politica incendiaria
Strateghi del centrosinistra alle prese col pericolo Meloni
Castruccio Conte, Muzio, Attendolo Letta e Calendone delle Bande Nere. L’emergenza democratica, si sa, non può attendere: impone rapidità e allarmata efficienza. E invece, loro non trovano un candidato per le regionali in Lombardia e nel Lazio
Poiché il governo è mosso da “logica incendiaria”, come dice Enrico Letta, visto che è “a tratti reazionario” come denuncia Giuseppe Conte, poiché insomma secondo loro Giorgia Meloni comprime i diritti, fa decreti manganello sui rave party, è pericolosa e prepara una torsione autoritaria, ecco che l’opposizione ha deciso finalmente di organizzare la Resistenza.
Non c’è tempo da perdere, compagni. Bisogna essere rapidi. Ragione per la quale il Pd ha deciso di chiudere la sua contesa congressuale in appena quattro mesi e mezzo. Come avrebbe certamente detto Manzoni, se soltanto li avesse conosciuti: “Di quel securo al fulmine tenea dietro al baleno”. Superato infatti questo trekking da tribù a tribù, questo safari da corrente a corrente, espletati tutti gli incontri con gli stregoni e le relative danze rituali, attraversato quel ponte di liane sospeso su paurose cascate di parole, ecco che a marzo il Pd sarà pronto. L’emergenza democratica, si sa, non può attendere. Impone rapidità. Allarmata efficienza. Ma non solo nel Pd. “Siam mica qui a pettinare le bambole”, direbbe Bersani. Sono iniziate le grandi manovre. Osservate bene la scena. E’ palese l’incessante andirivieni tra valli, boschi e pianure. Già un plotone di fanti grillini attraversa un fiume, già una squadra di cannonieri terzopolisti si addentra in un macchione. Nuvole e nuvolette di polvere radicale si levano qua e là all’orizzonte, fuochi di bivacchi speranziani punteggiano la notte, e in lontananza rulla a tratti anche il tamburo di Fratoianni.
Eccoli. Eccoli. Attenzione, però, incredibile: si stanno menando tra loro. Non trovano un candidato per le regionali in Lombardia e nel Lazio. Si contorcono su Letizia Moratti e Carlo Cottarelli. A Roma maledicono il giorno in cui fu eletto sindaco Roberto Gualtieri detto il fantasma del Campidoglio. Si parlano e si insultano attraverso interviste cartacee, radiofoniche e televisive a ogni ora del giorno e della notte. Si ripetono l’un l’altro le stesse parole, abbracciandosi e respingendosi in base a sfumature imperscrutabili. E a tale ritualità si attengono con vera passione, con ammirevole zelo partecipativo. D’altra parte i sofisticatissimi condottieri della Resistenza, ovvero Castruccio Conte, Calendone delle Bande Nere, Muzio Attendolo Letta e Orlando Brancaleone da Spezia, sono così persuasi essi per primi della pericolosità del governo, sono così certi del rischio democratico che corre l’Italia, credono talmente tanto alle loro stesse parole e ai loro richiami allarmati che stanno menando fendenti.
Ma per accaparrarsi la decisiva Vigilanza Rai e l’imprescindibile Copasir. Ciascuno di loro vuole per sé una delle commissioni di garanzia che spettano alla minoranza. Botte da orbi. Sempre tra di loro. Boschi contro Appendino, Carfagna contro Rosato, Rosato contro Borghi... Sghignazzi, urla, invettive, pernacchie e accuse di fare da “stampella” al governo che volano da un lato all’altro degli scranni d’opposizione. Orlando lo ha spiegato benissimo in un’intervista alla Stampa qualche giorno fa: Meloni è praticamente il ritorno del fascismo, dunque ci vuole l’unità del centrosinistra, ma non con Renzi che è persino peggio di Meloni. Renzi è all’incirca un collaborazionista di Vichy. Con lui niente. Così domani scendono tutti in piazza per la pace in Ucraina. Però ognuno in un posto diverso. Calenda è a Milano, Conte è a Roma e Letta probabilmente sarà a metà strada, un po’ qua e un po’ là. Con una Resistenza così, cosa mai potrebbe andare storto?