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il dibattito

Può essere Meloni una Tsipras di destra? Dialogo con Renzi

Sovranismo, nazionalismo, globalizzazione, complottismo e catene da spezzare. Può davvero Meloni essere incoerente con se stessa? E cosa rischia l’Italia con una destra in continuità con il suo passato? Parliamone

Pubblichiamo un estratto del dialogo tra Matteo Renzi e Claudio Cerasa, moderato da Giuseppe De Filippi, tenutosi a Roma il 13 ottobre, nel corso della presentazione del libro scritto dal direttore del Foglio (“Le catene della Destra”, Rizzoli)


 

Matteo Renzi. I punti sollevati nel libro di Claudio Cerasa segnano il grande tema della discussione dei prossimi dodici mesi su ciò che avverrà all’Italia e con l’Italia all’Europa. Cerasa ha un grande partner in crime, perché ricordatevi che tutto ciò che state per vedere nelle prossime ore non sarebbe stato possibile senza il generoso e infaticabile lavoro di Enrico Letta. Tutto ciò che vedrete nei prossimi mesi è stato reso possibile dalla infaticabile opera di Letta, senza il quale Fratelli d’Italia avrebbe fatto il 25 per cento. Direte, ma lo ha fatto lo stesso. Già, ma con una straordinaria interpretazione di strategia politica Letta ha permesso a questo 25 per cento di essere maggioranza assoluta con i junior partner Salvini e Berlusconi. Questo lo ricordiamo ora perché è la premessa del ragionamento di Cerasa: perché tutto ciò che è raccontato nel libro – c’è dentro la Russia, i vaccini, i complottisti su Marte, le godibilissime le pagine sul rapporto Trump-Amazon per allargare la riflessione sulla destra, i migranti, le godibilissime pagine su Orbán e la nuova destra Italiana, il rapporto tra gargarismo e garantismo – tutto questo segna il cammino dei prossimi mesi.

La destra italiana ha vinto, si accinge a governare, diventa la capitale mondiale della nuova destra. Almeno fino al 2024 quando vedremo cosa accadrà negli Stati Uniti. Da qui al 2024 l’Italia è l’epicentro di una scommessa politica e culturale che vede Giorgia Meloni incaricata di scegliere tra la destra sovranista e una destra che in Italia non abbiamo mai visto, che in Europa non vediamo da un po’ e che in America non si vede più nemmeno con il binocolo. Cioè la destra conservatrice vecchio stile. Chiederete: ma a te, questo dibattito, che te ne frega? Al di là del fatto che noi abbiamo da fare l’opposizione, questo è un tema che riguarda il nostro futuro: in sintesi, io sono per gli Stati Uniti d’Europa. Giorgia Meloni ha vinto le elezioni sul sovranismo. Scommettete che la Meloni governerà sovranista? Io non credo. Certo, non sarà mai una campionessa degli Stati Uniti d’Europa. Ma dovrà decidere che tipo di approccio dare alla propria politica europea. Io sono per la libertà in economia: Giorgia Meloni, lo spiega bene Cerasa nel libro, ha avuto un approccio tutt’altro che liberale in economia. Che tipo di economia sarà quella di Meloni dei prossimi dodici-diciotto mesi? La risposta alla domanda è: vedremo. Non è una gran risposta, nel senso che nei prossimi dodici-diciotto mesi noi potremmo vedere una destra come quella che ha vinto le elezioni, grazie al generoso contributo del de cuius, oppure una destra che governerà più da una posizione conservatrice vecchio stile. Io scommetto su questa seconda. In primis perché mi ci trovo mentalmente meglio, perché il sovranismo uccide l’Italia. Quindi voglio sperare che loro facciano i conservatori vecchia maniera, degli avversari politici nel campo della serietà. In secondo luogo, perché non hanno alternativa. Se dovessero scegliere di mandare all’aria tutto ciò che ha a che vedere con il Next Generation Eu, cioè con il Pnrr, segherebbero il ramo su cui sono seduti. Quindi sarà uno spasso osservare la Meloni che ha vinto in nome della coerenza – la cifra di tutti i sondaggi era: “voto Meloni perché è stata coerente, è stata all’opposizione – fare l’opposto di quanto detto. Perché la sua coerenza del posizionamento, cioè l’opposizione, non ha mai visto da contraltare una coerenza delle posizioni politiche. Nelle pagine di Cerasa troverete la Meloni che dice: sono per lo scioglimento controllato della zona euro; preferisco Putin ai leader Italiani; troverete la Meloni che chiede l’impeachment di Sergio Mattarella come un Di Maio qualsiasi.

