Luca Zaia e Matteo Salvini (Ansa)

Schiaffo al doge

Altro che correnti interne: Salvini ce l'ha con il Veneto

Francesco Gottardi

Da sempre “regione serbatoio” per i voti del Carroccio, non c’è alcun ministro a rappresentarla nel governo Meloni. Uno smacco che va oltre le ben note tensioni nella base: la giunta Zaia c’è rimasta male. Forse da quelle parti sta nascendo un'altra Lega

Il dubbio a questo punto viene: non sarà che a Salvini stia sulle balle l’intero pacchetto, dalle Dolomiti alla laguna? Perché di Veneto in quota Lega, a Palazzo Chigi, nemmeno l’ombra. Zero ministri nel futuro governo Meloni. Anzi, nella squadra di Zaia ci si consola per la nomina di Adolfo Urso e Carlo Nordio, “che sono di Padova e di Treviso”. Ma eletti con Fratelli d’Italia. Tra assessori e consiglieri regionali, lo scoramento è evidente. La novità però è che non si tratta dei soliti dissidenti interni, che da mesi martellano i vertici romani del Carroccio reo di aver trascurato il territorio. Ci sono rimaste male perfino le colombe. Con toni pacati ma disorientati: se la silenziosa lealtà alla linea di partito viene trattata come la protesta, c’è da trarne le conseguenze. Perché insomma, la Lega sarà pure nata lombarda e maturata capitolina. Ma da queste parti può contare sul bacino elettorale più massiccio d’Italia. E scoprirsi bechi e bastonai, cornuti e mazziati, non piace a nessuno.

Oltre al presidentissimo Luca Zaia, nella giunta regionale del Veneto ci sono sei leghisti. Il più agguerrito è da sempre Roberto Marcato, che pure sabato scorso, durante un flashmob a Bassano per il quinto anniversario del referendum sull’autonomia, ha ribadito che “se il Carroccio non la porta presto a termine, può anche tornare a casa domattina. Come mai nel nuovo governo non c’è alcun ministro che ci rappresenta? Chiedete al commissario regionale Alberto Stefani”. Stavolta però al ‘bulldog del doge’ allo Sviluppo economico hanno fatto eco gli altri. Gianpaolo Bottacin, assessore all’Ambiente, intervistato da La Nuova Venezia si è detto “rattristato dall’assenza di leghisti veneti nell’esecutivo: la nostra regione è uno storico serbatoio di voti per il partito. Mi ha colpito anche l’esclusione di Erika Stefani”, che con Alberto non c’entra ed è stata ministro per le disabilità del governo Draghi. “Ha sempre lavorato bene”. Ma predicato male, forse, agli occhi del segretario: in piazza vicino a Marcato c’era anche lei. “Dispiace per Erika, ci rallegriamo per Nordio: è bravo e trevigiano”, dichiara Federico Caner, assessore all’Agricoltura. “Adesso si apre la partita per i sottosegretari: speriamo di avere qualche figura di riferimento”.

 

A tal proposito, i nomi sarebbero sempre i soliti: Bitonci e Ostellari, pretoriani della “pattuglia acrobatica” di Salvini, come la chiamano da queste parti i leghisti più barricadieri. Più che una mano tesa, sarebbe uno schiaffo. Mentre l’elezione del veronese Fontana è al massimo un contentino: tutti sanno che tra il nuovo presidente della Camera e Zaia, al netto delle reciproche diplomazie, c’è una certa diversità di vedute. Per usare un eufemismo. Un consigliere regionale della Lega ci spiega che, pur riconoscendo a Fontana “un percorso netto all’interno del partito, noi e il governatore, rispetto a lui, cerchiamo sempre di essere comprensivi della società che abbiamo davanti. E del mondo che cambia”. Esempio: i diritti civili. Nuova frontiera del doge. Che negli ultimi mesi si è esposto deciso sia contro l’omofobia, sia a favore del suicidio assistito. Pochi giorni fa, Zaia e Manuela Lanzarin – assessore ai Servizi sociali, e siamo a quattro – sono perfino andati a trovare Stefano Gheller, un 49enne di Vicenza affetto da una grave forma di distrofia muscolare, per sostenerlo sulla libertà del fine vita. Ricevendo pure i complimenti dell’attivista Marco Cappato – alla cui associazione è iscritto anche il ministro Nordio, cerchi che si chiudono.

Anni luce, insomma, dai Salvini e dai Fontana. Forse è vero che in Veneto, al netto delle guerriglie di partito, sta crescendo un’altra Lega. Produttivista, autonomista, quasi progressista. Ma soprattutto autonomista: “Con questo governo di centrodestra non ci saranno più scuse”, ha incalzato Elisa De Berti, indicata da molti come erede di Zaia e assessore numero cinque, ai Lavori pubblici. Il sesto, l’unico che manca all’appello in questo giro di dichiarazioni antisistema, è Cristiano Corazzari: rovigotto, nel Carroccio dal ’92, sette anni fa la sua candidatura fu annunciata dal segretario in persona. Il suo è l’assessorato al Territorio e alla caccia. Manco a farlo apposta: a Matteo non resta che il fucile, per presidiare il Veneto.

 

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