"Gilberto, I suppose". L'esordio europeo di Pichetto, tra sviste tecniche e inglese zoppicante
Il neo ministro dell'Ambiente confonde il Ttf col "Tte" e il Consiglio europeo col Consiglio d'Europa. Ma la partita, al di là dei tecnicismi, è delicatissima sul piano diplomatico. Il lavoro di Cingolani, che accompagna a Lussemburgo il suo successore e gli lascia in eredità il suo staff. L'agenda europea della Meloni, che prepara il viaggio a Bruxelles
Certo l’esordio doveva esserselo immaginato più semplice. Mentre tutti i suoi colleghi di governo gongolavano in Transatlantico, concedendosi con gioia ai cronisti, Gilberto Pichetto si trovava catapultato nel mezzo di una trattativa complicatissima. Il gas, il price cap, i colleghi ministri europei a cui presentarsi. Il tutto reso più complicato da una consuetudine con la lingua inglese alquanto inconsistente. Una pecca che neppure la bonomia sabauda riesce a mondare.
L’impresa resta comunque proibitiva. E lo si capisce dal candore con cui chi ha rischiato di ritrovarsi al suo posto, lì al Consiglio europeo, ammette il sollievo di avere scansato la grana. “Sì, il nostro Gilberto ha un compito difficilissimo”, spiega Paolo Zangrillo, che ministro dell’Ambiente lo è stato per un quarto d’ora, scoprendolo dalla viva voce di Giorgia Meloni, prima di ottenere di essere assegnato alla Pubblica amministrazione, lui che da massimo responsabile delle risorse umane in grandi multinazionali (da Magneti Marelli a Fiat) si sentiva più tagliato per quel ruolo. E certo l’inciampo – poi giustificato in virtù di una improbabile errata trascrizione da parte della premier – doveva essere apparso reale, se in quei pochi minuti di limbo Zangrillo aveva comunque ricevuto la telefonata di Roberto Cingolani. “Mi ha contattato subito – racconta il ministro azzurro – per fissare un appuntamento: voleva subito istruirmi sul dossier, e questo dimostra la sua qualità umana e professionale”.
Qualità che ora tornano comode a Pichetto, che infatti se lo è portato dietro, nel suo primo volo a Lussemburgo, e che da lui è stato introdotto agli altri responsabili europei dell’Energia impegnati nella trattativa sul gas. Con loro l’ex ministro, ora consulente, si è intrattenuto per discutere gli sviluppi della negoziazione, per poi farsi da parte, lasciando in anticipo i lavori quando è toccato ai ministri confrontarsi in prima persona.
A sostenerlo, però, sono rimasti – e rimarranno anche nei prossimi mesi, a proposito di continuità – i principali collaboratori di Cingolani. Il capo del dipartimento per il Pnrr, Paolo D’Aprile, l’uomo dei numeri e delle slide; il consigliere diplomatico Giuseppe Manzo, infaticabile tessitore di relazioni. E poi, ovviamente, tutto lo staff italiano di stanza a Bruxelles. Gente che dovrà aiutare il nuovo ministro Pichetto – “un ministro ancora in transizione”, sorridono al Mite – soprattutto nelle prime settimane, quelle delle pronosticabili polemiche: come quelle che si sono innescate ieri, quando il novizio Pichetto, arrivato a Lussemburgo, ha parlato di “Tte” per riferirsi al mercato del gas di Amsterdam, che però si chiama Ttf, e ha fatto riferimento a un “Consiglio d’Europa” confondendosi evidentemente col Consiglio europeo. Un battesimo del fuoco.
Che però, al di là delle incertezze lessicali, s’è rivelato complesso anche sul piano tecnico. La riunione dei ministri dell’Energia è iniziata con la presentazione di un “non paper” di cinque pagine con cui la Commissione europea bocciava, di fatto, la proposta francese di estendere a tutto il continente il disaccoppiamento tra gas ed energia elettrica basato sul modello greco: le incognite sulla sostenibilità finanziaria della misura, e il rischio che questa favorisca perversamente la spirale inflattiva hanno determinato il giudizio negativo di Bruxelles. Una notizia favorevole, dal punto di vista italiano. E non solo perché Cingolani ha sempre ritenuto improbabile questa soluzione: ma anche perché eliminata dal tavolo questa variabile, le istanze dei paesi favorevoli a una riforma del mercato del gas dovranno convergere tutte sul piano promosso da Roma nelle scorse settimane. E dunque l’adozione di un corridoio temporaneo dei prezzi, e la modifica degli indici di riferimento del Ttf, restano ora le proposte più solide.
Ma al di là di quelli che a Berlino definiscono, non certo con ammirazione, “esercizi accademici”, resta poi la questione politica. Che consiste, appunto, nel convincere i riottosi governi di Germania e Olanda, e per altri versi quello ungherese, a procedere sulla strada del price cap. Ed è anche per questo che, oltre a quelli di Cingolani, Pichetto si affida in queste ore ai consigli di Antonio Tajani. Che dal suo collega di partito riceve aggiornamenti quasi in tempo reale. Ed è per questo che il primo viaggio di Meloni – da fissare in agenda prima ancora della possibile trasferta a Sharm el Sheik di metà novembre per la Cop27 – dovrebbe essere proprio a Bruxelles. Per accreditarsi, certo, e forse per dare una mano al suo ministro dell’Ambiente.