e, naturalmente, per la validità della mia legge. Basta lasciar passare un po’ di tempo e vedremo se abbiamo al governo una coalizione di interessi o un tribuno della plebe. Tenendo presente che è ancora e sempre in agguato la classe senatoria.

Di più su questi argomenti:
  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.