Alleato necessario, nemico inevitabile. I segreti della sfida Macron/Meloni

Claudio Cerasa

L’immigrazione ma non solo. Perché la Francia è la perfetta cartina al tornasole dei tabù dell’Italia sovranista. Cinque sfide per capire il futuro della leader di FdI

Un alleato necessario, un nemico inevitabile. Nel mondo della chimica, la cartina al tornasole è una tipologia di carta assorbente lavorata in modo tale da essere utilizzata per  individuare se una soluzione con cui entra in contatto sia acida oppure basica. Se il contatto con il reagente genera un colore rosso, la soluzione è acida. Se il contatto con il reagente genera un colore azzurro, la soluzione è basica. Nel mondo della politica italiana, e soprattutto nel mondo del centrodestra, la cartina al tornasole perfetta con cui individuare, con semplicità, i principali problemi con cui dovrà fare i conti nei prossimi mesi la maggioranza sovranista è una e coincide con i colori blu, bianco e rosso della bandiera francese. Ieri mattina in conferenza stampa, Giorgia Meloni è tornata sulla grave crisi diplomatica apertasi giovedì pomeriggio tra la Francia e l’Italia sul dossier legato all’immigrazione.

 

Il segretario di stato francese agli Affari Ue, Laurence Boone, ieri ha detto che Roma “si era impegnata nel meccanismo di solidarietà Ue”, ha ricordato che “i trattati si applicano al di là della vita di un governo, altrimenti se dovessimo cambiare ogni volta le regole sarebbe insostenibile” e ha affermato che “l’attuale governo italiano non ha rispettato il meccanismo per il quale si era impegnato e si è rotta la fiducia”, perché “c’è stata una decisione unilaterale che ha messo vite in pericolo e che, del resto, non è conforme al diritto internazionale”. Meloni, che è riuscita a creare una crisi diplomatica con la Francia in appena due settimane (il governo gialloverde ci mise un po’ di più: sei mesi), ieri ha risposto offesa dicendo di essere “rimasta molto colpita dalla reazione aggressiva del governo francese, incomprensibile e ingiustificabile” e ha assecondato l’idea che la risposta data dal governo Macron sul caso Ocean Viking (il governo francese ha definito “incomprensibile e disumana” la decisione del governo italiano di non offrire il proprio porto sicuro a una Ong carica di migranti e ha promesso una ritorsione durissima: la serrata dei confini a Ventimiglia, con 500 agenti già schierati, e la sospensione dell’accoglienza di 3.500 rifugiati dall’Italia, accompagnata da un appello agli altri paesi Ue a fare altrettanto) sia figlia della cultura del complotto contro l’Italia. La Francia è una cartina al tornasole dei tabù dell’Italia sovranista sia quando si scende sul terreno dell’immigrazione sia quando si scende su terreni diversi.

 

E ci sono almeno cinque dossier che si possono mettere a fuoco per capire perché la Francia, per l’Italia sovranista, è un alleato necessario ma anche un nemico inevitabile. La prima ragione riguarda il merito e riguarda in particolare l’incapacità mostrata  dalla coppia Salvini e Meloni di offrire sul tema dell’immigrazione un’immagine diversa rispetto a quella diversamente di successo mostrata nel 2018 dal governo gialloverde. Anche allora, per affrontare il dossier sull’immigrazione, il governo scelse la strada dello scontro diplomatico, della violazione del diritto del mare e della solidarietà richiesta ai partner europei a colpi di porti socchiusi. Anche allora, come oggi, il governo, con le sue politiche muscolari, ottenne l’opposto di quello che cercava. Anche allora, alla fine, la gestione dell’immigrazione, per quel governo, divenne la cartina al tornasole, per l’appunto, di tutte le pulsioni estremiste presenti nel governo (nazionalismo, populismo, sovranismo, euroscetticisimo, complottismo). E anche allora, come oggi, per provare a redistribuire i migranti in Europa il governo fece l’opposto di quel che servirebbe all’Italia, ovverosia far cambiare rotta non all’Europa ma alle navi cariche di disperati (una trasformazione necessaria dell’Europa, per esempio, una per cui varrebbe la pena far cambiare rotta ai governi, è quella indicata ieri dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella). “Il voto all’unanimità – ha detto Mattarella – è una formula ampiamente superata perché si trasforma in diritto di veto che paralizza l’Unione. Vi è una condizione sollecitata dal succedersi di crisi e l’Unione ha bisogno di rimuovere questo limite e completare il suo percorso organizzativo interno, è una casa incompiuta non ha una politica fiscale propria se un edificio è incompleto la parte lacunosa distrugge quella già costruita”.

