dall'aborto alla violenza maschile
Le donne e i veri tabù sule pari opportunità. Lettera a Roccella
Il ministero, senza portafoglio, dovrà uscire dal "femminismo di stato": servirà non cadere nell'imbroglio di cercare di dare una stanza tutta per sé alla metà della popolazione e iniziare mettere bocca anche laddove la voce femminile non è prevista
Al direttore - Gentile ministra Roccella, affrontiamo prima i due argomenti che di questi tempi sembrano al centro del mondo. Primo: come vede la chiamo ministra. Che una donna voglia usare per sé il maschile è solo segno di quella miseria che si attacca tristemente alla pelle delle donne quando sentono di non avere storia. Un gesto ai miei occhi drammatico e triste. Secondo: sono proprio d’accordo con lei, l’aborto è il lato oscuro della maternità. Ma non è il solo. La maternità può essere oscura in sé quando non è desiderata. Può essere un abisso. Disgraziato chi viene al mondo senza il desiderio della madre.
Per questo considero l’aborto una necessità prima che un diritto. L’autorizzazione ogni donna l’ha presa dalla storia delle donne a fronte di ogni inferno promesso o prigione minacciata e questo sarà sempre così. Ho letto che ha accettato il suo incarico volentieri perché il ministero delle Pari opportunità è stato un ministero voluto dal movimento femminista. Mi permetto di correggerla. Non è stato così. Noi femministe non abbiamo mai chiesto un ministero delle Pari opportunità. Dal primo momento in cui fu costituito lo abbiamo considerato un luogo pericoloso e ambiguo. Si dava alle donne l’idea che finalmente avessero una “stanza tutta per sé”. e di questo avrebbero dovuto essere contente e soddisfatte.
In realtà si voleva creare un mondo a parte delle donne, metterle in un angolo. Non era un’apertura, era un recinto. Le pari opportunità sono state la risposta delle istituzioni alla grande creatività del femminismo, il modo di arginare la sua grande potenza. Io lo chiamo femminismo di stato. Le donne non sono una categoria, una minoranza, sono fondanti della società, che infatti senza donne non esisterebbe, a loro, in quanto cittadine libere e contribuenti, spettano tutti i ministeri, quello del lavoro, quello della sanità, quello dell’economia, quello dell’istruzione... insomma tutti.
Così scrivevo nel 1986 alla ministra Finocchiaro, parlando di questo imbroglio. Da allora a oggi questo ministero, che non ha fatto cose da ricordare, è stato sempre senza portafoglio e questo la dice lunga. La ministra sempre si deve arrabattare a elemosinare fondi di qua e di là. Così i progetti diventavano progettini, convegni convegnucci e le ambizioni si fanno piccole piccole. Per lei ministra Roccella mi sembra anche che il carico si sia appesantito perché alle pari opportunità sono state aggiunte natalità e famiglia, due carichi pesanti. Quindi la mia raccomandazione vale anche per lei: non si arrenda all’imbroglio del “mondo a parte”, per di più povero in canna, le donne non lo meritano. Anche perché adesso le donne sono cambiate e non si chiedono più se sono capaci di fare quello che fanno gli uomini ma cominciano a pensare di saperlo fare meglio. Siamo oltre le pari opportunità.
Si avvicina il 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza alle donne. Si celebra dappertutto, soprattutto nelle scuole. Lei vedrà giovani ragazze truccate con occhi neri, bocche cucite da filo di ferro, teste spaccate, sangue e anche manifesti per la città, con immagini orrende. Difficile camminare quel giorno con una bambina per mano, ma anche con un bambino, che possono chiederti cosa significa e tu non vuoi rispondere, perché il messaggio che è sotteso a tutto questo è “ Potrebbe succedere anche a te”. Perversamente sta diventando una festa, io lo chiamo il nostro halloween. È la grande giornata del soggetto per eccellenza del femminismo di stato: la vittima. Quel giorno tutte le donne diventano vittime, di chi non si dice.
