Ritorno alle citrullate del 2018
Rave, Predappio e “merito”. La surreale contesa tra destra e sinistra
Il governo aggiunge una parola e la appicica a un ministero e l'opposizione invece che controbattere sui fatti, contesta il sostantivo. La battaglia sulla forma e non sulla sostanza appare frutto di una sorta di allucinazione collettiva
Da un paio di settimane, da quando all’incirca si è formato il nuovo governo, il dibattito politico e di conseguenza anche il confronto tra maggioranza e opposizione non si è occupato di risorse energetiche rinnovabili, trivellazioni nell’Adriatico, rigassificatori a Piombino, sostenibilità delle pensioni, riforma del fisco o della scuola, che sarebbero in teoria le povere emergenze italiane, né tanto meno destra e sinistra si contestano l’un l’altra sulle linee generali intorno a quella legge Finanziaria che pure è da approvare con estrema urgenza.
Al contrario grande e appassionata partecipazione hanno scatenato argomenti certamente decisivi per le sorti del paese – pardon: della Nazione – quali la lotta ai rave party, le macchiette fasciste a Predappio e ovviamente la parola “merito” da pochi giorni appiccicata dal governo Meloni accanto al nuovo battesimo del vecchio ministero dell’Istruzione. La destra dice “merito” (espediente comune alle tribù primitive: si ripete infinitamente, ossessivamente, una parola, per evocare, suscitare, rendere credibile e reale ciò che non esiste) e la sinistra invece di dirgli “passate dalle parole ai fatti”, che fa? Contesta la parola. Discute del nulla. Di un sostantivo.
E in mancanza di argomenti, vede fascisti sotto ogni sasso che solleva. Non c’è limite, come sa anche l’ultimo stregone, al potere occulto delle parole. E il ridicolo ha il “merito”, lui sì, di arrivare sempre tardi. Dunque destra e sinistra discutono di contante e non di fisco, di balneari e non di Europa. E adesso che si è scoperto che l’Italia non è in recessione, ma grazie a Mario Draghi ha pure un tesoretto e addirittura cresce più della media europea, di che parleranno questi? Di calcio? Sembra prendere piede una sorta di allucinazione collettiva, imparentata con i misteriosi meccanismi un tempo attivati dalla magia, dalla religione, nonché dall’Omino di burro che conduce il burattino Pinocchio nel Paese dei balocchi. Una discrepanza tra parole e fatti, tra fumo e arrosto, tra realtà e azione politica, un’ebbrezza che l’Italia aveva già provato nel 2018 con Giuseppe Conte, Matteo Salvini e Luigi Di Maio al timone del tragico “governo del cambiamento”. Quando l’Italia stava diventando il paese di Citrullia-Toninella. Ci vuole un attimo.