Il punto centrale è che secondo me la posizione della Meloni al governo sarà totalmente opposta alla posizione della Meloni all’opposizione. Può darsi che sia soltanto un mio auspicio? Può darsi. Però questo libro fa bene perché racconta di come la destra fa campagna elettorale, talvolta vincente, ma sarà costretta a governare in modo diametralmente opposto. Due considerazioni ulteriori. La prima riguarda la destra: non sottovalutate quello che sta avvenendo. Sta avvenendo un fatto storico. Si dice: la Meloni ha già fatto il ministro, dal 2008 al 2011. La Russa ha già fatto il ministro, metteteci i nomi che volete, la destra ha già avuto responsabilità di governo, le ha avute con Fini, con il compianto Matteoli, con tante personalità della storia della destra. Ma stavolta la destra ha vinto. E ha vinto una storia, che ovviamente non è la mia storia, che io ho combattuto, ma è una storia che oggi finalmente trova uno spazio nel dibattito politico da vincitrice. Lo dico perché da quelli che venivano da quella parte lì si sta compiendo un passaggio che per loro è epocale. Un passaggio che costringe anche loro a una riflessione su come è cambiato il mondo in questi anni. Ma, e vengo al punto dal quale ero partito, tutto questo avviene per una clamorosa, gigantesca responsabilità della sinistra e del Partito democratico.

La percentuale del Pd è la stessa dell’altra volta. Il punto non è la percentuale, ma come è stata giocata la questione delle alleanze. Averla giocata in questo modo dà la certezza al Pd di non toccare palla nei prossimi cinque anni. Nel 2018 non era così. Eravamo, con un risultato negativo, comunque protagonisti nello scacchiere, e si è visto: la legislatura si è incaricata di mostrare come noi abbiamo comunque giocato una partita con il Conte 2 e con Draghi. Stavolta il Pd si è condannato all’irrilevanza per le scelte dettate dal risentimento e dalla mancanza di lucidità politica. Allora il punto è che oggi si sciolgono e si chiudono le catene della destra, portando la destra a dover giocare una partita tutta da scrivere – e li voglio vedere sui vaccini, sull’Europa, sul commercio internazionale, sui mercati! Non saranno mai quello che hanno giurato di essere, saranno l’esatto opposto! E tuttavia, in questo scenario, si pone il tema di nuovo di che tipo di sinistra potrà essere la sinistra dell’opposizione. Perché è evidente che ci sono due sinistre. Quando Papa Francesco ha detto che per combattere la povertà non serve l’assistenzialismo ma serve il lavoro, io immagino il turbamento che può aver preso tutta quella straordinaria esperienza di sinistra che ci raccontava che il reddito di cittadinanza era il baluardo della nuova sinistra. E persino Greta. Che ha detto “è stato un errore bloccare il nucleare in Germania”. Ma voi mettetevi nei panni di un Bonelli, uno che dice no al rigassificatore, no al termovalorizzatore, no alle trivelle, no alle farfalle perché le farfalle probabilmente hanno un carico di CO2 eccessivo, che dice di no a tutto e si trova – non quello schifoso di Renzi che come al solito è schiavo dei poteri forti, è per il lavoro e per lo sviluppismo senza limitismo, secondo loro – ma la figura che per anni hanno fatto emergere come la papessa laica dell’ambientalismo ideologico che dice: meglio il nucleare. Il punto fondamentale è che la sinistra o sceglie la strada del riformismo oppure lascerà governare questa destra per anni. (…) Il punto centrale è che noi tra una settimana il governo ce l’abbiamo. Sarà un governo guidato da una leader donna, la prima: onore alla sua battaglia, che non è la mia. Io farò opposizione, sono contro di lei, ma onore al fatto che ha vinto la sua battaglia interna ed esterna. Questo governo partirà. Avrà un arco di tempo non lunghissimo, ma neanche brevissimo, perché all’inizio, come in tutti i governi, ci sono le lune di miele e la prima verifica sarà alle europee del 2024. Vedremo se come prevedo governeranno più da destra liberale e conservatrice che non da destra sovranista: se governano da destra sovranista, non reggono sei mesi, se governano da destra liberale e conservatrice avranno bisogno di un’opposizione intelligente. E qui le scelte sono due: la prima ipotesi è che si vada a un grande accordo, e ormai è scritto, tra Pd e 5 Stelle. Un accordo talmente ormai già consolidato, che fanno accordi persino sul profilo istituzionale, contravvenendo alle regole stesse delle istituzioni. Noi del Terzo polo non è che si ha bisogno di avere la vicepresidenza del Senato o della Camera per dire che esistiamo, si accorgeranno della nostra opposizione anche senza vicepresidenze. E’ una funzione di garanzia. Però quello che stanno facendo i 5 Stelle dimostra che a sinistra devono scegliere: stanno sul rigassificatore o no a Piombino? Stanno sul lavoro o stanno sul sussidio? Sono d’accordo sul termovalorizzatore o no? 