  

La seconda ragione, più delicata, riguarda l’incapacità, da parte di Giorgia Meloni, di essere coerente con la sua famigerata svolta moderata – a Bruxelles Meloni è arrivata a dire che di fronte alle grandi emergenze europee le scorciatoie nazionaliste sono contro l’interesse nazionale – e non ci vuole molto a capire che ogni migrante tenuto in ostaggio dal governo italiano contribuisce a far dimenticare il tentativo, da parte della premier italiana, di mettere un loden al sovranismo. Come dice un   italiano che ha un grande peso in Europa “non si può pensare di conquistarsi la fiducia dei partner europei senza rendersi conto che la propria reputazione passa non solo da quello che si dice a Bruxelles ma anche da quello che si fa in Italia”.

 

La terza ragione, più politica, coincide con un problema destinato a essere uno dei grandi guai del governo Meloni e quel guaio è così riassumibile: se la forza di Meloni è quella di essere percepita come un’alternativa credibile a Salvini cosa succederà al governo Meloni se sulle questioni ad alto impatto mediatico la linea del suo governo sarà più simile alla linea Salvini che alla linea Meloni?

 

La quarta ragione riguarda un tema inconfessabile, per i sovranisti, che si ricava facilmente da un’affermazione consegnata giovedì pomeriggio alle agenzie di stampa da Marine Le Pen. “La nostra politica di fermezza sull’immigrazione – ha detto Le Pen – è l’unica possibile per poter impedire di rischiare la vita per raggiungere il nostro continente. Dobbiamo rifiutare di essere complici dei trafficanti e rifiutare che l’Ocean Viking sbarchi in Francia”. Dove si dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che i problemi nazionali, per essere risolti in chiave europea, non possono essere risolti, se davvero li si vuole risolvere, costruendo alleanze con i nazionalisti europei. Pietro Nenni, parlando di moralismo, diceva che in politica “gareggiando a fare i puri, troverai sempre uno più puro che ti epura”. E lo stesso ragionamento vale se si sposta l’attenzione sul tema del sovranismo: “Gareggiando a fare i puri sovranisti, troverai sempre uno più sovranista è più puro che ti epura”.

 

La quinta ragione riguarda invece proprio la Francia, riguarda proprio il rapporto tra Meloni e Macron, e il tema qui è appassionante, e preoccupante, perché la Francia, per i sovranisti italiani, è contemporaneamente l’alleato necessario e il nemico inevitabile. E’ un alleato necessario da un lato perché in questo momento, in Europa, complice anche i rapporti freddi che esistono tra Francia e Germania, tutto quello di cui ha bisogno l’Italia coincide con quello di cui ha bisogno la Francia: politiche di bilancio più espansive, mercato unico energetico, meno pressione sui paesi indebitati, più solidarietà sull’immigrazione. E’ un nemico inevitabile, dall’altro lato, perché la Francia di Macron rappresenta tutto ciò che Meloni e Salvini detestano nel profonde: la fede europeista, l’amore per il globalismo, il disprezzo per il nazionalismo, il simbolo del potere predatorio della finanza. Un alleato necessario, un nemico inevitabile. La Francia, per Meloni, è lo specchio dei vizi del nazionalismo e delle opportunità dell’Italia. Il rapporto può essere recuperato, ma gli equilibri, rispetto al passato, sono cambiati, e oggi la verità, in Europa in trasformazione in cerca di nuovi equilibri, un’Europa in cui, come ha detto ieri Sergio Mattarella, la risposta alla sfida migratoria avrà successo soltanto se sorretta dai criteri di solidarietà all’interno dell’Unione”, è che Meloni ha bisogno di Macron meno di quanto Macron abbia bisogno di Meloni. La pacchia è finita, direbbe qualcuno.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.