La pacchia è finita?
Tutti gli imbarazzi su cui Meloni non potrà tacere a Bruxelles
Il passato scomodo da antieuro. I nodi su gas e blocco navale. La trasferta della premier è un’incognita: che fare coi giornalisti? I primi passi sono molto attesi, a cominciare da un'eventuale scena muta davanti alla stampa
Non vorrebbe parlare. Niente conferenze con la stampa italiana ed estera. Nemmeno brevi punti con i cronisti che la seguiranno fino a Bruxelles. E neanche una dichiarazione a margine degli incontri. Tuttavia in queste ore c’è chi sta spiegando a Giorgia Meloni che invece sarebbe il caso di fermarsi, di raccontare e di dare ragguagli sul debutto internazionale che la vedrà protagonista nel cuore di quelle istituzioni che non ha mai particolarmente amato (sentimento contraccambiato). La premier, e presidente dei Conservatori europei, si ritrova oggi a Bruxelles, città considerata fino a pochi anni fa una sorta di grande rave di burocrati da sgomberare. Contro la quale ha manifestato (“La Ue deve guardare più a Visegrád”) arrivando a chiedere nel 2014 l’uscita dall’euro, in compagnia certo di Matteo Salvini.
Acqua passata, senza dubbio. Ma chissà se avrà ancora una punta di fastidio verso “i soloni di Bruxelles”, come li definiva lo scorso aprile, sentendosi “più europeista di loro”. Al termine della campagna elettorale Meloni ha ripetuto che con lei al governo la “pacchia sarebbe finita”. Lo ripeterà anche oggi a Ursula von der Leyen?
L’incontro con la presidente della Commissione Ue è previsto alle 17.30. Un’ora prima ci sarà quello con Roberta Metsola, presidente del Parlamento e alle 19 ci sarà la chiusura con Charles Michel, capo del Consiglio europeo. La domanda che insegue Meloni, ora che è presidente del Consiglio, in questa prima missione è sempre la stessa: quanto dovrà rinnegare il proprio passato, battaglie comprese, per garantirsi un futuro ai tavoli che contano?
Questi primi passi sono molto attesi. E anche un’eventuale scena muta davanti alla stampa, scenario in evoluzione che pare tramontare, sarebbe accolta come una sgrammaticatura più che come una scelta legittima di strategia comunicativa. Sarà accompagnata dal suo ministro-ambasciatore Raffaele Fitto che ben si sa muovere fra questi corridoi. È stato proprio l’ormai ex europarlamentare di FdI a propiziare in queste settimane gli incontri odierni, con un lavoro da paziente sherpa. Le tensioni preelettorali con von der Leyen sono state un po’ sciolte dalla telefonata partita da Bruxelles il giorno dopo le elezioni, ma oggi si entrerà nel merito dei dossier.
Sul tavolo, come hanno ripetuto in questi giorni i portavoce della Commissione, ci saranno il sostegno all’Ucraina (Meloni presiede l’Ecr, partito molto determinato nell’appoggiare Kyiv anche per via del ruolo importante che vi svolge il PiS polacco, nettamente antirusso), la crisi energetica e l’attuazione del Pnrr, il piano che realizza Next Generation Eu in Italia, paese che ne è il primo beneficiario. E poi, certo, la legge di Bilancio 2023, con l’economia che sta visibilmente rallentando, l’inflazione che non smette di aumentare e la necessità di sostenere famiglie e imprese davanti ai rincari dell’energia. Ecco, su questo tema gli scogli non sono tanto nella Commissione quanto nel Consiglio, sia a livello ministeriale sia a livello di leader, specialmente per quanto riguarda il tetto dinamico ai prezzi del gas e altri interventi decisi sul funzionamento del mercato in Europa, dove il prezzo del metano è lasciato a una piazza “sottile” come il Title transfer facility olandese (la Commissione sta lavorando a un benchmark alternativo al Ttf, che però non sarà pronto prima della primavera).
Stando alle dichiarazioni uscite alla vigilia di questo incontro, e contenute nell’ultimo libro di Vespa, Meloni non sembra intenzionata ad andare a Bruxelles con il cappello in mano, né con la testa cosparsa di cenere. Dice infatti di avere un’idea di Europa “confederale” in cui vige il principio di sussidiarietà. “Non faccia Bruxelles quello che può fare meglio Roma, non agisca Roma lì dove, da soli, non si è competitivi”. La premier continua a ripetere che abbiamo avuto un’Europa “invasiva” nelle piccole cose e assente nelle grandi materie. “Non converrebbe lasciare agli stati nazionali il dibattito sul diametro delle vongole e occuparsi invece a livello comunitario dell’approvvigionamento energetico?”. Reputa dunque “un’idiozia” definirsi atlantista ma non europeista “se non sei federalista”. Ecco perché continua a picchiare, proprio alla vigilia di questa visita così simbolica e a tratti storica, sul “super stato europeo che non ha funzionato”.
Dunque, se lo spirito è questo, il debutto si preannuncia scoppiettante e denso di incognite. Per non parlare dell’approccio alla gestione dei migranti. Secondo le anticipazioni contenute nel libro di Vespa “La grande tempesta”, Meloni torna a spingere sul ripristino dell’operazione Sophia, nata nel 2015 e ora abbandonata dalla Ue, che nella terza fase, “prevedeva di estirpare alla radice il sistema organizzativo del contrabbando di esseri umani”. Cioè: il blocco navale. C’è abbastanza materiale per compilare dense cartoline da Bruxelles. Nell’attesa di capire se oggi la premier romperà il muro del silenzio e delle domande, poche e concordate, come nell’ultima conferenza stampa in patria.