Giuseppe De Filippi. Andrei indietro nella storia del Foglio, perché c’è stata in passato un’anticipazione fogliante di questo libro, quando il Foglio in solitudine, dopo le precedenti elezioni, scriveva praticamente tutti i giorni “guardate che nascerà il governo tra Lega e 5 stelle”, perché si sosteneva con delle buone ragioni che le catene del populismo in quel momento storico sarebbero state comunque più forti di altre forme di aggregazione politica; pur andando a unire partiti che venivano da schieramenti diversi, uno dei quali aveva detto che non avrebbe mai fatto alleanze. In quel caso le catene del populismo furono più forti. Forse quell’esperienza è servita anche a far saltare qualche anello di queste catene e adesso guardiamo alla forza di quel messaggio politico in un’altro modo. Questo può essere un vantaggio per Giorgia Meloni, se vuole seguire la previsione che ha fatto Renzi. Ci riuscirà o non ci riuscirà? E quanto ha pesato quell’esperienza per indebolire una delle catene, quella appunto populista di marca leghista?


Claudio Cerasa. E’ un punto importantissimo questo perché riguarda quella data, che molti hanno rimosso, che coincide con il 2018. E una data cruciale che ci riguarda da vicino perché da una parte c’è l’elemento del “l’abbiamo già sperimentato”. Cioè: un governo a trazione populista, sovranista, nazionalista è un governo che abbiamo già visto cosa è in grado di fare. Quindi la fortuna dei nuovi sovranisti è aver già visto cosa comporta quel tipo di prospettiva. E il loro compito sarà essere discontinui più da quel governo che da dal governo Draghi. Dal punto di vista del futuro e delle catene che si possono spezzare, Renzi ha ragione quando dice che l’unica speranza che ha Giorgia Meloni di poter avere successo è quello di essere incoerente con se stessa. Certo. Non ci può sfuggire il fatto che una leader che ha costruito il suo consenso, la sua credibilità, la sua affidabilità, la sua forza sull’essere coerente non facilmente imboccherà la strada dell’incoerenza. Può succedere, ovviamente, come è già successo sulla Russia, perché a febbraio di quest’anno è successa una cosa molto importante: Giorgia Meloni ha scelto di essere atlantista al 100 per cento. Lo ha fatto per ragioni personali, lo ha fatto un po’ perché il gruppo di cui fa parte in Europa – l’Ecr – è dominato da un partito polacco che è lontano anni luce dalla Russia e in qualche modoi è stata costretta a prendere questa posizione. Ma quella posizione, che le ha permesso di fare un passo verso la post-impresentabilità, è una posizione incredibilmente incoerente. Con tutto quello che Meloni ha fatto fino a qualche mese prima, fino a qualche anno prima, quando diceva che Putin era meglio di qualsiasi leader europeo, quando diceva che Obama sbagliava a portare avanti sanzioni contro la Russia. Perché in quel momento storico, prima della guerra in Ucraina, il putinismo era il cavallo di troia del populismo che cercava attraverso Putin di indebolire le democrazie liberali, la globalizzazione, la solidarietà europea. E Meloni, che era populista al 100 per cento, ha utilizzato Putin senza accorgersi, insieme al suo gemello diverso, che in realtà era Putin che utilizzava i populisti europei per scardinare