Dal Mose alla pace s'è perso in chiacchiere il principio di realtà
Il nostro volto internazionale dovrebbe ora identificarsi con quanti sono passati dal negazionismo della diga al negazionismo delle libertà difese dalle armi occidentali. Un’incredibile figura di merda
Vendicare il Mose non è una mia fissazione, peggio della malattia, è un appello al ripristino del principio di realtà che vale per tutto. Solo in un paese in cui da quarant’anni si fa lotta, movimento, si fa casino per dimostrare che Venezia affonda, che bisogna salvarla, che l’acqua alta la corrode nelle fondamenta, ma che il rimedio di una diga ad alta tecnologia per fermare la marea non può funzionare, e si porta questa scemenza nelle scuole, nelle università, nelle assemblee pubbliche elettive, nelle parrocchie laiche delle profie e degli esperti cerchiettisti; solo in un paese in cui l’infrastruttura è monitorata non per il risultato efficiente finale, e magari per la trasparenza anticorruzione, ma non per i costi di sistema senza pensare ai benefici, come è avvenuto per la Metropolitana milanese, vanto e sostegno dell’economia più moderna d’Italia grazie anche alle tangenti craxiane e democristiane e comuniste e di tutti i partiti; solo in un paese di pseudomoralisti che pullula di comitati internazionali col Cerchietto, di intellettuali collettivi, di sindaci-bandiera che governano dallo Steinhof, di esperti più o meno farlocchi, di sostenitori del dragaggio di Malamocco, quella sì che è la soluzione contro l’acqua alta; solo in un paese di questo tipo si riempiono strade e piazze, con l’aiuto della Cgil e dei preti, per offuscare la differenza tra noi e loro, tra chi è invaso e chi è invasore, tra occidente delle libertà e scelleratissimi mullah impegnati nell’assassinio della speranza e di un popolo di donne e giovani nel silenzio osceno della chiesa cattolica in attivistica ricerca della cosiddetta pace e del disarmo unilaterale.
Il Mose, come per altri versi i Fridays for future e la messinscena del bonus bollette nell’iperbolica descrizione dell’apocalisse energetica, sono campioni del vasto assortimento di bellurie controrealistiche di cui viviamo senza che alcuno poi paghi il prezzo di opinioni scombiccherate, senza che si ricordi chi ha detto che cosa e perché. Qui si può votare cinque volte per l’invio di armi all’Ucraina e poi scendere in piazza per bloccare il sesto decreto, mentre l’autocrate invasore arruola gli ergastolani ostativi e altri superdelinquenti per rimpolpare le file dell’esercito di occupazione, prepararsi a altre stragi negate in casa nostra da ributtanti personcine, dare una lezione a quel che resta dell’Ucraina al fianco dei contractors e dei resti di un’armata sbrindellata dalla resistenza popolare e dagli aiuti Nato.
Se puoi dire per quarant’anni che il Mose non funzionerà mai, che la terra brucia, che il nucleare non va e poi che va, che le bollette del gas sono esplose e poi crescono del cinque per cento, se non decrescano, chi ti proibisce di dire tutte le altre fesserie che dilagano in tv e sui giornali?
Il principio di realtà era l’esercizio intellettuale tipico di un paese machiavellico, guicciadiniano e cattolico, con il contributo dei crociani e dei comunisti marxisti e materialisti storici in finale, ma si è dissolto. Si è inabissato in un mare di chiacchiere insulse. Il nostro volto internazionale, mentre a Berlino in ottantamila manifestano contro la Repubblica islamica, dovrebbe ora identificarsi con il disfattismo dei sindacati e dell’associazionismo cattolico più bolso e degli strepitanti opinionisti passati dal negazionismo della diga al negazionismo delle libertà difese dalle armi occidentali. Ma che incredibile figura di merda.
L'editoriale del direttore
La guerra mondiale non è “a pezzi”. Essere uniti contro chi minaccia con la forza le democrazie
La soluzione possibile