Dopo Piombino, il Veneto. La sindrome Nimby di FdI sabota il piano energetico di Meloni
Le dichiarazioni di Urso contro il rigassificatore in Toscana accendo una mezza zuffa tra ministri. Pichetto chiede spiegazioni e conovoca il sindaco Ferrari, che però insiste col ricorso al tar. E intanto deflagra la protesta contro le trivelle nel delta del Po: "Questo territorio ha già dato, basta", dicono i patrioti. La perplessità di Forza Italia: "Non è così che si governa", dice Cattaneo
Carlo Calenda si sorprende della sorpresa: “E’ la destra sovranista italiana. La nazione prima di tutto, ma fuori dal mio giardino”. Laconico, nella sua polemica col governo. E però è una laconicità che coglie nel segno, quella del leader di Azione, se anche Gilberto Pichetto, che del governo fa parte, a leggere le dichiarazioni di Adolfo Urso ha sobbalzato sulla sedia. E ha chiesto chiarimenti ai colleghi ministri di FdI. “Ma come? Ora mettiamo davvero in discussione il rigassificatore di Piombino?”. E mentre cercava di mettere una pezza sul Tirreno, il ministro dell’Ambiente, scopriva un nuovo fronte sull’Adriatico. “Perché anche qui, nei comuni del delta del Po, non sono da escludere mobilitazioni dei nostri amministratori locali contro lo sblocco delle trivelle”, dice Bartolomeo Amidei, senatore patriota di Rovigo.
E insomma è un po’ questo “il grande paradosso”, per come lo descrive la deputata forzista Chiara Tenerini, eletta nel collegio di Piombino. “Che mentre a Roma Meloni indica delle priorità, poi sul territorio c’è chi, nel suo partito, si batte in senso opposto”. E’ il paradosso, appunto, che ha sorpreso anche Pichetto. “Ma quella cosa per cui forse il rigassificatore non lo facciamo a Piombino, ma altrove, ho dovuto dirla per tenere buoni i nostri in Toscana”, s’è giustificato Urso, ministro dello Sviluppo economico, come se quel cedimento all’ideologismo Nimby fosse poco più di un residuo di propaganda elettorale. E però tutta questa farsa sarebbe tollerabile, da Pichetto, se non generasse atti formali che rischiano di complicare davvero l’installazione della Golar Tundra. Per questo quando ha convocato il sindaco di Piombino, quel Francesco Ferrari che da pretoriano meloniano s’oppone al rigassificatore, il ministro dell’Ambiente gli ha chiesto che almeno eviti di procedere col ricorso al Tar, perché a quel punto la faccenda potrebbe ingarbugliarsi sul serio. E invece Ferrari, di tutta risposta, ha detto che “io ormai ho preso un impegno coi miei cittadini”, per cui “il ricorso non posso non farlo”. E del resto, “nessuno del mio partito mi ha chiesto di rinunciare”, insiste ora il sindaco.
E insomma è un po’ come se il gioco fosse scappato dalle mani della premier. Che del resto, sulla questione, è consigliata anche da chi, come Francesco Lollobrigida, non nasconde affatto la sua contrarietà al rigassificatore, perché “Piombino è una città che ha già sofferto troppo per le promesse mancate da parte dello stato”. Al che l’azzurra Tenerini scuote il capo: “Le dichiarazioni di Urso sono difficili da comprendere. Certo che ci sono incognite su cui chiedere chiarimenti a Snam e al governo, sulla Golar Tundra, ma con posizioni demagogiche come quella del sindaco Ferrari si finisce col delegittimare anche le istanze più ragionevoli, tipo quelle sulla certezza della temporalità dell’infrastruttura e delle cosiddette compensazioni”.
Che è poi l’altro punto su cui è bene non giocare al rialzo. “Perché se per Piombino, con una nave che resterà in banchina tre anni, si chiedono progetti mirabolanti, a Ravenna, dove il rigassificatore ha una vita prevista di un quarto di secolo, cosa dovremmo dare?”. Era, questo, un avvertimento che Roberto Cingolani, negli ultimi giorni del suo mandato, ripeteva spesso alle controparti toscane. E che ha lasciato nel dossier consegnato a Pichetto.
Del resto, che anche sull’altra riva ci sia ansia di rivendicazioni, lo sa lo stesso Urso. Il quale, dal suo collega di FdI Amidei, s’è sentito spiegare, già sabato scorso, e poi ancora in queste ore, le ragioni per cui “con le trivelle la zona del delta del Po ha già dato”. E neppure lui pare volere sentir parlare di fedeltà alla linea: “Chi abita questo territorio e ne conosce la storia, sa bene i disagi che sono derivati da un trentennio di estrazioni di metano, e sa che i problemi vanno oltre la logica dell’appartenenza politica”. Per cui va bene, certo, se l’emergenza nazionale lo impone, che si torni pure a trivellare. “Ma non basta specificare che queste attività avverranno sotto il 45° parallelo: bisogna che non si vada oltre Ravenna, perché i fondali veneti non possono permettersi nuovi traumi”.
Insomma la linea della giustezza andrebbe sempre spostata più in là: oltre il nostro orizzonte, lontano del nostro collegio elettorale. Ci sta che allora Alessandro Cattaneo, uno che già nel 2016 – a differenza della maggior parte del centrodestra – predicava contro la fatuità della campagna No Triv al referendum, voglia lanciare un avviso ai naviganti: “La logica Nimby, già discutibile quando la si agita strumentalmente dall’opposizione, diventa davvero poco raccomandabile per chi deve governare un paese, per di più nel mezzo di un’emergenza che non ammette ideologismi di maniera”, dice il capogruppo azzurro alla Camera. D’altronde l’altro fronte di resistenza patriottica contro il gas, quello nell’Abruzzo governato dal meloniano Marco Marsilio che s’opponeva al gasdotto di Sulmona, è stato stroncato da un atto d’impero di Mario Draghi, proprio allo scadere del suo mandato. “Governare significa decidere”, disse in quell’occasione il premier. Eh.