il ritratto
Guido Crosetto, attaccante della Difesa
Schietto ma non aggressivo, di parte ma trasversale. Da sempre vicino, spalla a spalla, a Giorgia Meloni. Ora diventerà un pivot di peso del governo. Il profilo di un piemontese di sostanza
"Uno che è stato sindaco, per quanto piccolo sia il paese di cui è stato sindaco, di sicuro non si spaventa a fare il ministro tra guerre e crisi energetiche”. Parla convinto, l’amico piemontese di Guido Crosetto: cofondatore di Fratelli d’Italia uscito dalla politica tre anni fa per non uscirne mai nell’animo, almeno per quanto riguarda il ruolo di consigliere ufficioso di Giorgia Meloni, nonché ex parlamentare, ex sottosegretario alla Difesa, già presidente dell’Aiad (Federazione aziende italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza) e senior advisor di Finmeccanica e presidente del cda di Orizzonte sistemi navali (società controllata da Fincantieri al 51 per cento e da Leonardo al 49 per cento). Tutte cariche a cui i detrattori, nei giorni del totonomi per il governo, hanno cercato invano di inchiodarlo mentre lui, Crosetto, annunciava sui social di aver intanto deciso, visto il successo elettorale di Giorgia, di liquidare la società di consulenza messa in piedi con i propri familiari per non incorrere in sospetti di conflitto di interesse.
E così arriva oggi in zona governativa, dopo aver detto in faccia agli internauti quello che pensa – per esempio che l’assoluzione dei genitori di Matteo Renzi meritava delle scuse, ma anche “che non si possono staccare luce e gas a persone e aziende che hanno sempre pagato e che ora si sono trovate nell’impossibilità di farlo senza averne colpe: occorre fermare le procedure che avevano sensi in tempi normali, trovando anche un modo di garantire i creditori”. Dall’altezza ragguardevole di un metro e novantotto, l’imprenditore e “fratello d’Italia” tra poche ore giurerà da ministro della Difesa, e proprio nel momento in cui le notizie dall’Ucraina si fanno di nuovo nere, e l’autunno, non ancora manifesto nelle temperature, si accinge a entrare nel vivo dal punto di vista diplomatico, militare e tariffario (sulla bolletta).
Tuttavia il suddetto amico piemontese di Crosetto insiste sulla valenza altamente formativa della lunga esperienza del neoministro come primo cittadino di Marene, provincia di Cuneo, agli albori della carriera politica. E “in un luogo”, dice, “di pianura e agricoltura che tra il Medioevo e il Seicento ha visto passare soldati, cardinali, predoni e pestilenze, e quasi soccombeva, di passaggio com’è nella campagna, e invece ha sviluppato anticorpi di resilienza che arrivano fino ai suoi figli di oggi”. E se nomini Marene a quelli che Crosetto l’hanno conosciuto dopo – negli anni di Forza Italia, del Pdl e poi giù giù fino alla diaspora del neoministro dal mondo del Cav. in chiave anti Tremonti e anti colonnelli azzurri – il paese natìo viene sempre citato per gli aneddoti. Che alludono a quella volta in cui Crosetto, “in stile democristiano”, fece un’ordinanza per arginare la piaga della prostituzione nel piccolo comune, guadagnandosi “immeritata fama di illiberale”, scherza un ex compagno di gioventù scudocrociata, quella condivisa con il segretario pd Enrico Letta quando ancora non era Enrico Letta, ma già giocava a subbuteo da “mostro di bravura”, come ha raccontato lo stesso Crosetto a colleghi e cronisti.
Quella conoscenza antica spiega le volte in cui, nei primi anni Duemila, ricorda un esponente del Pd, “Crosetto fu invitato alle iniziative di area VeDrò”, il think-tank lettiano. Ma è lo stesso Guido Crosetto che poi, quest’estate, così ha risposto alle parole spese da Letta di fronte alla stampa estera: “C’è chi fa discorsi in tre lingue per raccontare ciò che vorrebbe fare e lanciare un messaggio positivo all’estero e chi lo fa per dire che se vincerà l’avversario l’Italia uscirà da Ue, Nato, Onu, mondo, sistema solare. Il secondo non danneggia l’avversario, ma l’Italia”.
Giovane diccì lo è stato, dunque, il neoministro, ma non figlio di democristiani: è anzi figlio di liberali a cui a un certo punto ha deciso di ribellarsi politicamente, impegnandosi tra i giovani della Balena Bianca come rappresentante degli studenti alle superiori e come attivista all’università (non finita, come ammise un giorno pubblicamente, dopo aver detto una “piccola bugia” sulla sua laurea, parole sue).