Possibile non ci si accorga dell’ambiguità di tutto questo? La violenza alle donne è una tragica realtà a cui si deve porre rimedio ma non è un tema politico. Eppure tutti i partiti non sanno fare che questo, il perché è chiarissimo a chi lo sa vedere: la donna vittima, in realtà, rassicura tutti che nulla sta cambiando veramente e che l’ordine patriarcale della società non corre ancora alcun pericolo. La politica celebra proprio questo, anche se non lo sa. Io potrei suggerirle di istituire un minuto di silenzio da osservare nelle scuole, negli uffici pubblici, contro la violenza degli uomini sulle donne. Ma avrebbe difficoltà a fare passare questa proposta. Passerebbe invece la versione alleggerita, un minuto contro la violenza alle donne. Violenza anonima.
Sono molto contenta che lei si dichiari femminista perché allora si accorgerà della falsa politica e lavorerà non sulla debolezza delle donne, non sulla loro vulnerabilità – siamo tutti vulnerabili – ma sulla loro forza che è immensa. Poche femministe sono entrate nei palazzi e debbo dire che non hanno fatto granché, presto prese in una logica estranea, costumi e usi che toglievano loro la parola piuttosto che darla. Spero non sarà così per lei. Comunque sarà difficile. Sa perché? Perché le donne non hanno bisogno di pari opportunità ma di opportunità in più. Bisogna saper fare delle ingiustizie per loro, uscire dall’idea di risarcire le donne ed entrare nell’idea di investire su di loro per una vita dignitosa per tutti.
Ma le difficoltà sono due, molto grandi. La prima è che gli uomini sono vecchi e non sono pronti alla libertà delle donne e sono attaccati al potere, magari non per cattiveria, ma per abitudine. Qualsiasi obbrobrio della storia, e ce ne sono stati tanti tutti prodotti dalle loro decisioni, non li ha mai disautorizzati al potere. La seconda è riuscire a far guardare alle donne l’umanità, come un contadino guarda un campo di grano, come a una loro opera. Se le donne non trovano in se stesse il senso grande di essere al mondo, poco potrà cambiare. Questo significa riuscire a superare tutti i secoli di negazione, di emarginazione, umiliazione, ignoranza che hanno fatto credere alle donne di essere meno, di essere umanità minore e che le ha fatto pensare, come unica via per fuggire da un destino pesante, di volere essere uguale agli uomini, perdendo il senso prezioso della loro differenza e la loro storia e la loro forza.
Ministra Roccella si metta all’ascolto delle giovani donne che per vivere fanno tre o quattro lavori contemporaneamente, che Dio sembrerebbe averle abbandonate, che la patria con loro è più che avara e che la famiglia per loro è un sogno impossibile. E sia così brava da riuscire a capire quello che le donne stanno dicendo senza parole. Tra i suoi mandati c’è la natalità. Le donne fanno meno figli, è un fatto. Questo mette in pericolo la società tutta, la sua sopravvivenza. Se da femminista guarda a questo, saprà capire che non fare figli è il giudizio più severo che le donne danno a questa società, alla sua organizzazione, alle scelte delle sue priorità. Fare figli per le donne non è più un destino è una scelta e la sentenza è amara per tutti. Questa è la guerra delle donne, che non è come quella degli uomini che fa morti. La guerra delle donne non fa più vivi.
Quindi c’è da mettere mano a tutto: lavoro, sanità, scuola, casa, imprese, organizzazione della vita... Sarà così coraggiosa da mettere bocca dove non è prevista la sua voce? Da presentarsi dove non è aspettata? Perché questo deve fare, uscire dall’angoletto che le hanno riservato e trasformare il suo ministero in un laboratorio operoso al lavoro per una diversa visione della società senza servi né serve, lavoro che sicuramente gli altri ministeri non si sognano di fare, né ne sarebbero capaci.
Le auguro buon lavoro.
Alessandra Bocchetti, scrittrice