Il governo di Giorgia Meloni
Melomaniaco no! Ma le opposizioni disunite non vanno lontano
Enrico Letta, Matteo Renzi, Carlo Calenda, Giuseppe Conte, da soli, non arriveranno a nulla, perché continuano a curare la loro identità maschile antagonista, mentre lei, presidente, megalomane e femminile, da sola, troneggia, anche se auspico un percorso di governo lineare e razionale
Sono melomane ma non melonimaniaco. Ho ammesso uno spiazzamento di fronte alla musica austera di un discorso parlamentare importante, inatteso, voce contro Vox, spes contra spem, Meloni contro Giorgia. E che dovevo fare? Mettermi a cantare “Bella ciao”? Qui non siamo mai ricorsi allo stereotipo del fascismo d’assalto, e Scarpinato senatore ci ha fatto un po’ ridere un po’ piangere, ovviamente, come accade da tempo insospettabile, per quanto mi riguarda dai tempi della strage di stato e della strategia della tensione, per non parlare del processo stato-mafia. La presidente del Consiglio non ha attaccato Soros, non si è mostrata incline alla denuncia di congiure demoplutocratiche, non ha denigrato la globalizzazione, si è incatenata a Zelensky. Non l’abbiamo presa a legnate anche perché ci sembra una tipa che non si limita a leggere le apologie rivoltele dai suoi candidati alle elezioni, come il caro sodale Vittorio Feltri.
Detto questo, e decretata la legittimità sostanziale, non solo formale, di un governo della destra che ha saputo usare il maggioritario, di una presidente che ha saputo dare una sistemata all’eccesso di ambizione dei suoi alleati, Berlusca a parte che è una vecchia conoscenza e un egoriferito di notevole successo e spessore, caduto nella trappola dell’amicizia con gli autocrati che non hanno mai riso di lui, perché sono orrendi ma non scemi, resta il fatto che le forze d’opposizione sono minoranza, e giustamente, nel paese legale, e maggioranza nel paese reale. Se non trovano il modo di organizzare una convergenza delle opposizioni, con un manifesto o programma capace di una relazione sensibile con la società italiana, paese o nazione, come preferite, finiranno presto minoranza anche nell’Italia profonda.
Capisco che a Matteo Renzi, scissionista di talento, bruci lo stupido interdetto di Enrico Letta e della riduzione del Pd ai minimi termini voglia fare una bandiera, che Calenda e soci vogliano fargliela pagare per il suo ridicolo eccesso di rancore e per la sua incapacità di fare politica, che Conte abbia in animo di fare il sorpasso in nome di Mélenchon grillizzato, tutto comprensibile. Ciononostante i capi dell’Italia non melonimaniaca, se non abbiano già deciso di accodarsi in una nuova impresa entrista, dovrebbero riflettere sulla semplicissima circostanza seguente: collegati, non dico uniti, possono costituire un’alternativa, e garantirsi un’identità non effimera e anche concorrenziale, disconnessi e rissosi possono soltanto piétiner sur place, pestare l’acqua nel mortaio, realizzarsi come soci vocianti di un’impresa fallimentare. Il piacere solitario ha i suoi vantaggi, ma ex nihilo nihil fit o gignitur, senza uno o più partner, tanto per essere poliamorici, non si generano figli né diritti, né idee né contropoteri costituzionali.
Il rigassificatore si ormeggerà a Piombino, l’inceneritore risolverà forse la questione della monnezza a Roma, si ricomincerà a estrarre gas e forse si farà anche il nucleare che lo sciagurato Martelli, con la complicità sorniona di Bettino, contribuì a sradicare con le conseguenze che sappiamo. I grillini hanno per sé un futuro di autonomia protestataria, i liberali un vasto spazio per confermarsi massiccia e intelligente minoranza, già successo, e il Pd può esaurirsi nell’incertezza tra laburismo e liberalismo, periferie e ztl. Nessuno dei tre da solo combinerà alcunché di significativo.
A me il presepe, anche con Madonna Giorgia troneggiante, austera, bluvestita, con le stelline e come dice Feltri graziosamente “coi coglioni”, continua a non piacermi gran che. Preferivo il mattoide liberale megalomane, e molto femminile, che ha trasformato il paese, in meglio, mentre i suoi avversari curavano la loro identità maschile antagonista e la malagiustizia politica al seguito di Tonino Di Pietro e del pool Milano-Palermo. In quel presepe antigiustizialista mi sono ritrovato con passione di pastorella, in questo potrei al massimo figurare come il bove o l’asino.
Auspico dall’alto dei miei errori, della mia infingardaggine, del mio completo ritiro commentatoriale e cinofilo, della mia pace dell’animo e dei sensi e dei miei ricordi di guerra, tutte le guerre combattute, vinte e perse, un percorso razionale, lineare, oggettivo. Come detto, pensavo di sapere tutto della politica, compreso quello che non era ancora accaduto, ora qualcosa che tutti prevedevano, facile facile, è successo: e bisogna rifare un sacco di conti. La somma finale non si conosce, ma vent’anni di Meloni non li auguro nemmeno a lei, che dicono se li meriterebbe.