Twittatore intensivo dai molti follower, Crosetto, a testimonianza della validità della tesi canora di Antonello Venditti (“certi amori fanno giri immensi e poi ritornano”), non soltanto alla politica è tornato, ma sembra rifarsi anche, nelle interazioni con avversari di vari schieramenti, all’impostazione non ideologica appresa dal padre, mancato presto, quando il neoministro non aveva ancora vent’anni, e presto e nell’emergenza sostituito dallo stesso Crosetto alla guida dell’azienda familiare di macchine agricole, esperienza chiave nel romanzo di formazione (“sono cresciuto nella polvere e nel ferro”, ha raccontato anni fa, intervistato su Sette da Vittorio Zincone).
Dice oggi un esponente di Fratelli d’Italia: “Crosetto, pur avendo diversa provenienza, sa che cosa voglia dire in qualche modo destra sociale”. Anche se, in realtà, il suo ruolo è stato quello di ponte con i settori industriali del nordest e nordovest scippati alla Lega. “Libero da pregiudizi per convinzione, garantista per Dna, conservatore per nascita, rispettoso per scelta”, dice invece di sé Crosetto nella presentazione su Twitter, piattaforma dove può capitare di leggere note biografiche in risposta a polemiche semi-politiche, come nel 2019 (“ho un figlio di 22 anni, Alessandro. Frequenta la Luiss. È un bravo ragazzo, studia, tra poco finirà la triennale, bene e con i tempi giusti. Lo hanno ammesso alla magistrale. Poi ho una figlia di 5 anni e mezzo e uno di 4. Lei, Carole, è un terremoto… Per il dossier familiare”).
E ancora: dichiarazioni d’amore scherzose per la consorte, bastonate metaforiche ai colleghi, citazioni di rassegnata resistenza mediatica, tipo quella comparsa qualche giorno fa, durante la tempesta sugli audio di Silvio Berlusconi: “Gibran ha scritto che quando ha piantato il suo dolore nel campo della pazienza ha poi raccolto il frutto della felicità”.
Da che parte sta, Crosetto? Dipende. Non necessariamente dalla parte di quelli tra cui milita, quando militava in un partito, o che lo eleggono o che lo nominano. Intanto, non è stato dalla parte di Giulio Tremonti ministro dell’Economia, nel 2011, durante le ultime fasi governative berlusconiane – da cui la famosa battuta di Tremonti sul “bar di Guerre Stellari” in cui gli parve di essere catapultato quando nel suo studio arrivarono, per tentare di mediare su manovra economica e riforma fiscale, Renato Brunetta e lo stesso Crosetto.
Né è stato, Crosetto, sempre dalla parte dei suoi compagni di partito quando era ancora un parlamentare semplice, durante il primo mandato, tra il 2001 e il 2006, come racconta, dal Pd, Roberta Pinotti, ex ministro della Difesa che Crosetto avrebbe voluto presidente della Repubblica (“la Pinotti al Quirinale la voterei”, aveva detto scherzando ma anche no negli studi de La7, a “L’aria che tira”, nel 2014, quando la giornalista Maria Teresa Meli aveva avanzato il nome come ipotesi). “In quel periodo”, racconta Pinotti al Foglio, “il governo Berlusconi aveva deciso, per ragioni di razionalizzazione delle risorse, di porre alcuni istituti di ricerca, come l’Istituto nazionale di fisica della materia, che però funzionava benissimo, sotto il Cnr. Io feci una battaglia in commissione, dall’opposizione, per evitare questo accorpamento. Crosetto, che faceva parte della maggioranza, ha votato contro e lo ha sostenuto pubblicamente con molta lealtà perché, mi diceva, ‘penso tu abbia ragione’. Diciamo che è una persona che non esprime giudizi partigiani a prescindere”.
Caratteristica, questa, che ha reso Crosetto molto popolare nell’autodenominata (e affollata) “chat dei lobbisti del mondo nuovo”, così chiamata in chiave autoironica dai partecipanti (imprenditori, comunicatori, parlamentari, ex parlamentari, influencer di alto lignaggio politico, staff ed ex staff di politici, amici con professione contigua e, scherza uno degli animatori, “quasi quasi passanti e curiosi”): la chat è nata durante il lockdown e non si è più fermata. Di solito accadeva che Crosetto – che ora, dice un amico, “uscirà dal gruppo o si metterà silente, visto il ruolo” – intervenisse “senza ipocrisia ma senza durezza”. E c’è chi, tra i “lobbisti del nuovo mondo”, loda, dell’uomo, “la cifra di residua ingenuità di chi a Roma è arrivato dopo, nel senso della non contaminazione con alcune consuetudini del potere anni Novanta”.
