Il caso
Meloni fa retromarcia sulle mascherine e apre ai No Vax. Solo quattro domande dalla stampa
Prima conferenza della premier, compresso lo spazio per i giornalisti. Sull'obbligo dei dispositivi negli ospedali ci ripensa dopo il pressing del Colle e dei governatori
Un unico decreto, quattro provvedimenti e solo quattro domande concesse ai cronisti. La prima conferenza stampa di Giorgia Meloni dura 53 minuti, poi Palazzo Chigi stacca la diretta tv. Anche se poi la premier risponderà fuori sacco sul raduno fascista di Predappio, “politicamente lontano da me in maniera significativa”, dirà con un sorriso di maniera un po’ irritato prima di andarsene per una riunione sulla Nadef. Il secondo Cdm dell’èra Meloni, quello con le prime iniziative, passa per gli interventi sulla giustizia (ergastolo ostativo e slittamento della riforma Cartabia), sull’ordine pubblico (le norme anti rave), per la nomina dei sottosegretari (si valuta di attribuire la delega ai servizi) e per le iniziative sul Covid. Su quest’ultimo aspetto la leader tende la mano ai medici no vax (anticipandone di due mesi il reintegro), ma è costretta alla marcia indietro sull’obbligo delle mascherine negli ospedali e nelle cliniche.
Troppa la pressione del Colle dei giorni scorsi sull’importanza di non abbassare la guardia sul virus, così come il consiglio di Gianfranco Fini domenica in tv da Lucia Annunziata. Tuttavia a far cambiare idea a Palazzo Chigi è stata anche la spinta arrivata in giornata dai governatori bipartisan di nord, centro e sud. Con una tempistica che sembra concordata dalle regioni Lombardia, Lazio e Campania sono arrivate in contemporanea le notizie che c’è l’intenzione di prorogare l’uso dei dispositivi di sicurezza nei presìdi sanitari fino alla fine dell’anno. Si chiude così un balletto in cui il ministro della Salute e Palazzo Chigi erano rimasti più che vaghi per giorni, dando a intendere la possibilità di un intervento imminente.
Orazio Schillaci giura “di non aver mai pensato il contrario” e anche Meloni se la prende un po’ con i giornali puntando sulla cara controinformazione. “In passato, sul Covid sono state prese iniziative prive di fondamenta scientifiche, ma solo ideologiche”. In questo cambio di approccio, alla fine, gioiscono i medici No vax: da oggi per loro scade l’obbligo vaccinale e si elimina la misura della sospensione dall’esercizio della professione “per contrastare la grave carenza di personale sanitario che si registra sul territorio”.
Il più emozionato è Schillaci che siede all’estrema destra del tavolo, seguito dai colleghi Carlo Nordio e Matteo Piantedosi. Più in là c’è Meloni e infine il sottosegretario Alfredo Mantovano. Una disposizione irrituale, per gli esperti di cerimoniale, perché di fatto al centro c’è il ministro dell’Interno e non la premier. Ma sono dettagli di forma. “Ho tolto il bavaglio a Nordio”, esordisce la presidente del Consiglio per smentire le tensioni con il Guardasigilli sull’ergastolo ostativo. “Ho letto di tutto”. “Sono sbagliate certe ricostruzioni”. Sono le formule ripetute più volte nell’illustrare i primi provvedimenti del governo. Alla fine tirano più che altro le volontà meloniane sul Covid e la volontà di dare un messaggio ai medici che erano contro i vaccini regalando loro il reintegro due mesi prima del dovuto. Che nel caso degli operatori over 50 significa anche lo stop alle multe (da 100 euro) in anticipo. Per la ragazzina che entrò nella sezione del Msi della Garbatella dopo le stragi di mafia è il giorno della fierezza per la norma sul carcere ostativo, anche se in sede di conversione inizierà il braccio di ferro dentro la maggioranza con il possibile inedito scambio di ruoli fra M5s e Forza Italia. Con Nordio in mezzo.
Fratelli d’Italia infatti si astenne sul disegno di legge perché ritenuto troppo blando nei confronti dei mafiosi, al contrario degli azzurri pronti a fissare paletti più garantisti possibili. Le tensioni con il partito di Berlusconi si scaricano anche sulla squadra di sottogoverno: i pezzi pregiati di Arcore sono Francesco Paolo Sisto (alla Giustizia come viceministro), Alberto Barachini (editoria) e Valentino Valentini allo Sviluppo economico (niente Esteri e chissà se avrà la delega alle telecomunicazioni, c’è chi dice no). La tecnica utilizzata da Meloni per comporre la squadra di sottogoverno è quella della marcatura a uomo nei confronti degli alleati. E dunque Galeazzo Bignami va al ministero delle Infrastrutture guidato da Matteo Salvini, stesso discorso all’Interno con il tandem Prisco-Ferro e così via. La Lega incassa quanto richiesto. Forza Italia ne esce penalizzata nei nomi: fuori Giuseppe Mangialavori e Paolo Barelli. Sono messaggi che il mondo FdI manda al Cav. dopo le sortite sul tetto al contante, ma anche sul Covid.
Le trattative sono state condotte ancora una volta da Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura con licenza di dire sì o no agli alleati. A due giorni dalla prima trasferta internazionale a Bruxelles, Meloni si dice comunque contenta del clima che “si respira in Cdm”. Al contrario, come si sa, si fida poco e nulla dei partner. Ma continua a esercitare la forza di chi ha preso il triplo dei voti rispetto ai principali alleati. Il caso si accende su Predappio, dopo il raduno dell’altro giorno di un gruppo di nostalgici. “Una manifestazione che si tiene da anni, ahimè, una cosa diversa rispetto ai rave”. Miccia per gli occhi di Giorgia Meloni pronti a strabuzzare: “Sapete la mia posizione, è inutile che ci provate”, dice evadendo un sacco di domande causa “improrogabili impegni istituzionali”.