l’Europa, la globalizzazione, la solidarietà del nostro continente. Quindi, questo è il primo elemento. Così come un altro elemento di speranza, rispetto alla futura incoerenza di Meloni, è quello che abbiamo visto tutti il giorno dopo la vittoria elettorale. Quando tutti i vecchi amici di Giorgia Meloni le hanno fatto i complimenti su Twitter, sui social, e lei improvvisamente non ha risposto, come se fossero tutti vecchi amanti da dimenticare. La Le Pen le ha fatto i complimenti e lei niente. Orbán le ha fatto i complimenti e lei niente. Il figlio di Bolsonaro le ha fatto i complimenti e lei niente. Bannon le ha fatto i complimenti e lei nulla. Vox ha fatto i complimenti e solo dopo qualche giorno li ha ringraziati. Gli unici leader a cui ha risposto sono stati Zelensky – chi non vorrebbe ricevere un messaggio di auguri di Zelensky (a parte Putin ovviamente) – e ha ringraziato anche Modi. Insomma, ha fatto finta di non conoscere tutto ciò che ha alimentato. Noi oggi possiamo sorridere, possiamo pensare che questo sia un elemento di speranza per il futuro, ma non possiamo non accorgerci di un problema: cioè che quello che il populismo alimenta, che il sovranismo alimenta, che il complottismo ha alimentatoi non basta una svolta improvvisa di una leader per poterlo cambiare fino in fondo. Perché ci sono delle conseguenze, ci sono dei debiti da pagare, ci sono dei peccati da scontare. Lo vediamo in un caso specifico che riguarda tutti noi. Giorgia Meloni, lo sapete, ha detto che serve il rigassificatore a Piombino perché con il rigassificatore a Piombino ci sarà una maggiore indipendenza dalla Russia, ci sarà un maggior sovranismo energetico. Il problema però è che Giorgia Meloni si dimentica sempre di raccontare che il sindaco di Piombino è un sindaco di Fratelli d’Italia. E quel sindaco ha detto: “No, qua non si fa il rigassificatore”. Meloni dice sì e lui dice no. Questo cosa vuol dire? Semplice. Quel sindaco è coerente con le battaglie energetiche che la destra nazionalista ha portato avanti per molto tempo. Battaglie all’interno delle quali la destra che oggi chiede maggiore indipendenza energetica dalla Russia era la stessa destra che diceva no alle trivelle, che diceva no al Tap, che diceva no ai termovalorizzatori e che considerava ogni progresso energetico interno del paese come una grave svendita dell’anima dell’Italia alle cattive multinazionali. In questo senso, l’impressione è che il vero problema che avrà Meloni nel cercare di spezzare le catene del futuro riguarderà non tanto i suoi nemici, ma i suoi amici. I suoi amici interni alla maggioranza futura. Salvini per esempio cosa farà? Farà il custode dell’europeismo o sarà il custode fedele dell’ortodossia sovranista?. E anche quando andrà all’estero, quando cercherà di rapportarsi con le grandi cancellerie europee, che cosa farà Meloni? Perché è ovvio che oggi Meloni in Francia uguale Le Pen, Meloni in Germania uguale AfD, Meloni in Spagna uguale Vox. E con quale forza una leader che ha alimentato e costruito rapporti con tutte queste realtà potrà essere un’interlocutrice affidabile per costruire una nuova Europa con tutti i leader che secondo Meloni corrispondono esattamente al profilo di tutto ciò che va combattuto in Europa?