Pare infatti che Crosetto a Roma non volesse vivere, una volta eletto parlamentare (ci era già stato, per poco tempo, a ventiquattro anni, chiamato dall’allora premier Giovanni Goria). Complice il legame con la famiglia e la presenza del primo figlio e della prima moglie in Piemonte, Crosetto all’inizio della carriera politica tornava appena possibile a Marene. E priorità ai figli la dichiara anche oggi, in privato, quando spiega agli amici che la sera preferisce andare a casa, dove cena con la nuova consorte e i loro due bambini ancora piccoli, ma anche in pubblico, quando se ne va di punto in bianco, pur con pacatezza, da qualche studio televisivo per disaccordo sull’impostazione di questo o quel programma (è accaduto per esempio l’anno scorso, durante una puntata di “Piazzapulita”, su La7: “Addormento tutte le sere i miei figli”, aveva detto prima di lasciare la poltrona, rammaricandosi polemicamente di aver accettato l’invito, pur “con la massima stima” per ospiti e conduttore).
Il momento del dramma politico, la rottura con Forza Italia, nel 2011, è al tempo stesso il momento della speranza di fondare, con Giorgia Meloni, un partito della destra ma senza l’ombra della destra per com’era percepita fino a quel momento. La foto del 2012 in cui il “gigante” (lui) tiene in braccio la “bambina” (lei), un classico dell’iconografia sulla rifondazione meloniana, contiene in sintesi tre “no” gridati allora dalla neopremier: no al sostegno a Mario Monti, no a Berlusconi candidato premier, no al Pdl degli scandali, sì alle “primarie delle idee”. C’era anche forse, ragiona un amico, “l’idea di essere il Caronte che porta la destra fino ad allora reietta all’accreditamento sociale, economico, imprenditoriale”.
Dieci anni dopo, Crosetto è l’uomo di raccordo tra Giorgia Meloni e il mondo produttivo ed è anche colui cui si affidano quelli che sperano segretamente nell’evangelizzazione liberale degli esponenti più veraci della nuova classe dirigente che ora arriverà nelle stanze dei bottoni. Lo ricordano “dotato di capacità di mediazione” anche in area Difesa, Crosetto, sottosegretario tra il 2008 e il 2011 con l’allora ministro Ignazio La Russa (governo Berlusconi IV). Erano anche gli anni in cui Crosetto si scatenava nel suddetto scontro frontale con il ministro Tremonti: “Le bozze che sono filtrate sulla manovra”, diceva nel giugno 2011 il sottosegretario ed ex responsabile economico di Forza Italia, “più che connotate dal punto di vista economico, finanziario e di bilancio andrebbero analizzate da uno psichiatra. È evidente che il ministro dell’Economia vuole trovare esclusivamente il modo di far saltare banco e governo. In questi tre anni ha fatto di tutto per tenere in vita il malato paese, ma l’ha fatto tenendolo in coma farmacologico. Ha dimostrato di non volere andare nel dettaglio della spesa pubblica, ma di preferire tagli senza razionalità. Non ha capito che l’economia reale andava aiutata e anzi l’ha bloccata con regole di oppressione fiscale uniche al mondo che hanno distrutto lo statuto del contribuente”.
In altri tempi, cioè un mese fa, con piglio meno polemico, alla vigilia della vittoria di Giorgia Meloni, Crosetto si recava nel suo Piemonte a parlare di defiscalizzazione e sburocratizzazione davanti a una platea di imprenditori. E però quello che pensa si capisce. “Dico sempre quello che penso perché posso tornare a fare un lavoro normale”, è il suo mantra, anche se lavoro normale ora non sarà. Ma lavoro sì, perché la sua concezione della politica è quanto di più lontano possa esserci dall’improvvisazione di cui ha accusato i Cinque stelle: “Il doppio mandato è una stupidaggine. Perché la politica ha una sua professionalità, almeno dovrebbe. Non è un hobby che si coltiva saltuariamente e non è una cosa da delegare a improvvisati ragazzetti che una volta fatta un po’ d’esperienza tornano a casa. Ci vanno se perdono”. In gennaio, al terzo spoglio per il Quirinale, Crosetto ha ottenuto centoquattordici preferenze, cinquanta in più rispetto ai grandi elettori di Fratelli d’Italia (“sono commosso, grazie, onorato”, aveva detto, di fronte alla conferma dell’apprezzamento bipartisan). Lo manterrà da ministro?