Le due piazze opposte del pacifismo
Domani a Roma sfileranno gli aspiranti becchini degli ucraini che si battono contro l’invasore. A Milano, invece, scenderà in strada chi segue la via maestra della dignità umana, il realismo e il coraggio politico
I pacifisti che sfileranno domani a Roma sono sulla strada peggiore percorsa dall’umanità, le buone intenzioni. Desiderano uno stato di quiete mortale in cui comporre come un cadavere la libertà civile (degli altri), l’unica vita desiderabile (degli altri). Sono gli aspiranti becchini della rivoluzione degli ucraini indipendentisti, che si battono per la vittoria contro l’invasore e subiscono la distruzione di vecchi e bambini, donne e giovani combattenti, la deportazione, la tortura, l’eccidio urbano spietato; dei siriani che da Trump e Putin associati hanno ricevuto solo morte, amputazione, distruzione di una civiltà, fuga; degli iraniani e delle iraniane che si fanno ammazzare e torturare per la soddisfazione narcisistica di essere come sono, di praticare costumi occidentali, di mangiare in mense miste, di acconciarsi i capelli e la faccia come vogliono loro. Ma sono anche i croque-morts di sé stessi, non lo sanno bene ma la loro piattaforma è lo scivolo per estendere i confini della paranoia illiberale. Gli autocrati se ne stanno ai lati della strada, vedono la macabra sfilata procedere, godono delle buone intenzioni dei manifestanti, le incorporano, le usano.
Sfilano dissimulati nel corteo i peggiori ceffi del mondo, gente da Tribunale internazionale per i crimini di guerra, assassini seriali che tengono al carcere duro, ostativo, i ravisti delle opposizioni, li segano nelle ambasciate, li avvelenano col polonio, gli danno la caccia con le moto e i bastoni, li costringono a schiaffeggiare i loro turbanti per non morire di dolore e di vergogna. Sfilano i vichinghi del 6 gennaio di Washington, gli adulatori di Bolsonaro, i cristiani senza cuore e senza spada, gli evangelici senza vangelo, i fondamentalisti della bontà catafratta di bizantinismi e complessità, i soliti guerrieri dell’ideale, quelli che la Nato no, il containment no, il roll-back no, le armi ai resistenti no, meglio rossi che morti, bella ciao e resistenza addio, quelli del disarmo atomico unilaterale, i chiacchieroni da talk-show, gli opportunisti sinistri e senza morale.
I pacifisti che sfileranno domani a Milano seguono la via maestra della dignità umana, il realismo e il coraggio politico. Non cercano la bella morte del diritto internazionale, dell’eguaglianza e della sovranità dei popoli, non vagano alla ricerca di un ideale intonso di pace, desiderano la pace possibile, quella fondata sulla gloria dell’Ucraina libera, quella che punta a svellere la dittatura della morale islamista dei mullah, quella che si conquista opponendosi alla riscrittura in funzione neoimperiale della storia russa e sovietica, la pace che parla agli incarcerati del dissenso, ai morti nelle strade di Teheran, ai cani e alle cagne bastonati dalle Guardie della rivoluzione, ai povericristi mandati al macello e a macellare altri povericristi nel Donbas, a chi difende la democrazia nel mondo.
Il pacifismo ha grandi tradizioni e tradizioni pessime, è stato con la nonviolenza e con l’obiezione di coscienza cattolica una grande risorsa etica dell’occidente, le buone intenzioni non erano il brodo di coltura nemmeno dei Dossetti e degli altri nemici dell’Alleanza atlantica, era un’altra versione del realismo politico, un’altra aspirazione cristica, lapiriana, capitiniana, all’internazionalismo, ma non una versione da anime belle della sconclusionata irrefrenabile ansia di resa dei pacifisti romani, questi emuli inconsapevoli della guardia cecena e del gruppo Wagner.