Io penso però che ci siano le possibilità che Meloni diventi una Tsipras di destra. Ricordate Tsipras cosa fece? All’inizio, da premier greco, Tsipras ha deciso di andare contro l’Europa, contro l’euro, contro il memorandum cattivissimo dell’Europa e poi a un certo punto ha cambiato non solo look ma anche posizione politica. E’ diventato non euroscettico ma europeista. Il problema però è che Meloni, in passato, indovinate qual è lo Tsipras che ha detto di stimare? Ovviamente quello iniziale, non quello post conversione. Dunque, sì, c’è questa possibilità, che Meloni possa diventare una Tsipras di destra, ma è una possibilità che dipende dalla discontinuità che Meloni avrà con tutto quello che ha coltivato. Possibile? Detto questo, ci sono due immagini oggi utili per capire qual è la situazione del presente. Una prima immagine è quella del binario, la seconda è quella del vulcano. Il binario con il treno ci porta a capire che oggi viviamo in un mondo diverso rispetto al 2018. Nel 2018, quando vinsero le elezioni 5 Stelle e Lega, l’Italia poteva deragliare, perché veniva messa in discussione l’appartenenza all’Europa, addirittura l’appartenenza all’euro, l’appartenenza alla Nato, la vicinanza a Bruxelles che doveva essere inferiore rispetto a quello a Mosca e moltissime altre cose che oggettivamente potevano destabilizzare e far deragliare il treno. Oggi l’Italia è su un binario che mi sembra solido, grazie a vincoli europei, grzie agli impegni e i contratti d’Europa, grazie al Pnrr e grazie un’attenzione al debito pubblico che persino i più esagitati sovranisti hanno per ora in cima alla propria agenda. Quindi: il tema non è se l’Italia deraglierà o no. E’ se andrà veloce oppure se andrà lenta. L’altra immagine è il vulcano. Il problema qual è? E’ che da qualche parte, quando il populista cerca di modernizzarsi e moderarsi, il magma andrà a finire. Del vulcano puoi tappare una bocca, ne tappi un’altra, poi un’altra ancora, ma da qualche parte prima o poi uscirà fuori. Quindi la domanda è: sì, probabilmente diventerà più moderata, ma il populismo che lei ha coltivato da che parte uscirà? Sull’immigrazione? Uscirà contro Bruxelles?  Vi ricordate quando durante la pandemia criticare l’Europa era diventato un po’ complicato e tutti i no euro improvvisamente divennero virologi? Ecco: il problema oggi è lo stesso. Se Meloni diventerà più moderata, il magna uscirà fuori da qualche parte o semplicemente il vulcano sovranista accetterà di implodere?


