Pichetto si affida a Cingolani: "Sul gas ho bisogno di te. Massima continuità"
La riunione tra il ministro dell'Ambiente e il suo predecessore: sul price cap bisogna chiudere. L'ipotesi di mandare solo Cingolani al Consiglio europeo ("E se chiedessimo una deroga?"), poi il ripensamento. La strana coppia vola insieme a Lussemburgo. Obiettivo: rafforzare l'asse coi francesi. Nessuno scostamento dal sentiero tracciato dal governo Draghi
A scansare l’imbarazzo ci ha pensato chi forse più di tutti avrebbe potuto subirlo. “Roberto, sono io a chiederti una mano”. E così l’incontro di solito formale, quello per il passaggio di consegne, s’è trasformato in una sorta di corso accelerato di logiche dei prezzi del gas e delle dinamiche delle alleanze europee, in vista del battesimo del fuoco al Consiglio europeo. Da un lato Roberto, cioè Cingolani, dall’altro Gilberto, che è Pichetto Fratin. Nella quiete mattutina dell’ufficio nobile al secondo piano del palazzone di Viale Cristoforo Colombo, il ministro dell’Ambiente e il suo predecessore. Col primo che, mentre prendeva appunti, mentre sfogliava il dossier pieno di numeri e grafici offertogli in dono dall’altro, lo esortava a non lesinare consigli: “So di avere bisogno di aiuto”. E a tal punto il discorso di Cingolani si faceva concitato, che alla fine Pichetto e i suoi collaboratori devono aver pensato che tanto valesse delegare fino in fondo: “E se si chiedesse una deroga e mandassimo Roberto, in Lussemburgo?”.
Ipotesi che davvero è stata vagliata, se ai funzionari del ministero è arrivato l’ordine di verificarne la fattibilità procedurale. E però è stato lo stesso Cingolani, poi, a scartarla: perché un debutto del genere, col nuovo ministro che demanda al vecchio l’onere della missione, non sarebbe stato accolto con favore, dai colleghi europei. Che invece Pichetto, galantuomo piemontese dai toni sempre affabili, dovrà saper convincere subito, per blindare i negoziati sul price cap. Ed è per questo che alla fine è stata accantonata anche l’idea, che pure era stata vagliata, di un collegamento da remoto di Pichetto. Per cui, a ora di pranzo, la decisione è stata presa: “Tutti in Lussemburgo”. Tutti con lo stesso aereo: Cingolani, Pichetto e i rispettivi assistenti.
Partenza anticipata, peraltro. Già ieri sera, infatti, negli incontri informali tra le delegazioni dei paesi “volenterosi” – i promotori della ormai famigerata “lettera dei 15”, quella con cui si chiedeva alla Commissione di prendere iniziative concrete sulla riforma del mercato del gas – sono iniziati i lavori preparatori in vista della riunione con tutti i ministri dell’Energia dell’Unione. E sarà pur vero che non sarà risolutivo, il vertice odierno, ma varrà a definire, questo sì, il percorso finale della negoziazione sul price cap. Le conclusioni del Consiglio europeo di venerdì, quello dell’“arrivederci” di Mario Draghi, prospettano provvedimenti su tutte le principali richieste avanzate dall’Italia. C’è il corridoio dei prezzi e c’è la modifica degli indici di riferimento del Ttf di Amsterdam, e poi gli impegni sulla solidarietà tra stati membri e sulla piattaforma comune per gli acquisti.
C’è però anche un’istanza su cui la Francia non demorde, e che non a caso è stata inserita nel documento finale del Consiglio: è un tetto al prezzo del gas per la produzione di energia elettrica. Sarebbe l’estensione su scala continentale del modello iberico, che non poche perplessità pone ai funzionari della Commissione sul piano della sostenibilità finanziaria, e che infatti è stata sottoposta a una sorta di analisi costi-benefici: in che misura dovrebbe intervenire la finanza pubblica, per calmierare il mercato, e in che misura la differenza tra il prezzo che paga il fornitore di energia e il prezzo a cui vende debba essere ammortizzata con un sovraccarico in bolletta del consumatore finale?
Ma al di là delle incognite tecniche, ce n’è poi una politica. E risiede nel rischio che tedeschi e olandesi, e cioè coloro che recalcitrano, possano trovare nella varietà delle proposte il segno di una divisione, di un’incoerenza nel fronte dei 15 volenterosi. Per questo è anzitutto coi colleghi transalpini, coi collaboratori del ministro Christophe Béchu, che bisogna confrontarsi.
Del resto, che quello tra Roma e Parigi sia l’asse da curare, Pichetto se l’è sentito dire da Cingolani con parole non troppo diverse da quelle spese da Draghi per catechizzare Giorgia Meloni. Perché Emmanuel Macron, da tattico astuto qual è, sa che la premier italiana ha un disperato bisogno di copertura a Bruxelles, di un partner autorevole che la legittimi nei massimi consessi europei. E siccome i dissidi tra Francia e Germania – non solo sul gas, ma pure sulle politiche di bilancio, per non dire di Difesa e Aerospazio – sono tali da portare l’Eliseo a ritenere la divergenza attuale tutt’altro che passeggera, ecco che poter contare sulla collaborazione dell’Italia, anche ora che la fiducia assoluta in Draghi non basta da sola a garantirla, per Macron è un vantaggio. Ed è dunque su questa sottile linea diplomatica che Pichetto, così come tutto il governo, dovrà saper muoversi. E forse è anche la strettezza del sentiero a dissuaderlo dal tentare strambate: “Mi muoverò in assoluta continuità”, ha spiegato ai suoi collaboratori il nuovo ministro, “anche perché di spazio per manovre fantasiose non ce n’è”. E la conoscenza del dossier energetico da parte di Cingolani, così come il suo bagaglio di relazioni e di amicizie coi colleghi europei, sono “un patrimonio che non può essere disperso”, dice Pichetto. Poco prima di imbarcarsi per affrontare il suo esordio. Il neofita e il suo precedessore, insieme sulla scaletta dell’aereo. Destinazione Lussemburgo.