passeggiate romane
Il Pd, spaccato sul congresso, si dimentica delle regionali nel Lazio
Il povero Nicola Zingaretti continua ad appellarsi a Letta, Conte e Calenda perché trovino la quadra. Parole finora cadute nel vuoto. E il Terzo polo?
Primarie per la scelta del nuovo segretario del Pd il 12 marzo: così ha votato la Direzione dem venerdì scorso dopo una seduta di autoflagellazione collettiva. Tutto risolto, dunque? Giammai, perché alla fine di quella riunione i sostenitori del rinvio del congresso hanno continuato a lasciar intendere che in un modo o nell’altro si scavallerà quella data, mentre quelli che vorrebbero tempi più brevi per chiudere lì la partita e portare il più presto possibile Stefano Bonaccini alla guida del partito sono convinti che “l’evolversi degli eventi alla fine porterà a un’accelerazione”. Dunque, pur avendo votato per la prima volta da tempo non all’unanimità ma a maggioranza un documento che fissa le tappe congressuali, diversi dem ritengono anche alla fine quel pezzo di carta non valga granché.
Gli occhi sono quindi puntati all’Assemblea nazionale di metà novembre. In quella sede si fisseranno le nuove regole statutarie che consentiranno al Pd di arrivare al congresso secondo l’iter alquanto macchinoso immaginato da Enrico Letta per coinvolgere anche i non iscritti. L’Assemblea nazionale, va ricordato, è frutto di vecchi equilibri, visto che data ai tempi di Nicola Zingaretti. E questo preoccupa quanti vorrebbero accelerare le cose e togliere tutti gli ostacoli possibili sul cammino di Bonaccini. Non è un caso che Matteo Orfini abbia concluso il suo intervento in Direzione rivolgendosi alla presidente di quell’organismo, Valentina Cuppi, invitandola a vigilare e a non forzare la mano. La preoccupazione dei sostenitori del governatore dell’Emilia-Romagna è che in quella sede il partito del rinvio del congresso provi a forzare la mano, modificando le regole in modo che sia inevitabile far slittare ancora i tempi dell’elezione del successore di Letta.
Un altro segnale d’allarme per i supporter di Bonaccini è rappresentato dal silenzio insistito dell’ex ministro della Cultura, Dario Franceschini. Nel Pd corre voce che anche lui sia per il rinvio, ma finora non si è mosso né in un senso né nell’altro. Venerdì scorso in Direzione, oltre i giornalisti, anche gli stessi dirigenti del Pd attendevano con interesse il preannunciato intervento di Bruno Astorre, un franceschiniano in purezza, per decrittare le possibili mosse dell’ex ministro della Cultura. Ma, cosa che ha stupito molti, Astorre, dopo essersi iscritto a parlare (il suo nome era stato letto da Valentina Cuppi, che presiedeva la riunione, nell’elenco di chi sarebbe intervenuto) non ha più preso la parola.
Preso com’è dal congresso, il Pd sembra non avere testa per le elezioni regionali del Lazio che sono il primo appuntamento elettorale in agenda. Il povero Nicola Zingaretti continua ad appellarsi a Letta, Conte e Calenda perché trovino la quadra: “Faccio appello a loro tre perché non creino le condizioni per dare alla destra la presidenza della regione Lazio. Nel Lazio governiamo tutti insieme e gli elettori si riconoscono in questa maggioranza, raccogliete questo orientamento per fare davvero di tutto per combattere uniti e vincere”. Le parole di Zingaretti, però, finora sono cadute nel vuoto. E i dirigenti dem, preoccupati di non perdere posizioni a livello nazionale e quindi impegnati nella fase precongressuale, sembrano sordi a questo appello, anche perché la convinzione comune è che alla fine i grillini non andranno da soli. Questo, nonostante Giuseppe Conte lanci segnali che vanno in tutt’altra direzione. E il Terzo polo? Nel Pd c’è chi pensa che si sfilerà comunque dall’alleanza, e c’è chi invece punta a spaccarlo, coinvolgendo Carlo Calenda e lasciando fuori Matteo Renzi. Anche da questo deriva l’intensificarsi delle voci, tutte amplificate dai dem, delle frizioni tra i leader di Azione e quello di Italia viva.