Il "tesoretto" di Draghi impone a Meloni di scegliere cosa fare sulla Finanziaria
Riscrivere la Nadef o accantonare un fondo per le emergenze del 2023? Giorgetti predica cautela, e vola a Berlino. La premier prepara il viaggio a Bruxelles. I fondamentali economici dell'economia sono migliori del previsto, ma al Mef temono l'assalto alla diligenza sulla legge di Bilancio
I pronostici, chissà. “Però intanto smentiamo le previsioni negative”. A Palazzo Chigi c’è un’aria che non si può dire di euforia, ma di sollievo forse sì. E non è solo una questione di cifre. Perché i dati dell’Istat dicono, certo, che il pil italiano cresce di mezzo punto in più rispetto alle stime indicate nella Nadef, ma più in generale certificano che la lunga disputa condotta per tutta l’estate scorsa a colpi di percentuali e proiezioni tra il Mef da un lato, e Banca d’Italia e l’Ufficio parlamentare di Bilancio dall’altro, vedeva il primo dalla parte della ragione. Ed è la ragione dell’ottimismo, verrebbe da dire, se ottimismo non fosse una parola eccessivamente ardita. Sta di fatto che Daniele Franco, col tono di chi rivendica i propri meriti, lunedì al suo successore lo ha fatto sapere: “Visto? Te lo dicevo che la situazione dei conti non era così nera come qualcuno diceva”.
E certo Giancarlo Giorgetti non credeva di dovere affrontare problemi di abbondanza. Anche se lui, con prudenza lombarda, li definisce al massimo problemi di “minore penuria”. Insomma, quel mezzo punto di pil dice di almeno quattro miliardi di entrate in più, per dirla in modo approssimativo, su cui poter contare a fine anno. E impone di chiedersi cosa farne. L’idea di rivedere tutti i parametri della Nadef è stata presa in considerazione: dovendo definire il quadro programmatico, nel Cdm di venerdì, si potrebbe valutare una riscrittura complessiva anche delle previsioni tendenziali redatte dal governo Draghi. Normativamente un mezzo azzardo, ma non uno scandalo. Sennonché i tecnici della Ragioneria generale hanno subito fatto notare che, al di là della praticabilità legale, l’operazione sarebbe temeraria da un punto di vista pratico: si tratterebbe infatti di riscrivere da capo, o quasi, buona parte della Nadef, e sottoporla in fretta al vaglio dell’Upb. Il tutto, entro il termine di metà novembre che Bruxelles ha già concesso in via straordinaria.
E dunque è per questo che, chi ha parlato col ministro dell’Economia, riferisce di un orientamento improntato alla prudenza. Del resto a Giorgetti lo stesso Ignazio Visco ha spiegato chiaramente quel che due giorni fa ha detto, con parole più misurate, in pubblico: e cioè che un ulteriore rialzo dei tassi da parte della Bce è pressoché scontato, e che la tentazione di aggredire l’inflazione a suon di scostamenti va rifuggita senza indugi. E dunque il modo migliore per far fruttare quei quattro miliardi pare essere dettato dalla stessa filosofia adottata, con un certo successo, da Draghi e Franco: accantonarli. Il che avrebbe una doppia utilità: rimpinguare un fondo di emergenza a cui attingere, nel corso del 2023, in caso di necessità per provvedimenti urgenti, anzitutto sul caro bollette; e, di conseguenza, consentire di alleggerire la quota di risorse – che sarà comunque consistente, tra i 18 e i 20 miliardi – da destinare, tramite la legge di Bilancio, alla crisi energetica. Così da poter dare maggior respiro alle altre misure, a partire dalle pensioni, che rischiano di finire rattrappite su decimali da miseria.
Certo è che, al di là delle decisioni che verranno prese venerdì, la notizia rasserena Meloni in vista della sua missione a Bruxelles di domani. Perché alle pronosticabili perplessità sull’intenzione di alzare il livello del deficit fino al 4,5 per cento – oltre un punto in più rispetto alla Nadef di Draghi – la premier potrà replicare adducendo fondamentali economici che, almeno a livello congiunturale, sono invidiabili. Perché quella crescita imprevista nel terzo trimestre fa sì che, anche a fronte di una prevedibile stagnazione nei mesi finali dell’anno, il 2022 si chiuda con un aumento del pil che sfiorerà il 4 per cento, a fronte del 3,3 previsto nella Nadef (che era già due decimali sopra al Def). Insomma, un trend rassicurante, in un anno in cui la Commissione stima un +2,6 medio per l’Eurozona. Senza contare, poi, che il rialzo del pil produrrà inevitabilmente anche un ritocco al ribasso del deficit, fissato al 5,1 nella Nadef.
Saranno questi, grosso modo, gli argomenti che anche Giorgetti utilizzerà oggi a Berlino, nel suo primo incontro col suo omologo Christian Lindner, che nel governo tedesco gioca la parte del falco rigorista. E forse è sapendo la delicatezza della missione che il responsabile di Via XX Settembre, nei primi conciliaboli di governo a margine del Cdm di lunedì, ha fatto finta di non recepire le già tante sollecitazioni che da più parti gli arrivavano: che sono poi quelle con cui da sempre i ministri dell’Economia si trovano a dover smistare. E così quando Giuseppe Valditara, in una mezza battuta, ha spiegato che l’unico modo per fare sì che l’esaltazione del merito non rimanga solo nominale è “mettere più soldi sulla scuola”, Giorgetti non ha mutato aspetto. Né ha mosso collo, o piegato sua costa, quando Orazio Schillaci ha detto che per colmare i vuoti di organico negli ospedali “servirebbero investimenti”. Come Farinata degli Uberti, dalla cintola in su, seduto alla sua sedia in Cdm, è rimasto immobile. Mentre, intorno a lui, i partiti si muovono. E fanno richieste. Oggi i ministri di FI, insieme coi capogruppo Ronzulli e Cattaneo, si vedranno su Zoom per una riunione in vista del varo definitivo della Nadef. Giovedì sarà Matteo Salvini a riunire le sue menti economiche. In FdI tutto passa per Maurizio Leo e Giovanbattista Fazzolari, che si confrontano direttamente con la Meloni e Raffaele Fitto. A volte anche i miliardi in più, danno problemi.