Anche oggi serve un'alleanza riformista tra merito e bisogno. Parla l'ex ministro Martelli
A lezione di riformismo quarant’anni dopo il discorso dei meriti e dei bisogni. “Sinistra, non li disunire”
“Una società che escluda dal suo orizzonte la valorizzazione di chi è capace, nella scuola, nell’università e nel lavoro, si condanna alla stagnazione”. Quello pronunciato da Claudio Martelli non può essere descritto come un endorsement al governo di Giorgia Meloni. Parla il pedigree: socialista da sempre, parlamentare, ex ministro di Grazia e Giustizia. Semmai, assomiglia a una tirata d’orecchi a chi ha accolto il ministero dell’Istruzione, rifatto nel nome e nelle funzioni, con aperto fastidio. Soprattutto nella galassia del sindacato e nel mondo della cultura, non si tratta di poche unità. Si cita Rodari, si rilegge Don Milani, si rispolvera Trentin. A voler riassumere la querelle in un titolo, suonerebbe all’incirca così: la destra s’intesta il merito, allarme nel ceto medio riflessivo. Peggio, confusione. Secondo alcuni, la scelta testimonia il retaggio classista e autoritario del governo da poco entrato in carica. Per altri, appare improprio pensare di premiare i migliori mentre tocca sanare con urgenza le più gravi disuguaglianze.
Meriti e bisogni, sempre lì si ritorna. Soltanto, al momento, sembra impossibile tenere insieme il binomio. “Invece non bisogna dividerlo. Si rischia di sbandare, ed è la tragedia dei post-comunisti, tra la tecnocrazia e l’assistenzialismo, che cronicizza le aree, purtroppo vaste, della miseria. Senza redimerle” sottolinea l’ex Guardasigilli. L’occasione per ascoltare il suo parere casca a pennello. Non è offerta soltanto dalla controversia del momento. Nel 2022 e a sinistra ricorre il quarantennale di un discorso-spartiacque. Anno mundial: 1982 Relatore: proprio il giovane delfino di Bettino Craxi. Sede balneare: Rimini, conferenza programmatica del Psi. Titolo fortunato: Per un’alleanza riformista fra il merito e il bisogno. Intuizione felice: rappresentare entrambi attraverso una chiave di lettura moderna della realtà italiana. Obiettivo duplice e ambizioso: ritagliarsi un ruolo non più subalterno alle culture delle due grandi chiese, di osservanza cattolica e marxista. E, con una simile postura, candidarsi a guidare il paese. Risultato: strike al primo colpo.
A stretto giro, nell’agosto 1983, il leader socialista giurava al Quirinale in blue jeans, subito richiamato all’ordine da Sandro Pertini, ed entrava a Palazzo Chigi. Cominciavano gli anni Ottanta. “Sì, a suo modo, quella formula fece epoca” ricorda Martelli al Foglio. Con supplemento di autocritica: “Non sempre riuscimmo a tener fede a quelle parole. Le esigenze dettate dall’attualità tolgono sempre tempo e spazio alle dichiarazioni d’intenti”. Ed è il dramma, stavolta, dei riformisti. Tuttavia, anche allora il dibattito si accese. “Dentro e fuori dal partito. Perché per combattere le disparità, privilegiammo il principio di equità su quello di uguaglianza. Norberto Bobbio rispose che senza quest’ultima la sinistra non aveva senso di esistere. Al contrario io ritenevo, e ritengo tuttora, che l’uguaglianza non può tradursi in livellamento verso il basso. Sarebbe una forma primitiva e punitiva di socialismo”.
Presto il colloquio si trasferisce dal passato al presente. Dall’astratto al concreto. “Prendiamo il merito, gli strumenti per valutarlo nell’istruzione esistono: i test Invalsi”. Su di essi poggiava la riforma dell’istruzione varata dal governo Renzi. Bocciata dagli stessi settori, sotto accusa per il tentativo di creare una scuola della performance. Quanto ai bisogni, l’attenzione si rivolge alle misure di sostegno. “E’ necessario puntare sull’avviamento al lavoro, come si stava provando prima dell’arrivo del M5s nella stanza dei bottoni” osserva Martelli. Riservando una critica agli effetti del reddito di cittadinanza, la cui rimodulazione è stata promessa dal neonato governo. “Avrà aiutato tanti, ma amplia la platea dei lavoratori in nero e di chi non vuole lavorare tout court. Di più, non elimina le cause delle condizioni d’indigenza. Per cui, sgomberiamo il campo: non è un provvedimento di sinistra. Tutt’al più dei grillini, che sognano una società senza competizione”. Bisogni e meriti, sempre lì si ritorna.