MR. La verità è che ci accingiamo a vivere in un momento complicatissimo – perché poi non abbiamo parlato della crisi nord coreana, non abbiamo parlato di Taiwan, non abbiamo parlato di Russia, non abbiamo parlato dell’Afghanistan, non abbiamo parlato delle tensioni internazionali che ci sono e di quanto sia importante, accanto all’invio delle armi e alle sanzioni, anche la nomina di uno special envoy che noi chiediamo dal 24 febbraio, perché su questo potete dire tutto, ma noi abbiamo detto sì alle sanzioni, sì alle armi e sì all’inviato speciale dell’Unione europea o della Nato, dicendo anche nome e cognome, Angela Merkel o Tony Blair, la nostra proposta l’abbiamo fatta, ma quando arriveremo a chiarire questi grandi temi internazionali io dico che sarà interessante vedere una destra italiana totalmente diversa. Non so se sarà un bene per la destra, non so se accanto alla “tsiprasizzazione” ci sarà un Varoufakis, l’idea che Paragone possa essere il Varoufakis denoartri mi fa venire uno stranguglione... però quello che ci attende nei prossimi mesi sarà complicatissimo per le famiglie, e lo sappiamo, sarà complicatissimo per la nostra economia, ma sarà molto interessante per la politica. Fare bene il passaggio di domani e dei prossimi giorni è importante. Perché l’aggressione che loro hanno fatto nei nostri confronti, anche personale, non chiama una controaggressione, chiama il rispetto delle istituzioni e delle regole. Hanno vinto le elezioni: noi dobbiamo far sì che loro possano partire con il massimo del clima disteso in Parlamento, questo è il rispetto delle regole. Noi non dovremmo fare, come qualcuno immagina, quelli che alimentano le tensioni o che evocano le guerre civili, ma dovremmo essere i più bravi di tutti, in sede di opposizione, per far emergere ciò che serve davvero al paese, che nel caso della giustizia è il garantismo, nel caso delle infrastrutture energetiche è il sì, nel caso dell’economia è una svolta europea, e vedrete che le contraddizioni di Giorgia Meloni mostreranno una destra totalmente diversa. Non so se coerente, non so se vincente, perché io scommetto sul fatto che al 2024 loro arriveranno ammaccati e noi arriveremo primo partito.


GDF. Inquadriamo il fatto storico.


MR. Penso che la politica oggi celebra un passaggio importante: perché la destra che vince è un passaggio importante. Se al Mef ci va a Giorgetti, è un passaggio importante. Se fanno un governo dove ci saranno sicuramente dei tecnici, ma la cui costruzione passa da un accordo politico, è un passaggio importante. Me lo sarei volentieri risparmiato, vi ho già detto chi considero il responsabile supremo di tutto questo, ma è un passaggio importante. Dunque, sotto il profilo del governo, la politica fa un passo. Non so in quale direzione, ma si muove rispetto agli ultimi mesi. Quando dicevo che c’era una safety car che era il governo Draghi, dalla safety car una macchina è uscita andando forte, e un’altra macchina è uscita fermandosi. Faranno un dibattito: a destra dipenderà da come governano, a sinistra c’è bisogno di una scelta di fondo. Questo tema non è solo italiano. Quando nella prima settimana di novembre i democratici americani faranno i conti con le Midterm Election, vi dico che c’è una discussione lì dentro tra la sinistra radicale delle Ocasio Cortez, dei Bernie Sanders, della Warren, e una sinistra riformista. Poi tenteranno di trovare quello che chiamo il loro Bonaccini, forse Gavin Newsom, che è il governatore della California. Non gli è andato malissimo a Stefano come paragone… Cioè uno che riesca a tenere insieme le due anime. Ma c’è una divisione profondissima nella sinistra americana, così come nella sinistra francese.

