ottuso moralismo
Le elezioni non sono un concorso di bellezza. Viva Moratti e D'Amato
La destra non si fa troppi scrupoli e vince. A sinistra invece quella elettorale è considerata quasi una gara concorrenziale tra identità, un esame di purezza. I misteri della politica che considera inessenziale prevalere
Non si è capito ancora per che cosa si facciano a fare le elezioni. La destra pensa che servano a vincere, non si fa troppi scrupoli, e vince. A sinistra invece quella elettorale è una gara concorrenziale tra identità, insomma un concorso di bellezza, se non di purezza. Così le elezioni si perdono a vantaggio degli avversari. Poi si protesta e si cominciano interminabili e noiosissime traversate nel deserto, a meno che non si riesca a rovesciare il risultato delle urne nelle assemblee, cosa in sé legittima ma che non sempre, come le ciambelle, riesce con il buco.
Alessio D’Amato ha fatto del Lazio, in materia sanitaria, una specie di Cantone elvetico, in compagnia dei grillozzi, e ora gode dell’appoggio perfino del sesto polo. Miracolo: ti avvicini a un computer o a un centro assistenza e in un batter d’occhio il servizio vaccinale è a tua disposizione. A occhio e croce, è uno che dovrebbe vincere. Infatti è sottoposto a un vetting o a uno screening o a un esame di coscienza grottesco, quando l’acclamazione sarebbe di rigore. Letizia Moratti ha litigato con i suoi, che le avevano promesso la corsa per la Regione Lombardia, e se ne è andata sbattendo la porta, mettendosi a disposizione degli avversari per una corsa che è in grado di portare al traguardo con notevoli probabilità di successo, essendo stata ministro con Berlusconi e amministratore a vario titolo con coalizioni di centrodestra, figurando come un campione dell’establishment moderato e modernista in una regione affluente, socialmente e civilmente ambiziosa: ci si poteva aspettare un abbraccio corale, senza troppi indugi, visto che non c’è una candidatura di centrosinistra alternativa e con caratteristiche competitive, invece viene sequestrata in una coalizione riformista attivista ma relativamente piccola e respinta, proprio per le ragioni per cui dovrebbe essere accolta senza sussiego, dal pezzo più grosso della cordata, il Pd.
Vince sempre un ottuso moralismo perdente. L’occasione di dividere e sfrondare di una quota di consenso decisiva il blocco di potere dominante in una terra che fa un bel pezzo del pil italiano è considerata più o meno un tradimento dell’identità, vogliamo un candidato più bello e più commestibile dal nostro elettorato, di allargarlo (l’elettorato) e portarlo al governo della Lombardia non se ne parla nemmeno. Certo è un peccato che non ci sia una candidatura forte e promettente che renda assurdo il mettersi al seguito della ex vicepresidente di Attilio Fontana, è un peccato che non ci si sia pensato prima e che non si sia in grado di sbarrare la strada alla disinvolta piroetta di una solida amministratrice milanese che ha fatto il salto della quaglia. Ma stiamo parlando appunto di qualità amministrative solide, e il salto non è nel buio, è verso un recupero di area moderata con incorporata una determinante spinta di sinistra riformista variamente declinata, una cosa non molto diversa da quella che ha portato alla formazione di un governo Bisconte e ai notevoli risultati seguenti, in più stavolta c’è una battaglia aperta di programma e contenuti da fare davanti agli elettori con una buona prospettiva di vittoria.
Niente da fare. Prevale il concorso di bellezza e purezza, si ripercorre la strada delle buone intenzioni che ha spalancato le porte, prova di accoglienza totale, a Piantedosi e alla allegra combriccola dei destri di governo. Sono i misteri della politica che cede il passo al moralismo piccino e considera inessenziale prevalere. Infatti prevalgono gli altri. Avanti così.