Il Pd un anno fa fece un importante comunicato sulle elezioni francesi e disse di appoggiare convintamente Anne Hidalgo. La sinistra francese oggi è chiamata a scegliere tra Macron e Mélenchon. In Inghilterra? Non voglio certo citare chi ha detto che Tony Blair non era un riferimento, stando accanto a Fratoianni e Di Maio. Ma in Regno Unito hanno una chance di vincere le elezioni, perché guardate che non le possono perdere: quello che ha fatto la destra inglese in questo giro è meraviglioso. Chi conosce la politica inglese lo sa, quello che ha fatto la nuova prima ministra non l’aveva mai fatto nessuno: andare sui mercati, annunciare un piano e poi, dopo una settimana dire “ci siamo sbagliati”. E la Meloni dice di volerla seguire, ma lasciamo perdere. Peggio di quella destra, lì c’è solo quella sinistra che vedeva Jeremy Corbyn come punto di riferimento e non Tony Blair. E se hanno una chance di vincere le elezioni a dicembre del 2024, è riprendere la filosofia di Tony Blair. Allora la sinistra italiana deve scegliere. Guardate che Conte ha giocato la sua partita. Dopo aver esplorato tutte le posizioni politiche del panorama costituzionale, Conte ha scelto, grazie ai buoni uffici di Donald Trump, che ha detto “come sta il mio amico Giuseppi”, e dopo aver firmato i decreti Salvini per essere punto di riferimento progressista e della sinistra, dando a Goffredo Bettini il ruolo definitivo e imperituro del kingmaker per la vita. Bene. D’Alema? Su D’Alema preferirei non dire, perché tutto ciò che verrà fuori nei prossimi mesi su Massimo D’Alema chiarirà molto della scorsa legislatura. Perché quello che è accaduto nella scorsa legislatura, nel rapporto che si è saldato intorno alla figura di Massimo D’Alema, va oltre i confini della politica. E ho soppesato le parole. Il punto centrale è che Conte farà il leader della sinistra. E’ lì. Tanto questi vivono solo di sondaggi: quando tra un mese i 5 stelle supereranno il Pd, ci sarà una seduta di gruppo, un’autoanalisi lì dentro, perché tanto ormai le elezioni non contano più nulla. Conta solo il sondaggio, e quindi diranno: ci sono passati avanti. E allora un pezzo di Pd dirà, “non possiamo non guardare al punto di riferimento fortissimo della sinistra”, e sarà bellissimo, perché a quel punto partirà la discussione interna su che cosa può fare il riformista dentro Pd, e cercheranno di trovare una soluzione. In sintesi: la destra non farà congressi. Non ce li ha nel dna, non ricordo grandi congressi tra Berlusconi, Salvini e Meloni sulla democrazia interna. La sinistra, invece, sarà dilaniata. Ma anziché fare una divisione concettuale come quella che c’è negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia, faranno una divisione sui sondaggi. E vedremo se si inventano il Bonaccini di turno per salvare capra e cavoli. Auguri, in bocca al lupo, qui si parrà la nostra nobilitate.

Noi non siamo efficientisti, io vengo da una cultura totalmente diversa. Poi abbiamo fatto un bel governo, ma questa è un’altra storia, tanto non ce lo riconosce nessuno, ma nella nostra umiltà senza confini ce lo riconosciamo da soli, ci basta e ci avanza. Il punto centrale nostro è: da qui al 2024 su cosa ci caratterizziamo? Vedo qualche amico che dice “noi dobbiamo essere quelli del domani”, ma il domani qual è? Nel nostro domani si dovrebbe discutere di aerospazio, di ricerca tecnologica, dire che sull’immigrazione noi vogliamo andare a prendere i cervelli da tutto il mondo per farli venire in Italia a studiare, dare loro il diritto di cittadinanza sulla base del fatto che hanno fatto l’università qui o un ciclo scolastico qua. Dire che è bellissima la storia che racconta Cerasa, che è la storia del vaccino, il primo a mRna, che viene da due ricercatori turchi che con i soldi del Giappone in Germania creano un vaccino che viene preso da una multinazionale guidata da un greco di origine ebrea. Questa è la globalizzazione, noi come rispondiamo a questo? Il domani del Terzo polo per me dice: Stati Uniti d’Europa. Elezione diretta del presidente? Sì, del presidente della Commissione europea. Partiti europeisti, e accanto a questo, investimenti su cosa? Sulla cultura, sull’emozione, sull’identità, sull’innovazione. Noi nel tempo dei big data saremo quelli delle big emotion. Noi non possiamo entrare nel metaverso e dimenticare cosa sono le nostre radici, questi settori saranno strategici nei prossimi anni. l’Italia, la sua identità, il suo patriottismo, non si esplicita tirando su un muro. Spieghiamolo, a Lampedusa il muro non serve, ma nemmeno a Trieste. Il patriottismo italiano sarà quello della cultura, dei valori, dell’identità, dell’educazione. Se saremo in grado di ripartire su questo saremo intanto totalmente altro rispetto alla Meloni e Salvini – il patriottismo culturale come base della nostra opposizione – e dall’altro mostreremo i limiti di una visione di sinistra che spazia tra la cancel culture e la woke culture e una visione populista e banale per cui tutto è immediato.
 

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